NON SERVONO NÉ «CHIERICI» NÉ «LAICI»

Ho letto con sorpresa la lettera di FERRUCCIO GANDOLINI
(Missioni Consolata, gennaio 2003) sull’ospedale di
Wamba (Kenya). Il signor Ferruccio auspica anche un ampio
«servizio» sull’ospedale.
Certamente i 38 anni di ininterrotto lavoro del dottor SILVIO PRANDONI, in questo ospedale, sono il più bell’elogio del laicato missionario. Silvio è un laico missionario che non solo ha rinunciato alla carriera per stare con i poveri, ma ha anche saputo suscitare un giro di amici e volontari che offrono sostegno economico e servizi specializzati all’ospedale.
Tra loro spicca l’amico TIBERIO, da poco in pensione solo
perché le gambe non lo reggono più.
Non va dimenticato che il laicato missionario è stato possibile grazie alla collaborazione (talora sofferta) con le forze «clericali» locali: a cominciare dal vescovo Carlo
Cavallera, fondatore della diocesi
di Marsabit e dell’ospedale,
dal suo successore monsignor
Ambrogio Ravasi e dal
nuovo vescovo di Maralal, Virgilio
Pante. Né si scordino le missionarie
della Consolata, che
nell’ospedale hanno dato il meglio
della loro vita, le suore indiane
dell’Immacolata e i missionari
della Consolata che hanno sostenuto e amato l’ospedale.
D a quando è nata la diocesi di Maralal, opero come amministratore:
quindi sono anche responsabile dell’ospedale
di Wamba, che è una… patata ben cotta, profumata
e appetitosa, ma anche bollente.
I problemi sono tanti: aumento della povertà della gente
(oltre a non avere mutua o assicurazioni mediche, spesso
non ha neppure i soldi per pagare il minimo che l’ospedale
richiede per medicine, cure e degenza); insicurezza,
razzie e scontri tribali; alti costi di gestione (medicine, salari,
manutenzione); trasporto (siamo a quasi 400 Km da
Nairobi, di cui gli ultimi 100 su strada sterrata); mancanza
di elettricità e di un acquedotto pubblico; il complicarsi
delle patologie mediche, la stabilità e la qualificazione
del personale medico e paramedico… Sono elementi che
rendono gravoso il lavoro. La responsabilità di raccogliere,
ogni anno, 450 mila euro per il funzionamento ordinario
dell’ospedale farebbe perdere il sonno a più di uno.
È in gioco il futuro dell’ospedale, e il bene dei poveri.
Nessuno ha le soluzioni in tasca: né i «chierici» (non
per forza clericali) né i «laici» (non necessariamente anticlericali).
Solo una sincera e aperta collaborazione fra tutti
può aiutare ad affrontare con novità, verità e carità i bisogni
e i problemi di una splendida
opera d’amore, qual è
l’ospedale di Wamba: «la rosa
del deserto».
Non c’è bisogno né di clericalismo
né di laicismo, ma di persone
che, come Prandoni, i missionari
e le missionarie, siano
disposte a pagare di persona,
senza paura del confronto o
dissenso, facendo bene il bene,
come voleva il beato Giuseppe
Allamano.
Ben venga qualcuno dalla penna
facile che scriva sull’ospedale! Gli ammalati samburu,
turkana, rendille, borana, gabbra, meru, kikuyu e quanti beneficeranno
dell’ospedale saranno felici se i loro amici aumenteranno,
se ci saranno persone, dall’Europa e dall’Africa,
con il coraggio di dedicare la vita ai poveri come il dottor
Prandoni, che ritiene che la parola «pensione» non
abbia diritto di cittadinanza nel suo vocabolario…
Mi sono fatto aiutare a scrivere questa lettera, perché le
mie mani sono più abituate alla chiave inglese che alla penna.
E non vorrei che, con questa lettera, succedesse ciò che
avviene quando stringo la mano agli amici: data la «morsa», spesso faccio loro fare una smorfia di dolore.

P. MARIO LACCHIN

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