MADAGASCAR scuole «per la speranza»
PALLONI DI CARTA E STRACCI
Anche questi sono buoni per mettere insieme
un po’ di ragazzi e prospettare loro la possibilità
di qualcosa di buono nella vita…
Cominciando dalla scuola, per sconfiggere la povertà.
Michel non era mai stato in
una scuola: i suoi genitori
non potevano permettersi
di pagare le rette di iscrizione. Trascorreva
la sua giornata sulle strade
di Antananarivo, facendo piccoli lavori
per guadagnare qualche spicciolo.
Un giorno, un signore francese
gli si era accostato e avevano cominciato
a parlare. Dopo un po’,
l’uomo gli aveva proposto di giocare
a calcio. Niente a che fare con il
calcio che si vede in tivù: qui la palla
è fatta di stracci e carta. Michel ha
cominciato a frequentare la squadra
e, dopo qualche settimana, si è ritrovato
in una scuola: bella, proprio come
quelle vere.
Stefan, invece, mendicava tutto il
giorno. Quando era più fortunato,
riceveva qualcosa da mangiare. Anche
lui poi ha conosciuto quel signore
francese che, dopo averlo
convinto a giocare a calcio, lo ha portato
a scuola.
Queste sono le storie di Michel e
di Stefan, due delle centinaia di bambini
che vediamo per le strade di Antananarivo,
capitale del Madagascar.
Di storie come queste ce ne sono a
bizzeffe, tutte accomunate da un solo
denominatore: la povertà.
L’ISOLA DEI CONTRASTI
Secondo l’Unicef, la popolazione
del Madagascar è estremamente giovane:
il 45% dei suoi abitanti ha meno
di quattordici anni. Il 15% di essi
nasce sottopeso. Il tasso di sviluppo
umano è uno dei più bassi al
mondo: il 70% della popolazione vive
sotto la soglia di povertà di un dollaro
al giorno, mentre lo stato investe
solo il 16% per l’istruzione.
L’isola, bellissima, si estende per
587.000 chilometri quadrati, che si
allungano lungo l’Oceano Indiano,
separati dall’Africa dal Canale di
Mozambico. Lungo la fascia costiera
ci sono le pianure utilizzate per le
coltivazioni, mentre la parte centrale
dell’isola è occupata da un altipiano
di origine vulcanica. Il suolo, che
ospita una varietà straordinaria di
specie animali, vegetali e minerali, è
minacciato dalla deforestazione:
benvenuti nell’isola dei contrasti! Risorse
quindi, ma povertà estrema.
TRA REGNI E PROTESTE
Sappiamo, ormai, la lezione: per
capire il presente, occorre conoscere
il passato. I primi ad approdare in
Madagascar furono alcuni navigatori
di origine malese-polinesiana tra
il I ed il V secolo d. C. Intoo al XVI
secolo fu la volta dei portoghesi che,
trovando l’isola semivuota, distrussero
le basi commerciali esistenti e
prelevarono schiavi da deportare in
Europa. Dal XVI secolo la popolazione
si divise in tre regni: la monarchia
Sakalva e i due regni di Betsileo
e di Merina. Nel 1828, il figlio del sovrano
di Merina unificò i tre imperi,
concludendo il lavoro avviato dal padre
nel 1810.
Alla fine del secolo, dopo la morte
inattesa del sovrano, l’isola cadde
in una crisi profonda, segnata da numerosi
conflitti per la successione al
trono. Fu proprio in questo clima di
fragilità che le potenze occidentali
poterono gettare le basi del colonialismo.
Con il loro arrivo, molte foreste
vennero distrutte per destinare
il suolo all’agricoltura intensiva di
prodotti come caffè, cotone e zucchero.
I contadini locali vennero
privati delle loro proprietà e costretti
a lavorare in condizioni di
sfruttamento. I francesi colonizzarono
l’isola dal 1896.
Nel 1948 l’esercito soppresse una
violenta rivolta di contadini malgasci
stanchi di subire l’egemonia francese.
L’indipendenza fu raggiunta
solo nel 1960.
Nel 1975 venne eletto capo dello
Stato Ratsiraka, dopo la sconfitta del
regime militare imposto dal generale
Ramanantsoa. Ratsiraka attuò una
serie di riforme, seguendo una politica
di orientamento socialista e chiuse
l’economia dell’isola ad ogni comunicazione
verso l’esterno, soprattutto
nei confronti del Sudafrica.
Ratsiraka goveò il paese sino al
1992, anno in cui Albert Zafy venne
nominato presidente del Madagascar.
Anche Zafy attuò una serie di
profonde riforme, proposte dal Fondo
monetario internazionale.
Il malcontento della popolazione
fu talmente forte, che Zafy fu costretto
a dare le dimissioni nel 1996.
Il 16 dicembre 2001 vinse le elezioni
Ravalomanana dopo una serie estenuante
di ballottaggi, scioperi nazionali
e manifestazioni di protesta.
Gli scontri, da allora, non sono mai
cessati e l’economia del paese è ancora
in ginocchio.
La maggior parte della popolazione
è dedita all’agricoltura, nonostante
la percentuale della superficie coltivabile
sia rappresentata solo dal 4%
del suolo. L’isola però esporta una
piccola parte dei suoi prodotti mentre
importa metalli, petrolio e macchinari
dall’Occidente. Le esportazioni
riguardano prodotti agricoli e
pesce, destinati alle tavole di Francia,
Italia, Giappone e Stati Uniti.
Recentemente, il settore finanziario
è stato rafforzato con interventi di
ristrutturazione e privatizzazione, attuati
nei settori di telecomunicazione
e trasporti. Il debito estero ammonta
a 4.394 milioni di dollari. Ben 19 agenzie
di Sviluppo Internazionale
(World Bank) sono situate nell’isola.
La maggior parte di esse investe fondi
in progetti legati al sociale, alle infrastrutture
e ai trasporti.
Il 26 luglio 2002, il Madagascar a
Parigi ha presentato un programma
di ricostruzione e sviluppo. Si tratta
di un programma d’urgenza, destinato
a sostenere le fasce di popolazione
più povere. Le autorità sostengono
che per esse sarà previsto
un piano nutrizionale immediato, la
creazione di lavoro temporaneo e
misure volte a migliorare il settore
dell’istruzione e sanità di base.
Nonostante le promesse, l’agricoltura
sembra ottenere pochi benefici.
Roland, presidente dell’associazione
malgascia Reny Fanilo, ci spiega che
gli indigeni qui coltivano quasi esclusivamente
patate. «L’obiettivo
dell’associazione che rappresento è
quello di insegnare agli agricoltori a
coltivare il grano. In questo modo si
garantirebbe alla popolazione locale
un’alimentazione più sana e la
possibilità di un guadagno» – ci dice.
LA SPERANZA DELLA SCUOLA
Dopo avere camminato per il centro
della capitale, arriviamo a Tsiadana,
periferia di Antananarivo. Visitiamo
la scuola «Espoir de Tsiadana
», gestita dalle suore Francescane
dell’Immacolata (Modena). L’ordine
è nato nel 1970, con lo scopo di
ridare dignità umana agli individui
più emarginati attraverso attività di
alfabetizzazione, programmi di igiene
di base e promozione dei diritti
della donna.
La scuola Espoir è un edificio semplice,
dalle pareti intonacate di bianco
e una scritta blu al centro. Le suore
ci dicono che è stata costruita dai
genitori dei bambini che, armati di
buona volontà e coraggio, hanno
partecipato attivamente ai lavori.
Il progetto è stato reso possibile
grazie al contributo di alcune associazioni,
tra cui «Aiutare i bambini»,
una Onlus di Milano che sostiene
programmi a favore di minori poveri,
ammalati e senza istruzione in ogni
parte del mondo.
«Aiutare i bambini» ha contribuito
alla costruzione dell’edificio della
scuola e sostiene a distanza una classe
di 100 bambini dal 2002. Suor Teresa
Fontana, cornordinatrice del programma,
ci spiega: «Sono 1.037 i
bambini che frequentano la scuola.
Spesso vengono da lontano e percorrono
molti chilometri a piedi per
raggiungerci. L’Associazione sostiene
due classi a distanza. Agli alunni
vengono così garantiti istruzione,
materiale didattico ed
assistenza medica. Nel 2002,
almeno venti studenti sono
stati operati alle tonsille; altri
hanno ricevuto visite oculistiche
e dentistiche… Le
insegnanti della scuola
sono ragazze del luogo,
preparate e sorridenti,
nonostante abbiano avuto
un passato non
facile».
Conosciamo così
anche Juditte, insegnante
della nona
classe di Espoir. Ci
parla della difficoltà
dei bambini
nel raggiungere la
scuola. «L’assenteismo
è molto
diffuso: alcune
volte i bambini
si ammalano,
altre non sono in grado di raggiungere
la scuola perché non hanno
mangiato a sufficienza. Non hanno
la forza necessaria per camminare.
Talvolta raggiungono la scuola, ma
sono così affaticati ed affamati che
a malapena riescono a seguire la lezione.
Un altro problema è rappresentato
dalla carenza di materiale
didattico. Ciò che viene distribuito
è puntualmente perso. Eppure, nonostante questi limiti, sono felice. Alla
fine dell’anno constato che sono
riuscita ad insegnare qualcosa di
buono. Sono piccoli passi, ma sono
compiuti» – ci dice sorridendo.
Poco dopo incontriamo anche Serge:
cinquant’anni, francese. Prima di
stabilirsi in Madagascar, ha vissuto
dodici anni in Asia. Poi, dopo avere
brevemente collaborato con un’organizzazione
inglese, decise di lasciare
l’isola. I giovani gli chiesero di restare
e lui rimase. Si occupa della
scuola e mi racconta del suo arrivo.
«All’inizio ho avvicinato i ragazzi
con il calcio. Non avevamo molto,
così abbiamo costruito palle di carta
e stracci. I ragazzi che hanno partecipato
al gioco sono stati i primi a frequentare
la scuola e con loro sono
nate anche squadre fortissime. Abbiamo
pure partecipato due volte alle
semi-finali nazionali» confessa orgoglioso.
«I giovani studenti hanno età diverse
e non hanno solo bisogno di istruzione,
ma anche di cibo – prosegue
-. Le loro famiglie difficilmente
riescono a garantire un pasto al giorno;
così cerchiamo di ospitarli anche
per il pranzo: la mensa fornisce più
di 500 coperti. Non lontano da qui,
in due laboratori professionali, le ragazze
apprendono a cucire; seguono
pure un programma di igiene e per
l’educazione dei figli. Da quando abbiamo
avviato i laboratori, più di 300
ragazze hanno trovato lavoro stabile
nella capitale» conclude fiero.
Ètardi. Lasciamo tutti i personaggi
del nostro viaggio e ci
riavviamo a malincuore verso
la capitale. Ed ecco, sulla strada,
vediamo ancora decine di bambini
vagabondare senza meta. Hanno il
volto di Michel e di Stefan. Forse,
bambini come loro, esisteranno sempre
ad Antananarivo e per le strade
del mondo, ma la missione «Espoir
de Tsiadana» ci ha dato un esempio
meraviglioso di cura e impegno per
il prossimo. Un esempio
che funziona: come l’amore,
come la speranza.
SCHEDA
Superficie: 587.153 Kmq
Popolazione: 16.437.000 (0-14 anni:
45.02%; 15-64 anni: 51,77%; oltre 64
anni: 3.21%)
Speranza di vita: 40 anni
Mortalità infantile: 136 su 1.000
Gruppi etnici: malgasci, indiani, pakistani,
francesi, cinesi
Religione: culti indigeni 52%, cristiani
41%, 7% musulmani
Tasso alfabetizzazione: 46%
Ordinamento politico: repubblica parlamentare
(1960 indipendenza dalla
Francia)
Economia: agricoltura (caffè, chiodi di
garofano, vaniglia, zucchero); industrie
(lavorazione della carne, tessile); minerali
(cromite, grafite, carbone, bauxite)
Sotto la soglia di povertà: 70% vive
con 1 dollaro al giorno
Spesa per l’istruzione: 16%
Spesa per sanità pubblica: 1.1%
Debito estero: 4.394 milioni di dollari
Domanda… e risposta
La capitale del Madagascar ora si chiama Antananarivo. Fino a pochi anni fa
il suo nome era Tananarive, ma la gente continua a chiamare la capitale Tanà.
Più corto. È abitata dall’etnia dei mérina, di origine indonesiana, arrivata su questi
altipiani a partire dal V secolo. Costruita su dodici colline, a 1.200 metri sul
livello del mare, è circondata da risaie a perdita d’occhio. Il colore dominante è
il rosso: tutto è costruito in mattoni cotti al sole. Le strade sono strette e sinuose,
sempre in saliscendi.
La città dà un’idea di povertà e miseria. Le botteghe sono lungo tutte le strade
da ambo i lati, piccole e non sempre pulite; impressionano specialmente quelle
di carne e salsicce esposte in pieno sole, che attirano sciami di mosche e insetti.
Le strade pullulano di bambini e bambine in ogni ora del giorno. Anche
all’ora della scuola. Dove sicuramente non vanno.
Anno 1999. Perché non vanno a
scuola? È la prima domanda
che mi frulla in testa, mentre attraverso
questa città: lo chiedo
anche a chi mi accompagna. «Non
ci sono abbastanza scuole per tutti,
anche facendo due tui» è la
risposta.
«Mi piacerebbe costruire almeno
una scuola» penso.
A Tanà, le suore «Discepole del Sacro
Cuore», fondate a Lecce e per
le quali lavoro, hanno qui il noviziato. Arrivano in visita mons. F. Ruppi, arcivescovo
di Lecce, e il nunzio apostolico. La prima cosa che dicono è: «Perché non
fate una scuola qui, nel vostro giardino?». Evidentemente, pure a loro era venuto
lo stesso pensiero, attraversando i vari quartieri. Dico che è una buona idea.
Anche le suorine sono dello stesso parere. Quando lasciano la casa, la decisione
è presa.
Faremo una scuola per questo quartiere povero di Mandrosoa, situato alla periferia
di Tanà, non lontano dall’aeroporto. Le novizie faranno le maestre durante
il secondo anno di noviziato, che è un periodo di apostolato pratico.
Il vescovo Ruppi fa un primo generoso gesto. Un certo signor De Filippo (di Montecarlo),
che si trova nei paraggi in vacanza e a cui spiego il progetto, aggiunge
quello che manca. Si può iniziare!
La scuola diventa realtà nell’estate 2002. L’Associazione di Montecarlo «Aide et
presence» finanzia i banchi per la scuola. Dirige i lavori un volontario di Bellano
(Lecco), Oreste Gottifredi, mio amico da tanti anni. Costruiamo la scuola
sullo stile della città, in mattoni rossi a vista. Niente cemento, perché i mattoni
stanno insieme con terra rossa bagnata, la stessa su cui è costruita la scuola. Due
piani, dodici aule spaziose. Il pavimento è in cemento, perché le piastrelle sono
care. Finestre e porte vetrate per avere più
luce. A Tanà, in certi giorni fa freddo e tira
vento. Però di solito, restano aperte e
l’Oceano Indiano non è lontano.
Nell’ottobre 2002 arrivano i primi allievi.
Incominciamo con 150 bambini. Gioia e
tanta vita fremono ora nel giardino delle
novizie del Sacro Cuore di Tanà. Vere discepole:
«Lasciate che i pargoli vengano
a me!». Siamo in linea con il cuore generoso
del nostro Maestro.
NOÈ CEREDA
missionario della Consolata
in Madagascar
Roberta Vocaturo