Chiese… calpestate
Secondo una tradizione fu l’apostolo Tommaso, negli anni
42-49, a evangelizzare i parti, medi, ircani, battriani,
margiani: tutti popoli dell’antica Persia, molto più estesa
dell’attuale Iran. Altre tradizioni attribuiscono la prima evangelizzazione
in Iran agli apostoli Bartolomeo e Taddeo.
È lecito supporre che a portare tra quei popoli i primi semi
del vangelo siano stati gli ebrei della diaspora: «Parti,
medi, elamiti e abitanti della Mesopotamia» (Atti 2,9), che
il giorno di pentecoste, a Gerusalemme, ascoltarono il primo
discorso di Pietro.
È certo che, tra il I e IV secolo, comunità cristiane e monasteri
si svilupparono a oriente dei confini dell’impero romano.
Prima del 313, il cristianesimo era già religione di
stato nei regni di Edessa e Armenia, evangelizzata nel II secolo
da Gregorio l’Illuminatore. A Urmia, Salamas (Khosrova),
Tabriz, Julfa… si svilupparono fiorenti comunità armene,
come testimoniano ancora oggi antiche chiese e monasteri.
Ne è un esempio Santa Maria a Urmia.
All’inizio i cristiani poterono espandersi e vivere in pace
sotto la dinastia sasanide (224-636). Ma quando re Sapòre
II (310-379) entrò in guerra con gli imperatori Costantino
e Costanzo, i cristiani furono considerati nemici della
Persia: le cronache parlano di 16 mila martiri.
Quando la dottrina di Nestorio sulla duplice personalità
di Cristo fu condannata dal concilio di Efeso (431),
molti suoi seguaci si rifugiarono in Persia e, nel terzo sinodo
di Seleucia (486) i vescovi proclamarono la «Chiesa
assira d’oriente», con patriarca proprio (catholicos), senza
mai rinnegare la sua comunione con Roma e la chiesa
universale.
Legate allo stato, isolate dal resto della cristianità, fuori
dai movimenti teologici e decisioni dei concili, la chiesa
armena rimase monofisita, quella di Edessa nestoriana; entrambe
diventarono quasi indipendenti, senza mai rinnegare
il legame con la sede di Pietro.
Nei secoli VIII e IX la chiesa assira ebbe grande vitalità ed
espansione, fino a contare 20 diocesi, 200 monasteri e 80
milioni di fedeli: i suoi missionari si spinsero in Cina, Mongolia,
Manchuria, Giappone. Con l’invasione islamica incominciò
la decadenza, peggiorata sotto il dominio dei mongoli.
Nel XIV secolo la loro vita cristiana era praticamente
concentrata nei monasteri.
Tale declino fu dovuto anche a fatti interni: nel 1450 il
catholicos Simon IV Denkha (1437-1497) stabilì che la carica
di patriarca fosse ereditaria: la chiesa era dominata da
un’unica famiglia, fino a eleggere minori poco istruiti. Alla
morte di Simon VII (1551), alcuni vescovi nestoriani rifiutarono
la successione del nipote e scelsero Giovanni Sulaka.
I francescani, che dal XIII secolo erano arrivati in Persia,
insieme ai domenicani, per riportare i cristiani alla comunione
con Roma, oltre che per convertire musulmani e mongoli,
suggerirono a Sulaka di chiedere la conferma del papa.
Nel 1553 Giulio III lo consacrò vescovo in San Pietro e
lo nominò patriarca di tutti i nestoriani che si sarebbero uniti
alla chiesa di Roma: nasceva la «chiesa caldea».
Sulaka si stabilì a Dyarbekir in Turchia; ma due anni dopo
fu imprigionato, torturato e giustiziato. Per oltre 200
anni vi furono tensioni fra comunità favorevoli o contrarie
a riconoscere l’unione con Roma. La situazione si stabilizzò
nel 1830, quando Pio VIII confermò il metropolita Giovanni
Hormizdas come capo di tutti i cattolici caldei, con il titolo
di «Patriarca di Babilonia dei caldei», con sede a Mossul,
nel nord dell’Iraq, poi trasferita a Baghdad (1950).
Nel secolo XVI salì al trono persiano una dinastia veramente
iranica: i safavidi, che riportò il regno all’antico
splendore. Lo scià Abbas (1588-1629) chiese aiuto al papa
e ai paesi d’occidente contro i turchi, in cambio aprì le
porte del regno ai missionari cristiani.
In pochi decenni gli agostiniani portoghesi, carmelitani,
gesuiti e cappuccini francesi si stabilirono nella capitale
Isfahan, Shiraz e altre città importanti, costruirono
scuole e chiese, promossero lo sviluppo del paese e riportarono
varie comunità armene e assire nell’alveo romano.
Fu il periodo d’oro delle missioni cattoliche. Lo stesso
scià partecipò a varie funzioni religiose di cattolici e armeni,
dicendo di essere cristiano nel cuore. Nel 1621 organizzò
pubbliche discussioni su argomenti religiosi tra cattolici,
anglicani e musulmani: un periodo di dialogo che la
Persia non sperimentò mai più.
Ma poiché nella lotta contro i turchi dall’occidente arrivarono
solo promesse, allo scià saltarono i nervi; a pagare
il conto fu l’agostiniano De Melo: inviato come ambasciatore
in Europa e Russia, accusato dai compagni di delegazione
come spia, nel 1614 fu arso vivo ad Astrakan.
Più sfortunati furono i cristiani armeni. Per fiaccare la
potenza turca, nel 1604 Abbas I distrusse le città di Erevan,
Julfa e Nakhchivan, ne deportò gli abitanti e li ricollocò
a Nuova Julfa, una città vicino a Isfahan. Ammirato
delle loro capacità industriali e commerciali, il re usò gli armeni
per avviare le industrie tessili, in concorrenza con
quelle turche.
Per avere più collaborazione degli armeni, lo scià finanziò
la costruzione di 13 chiese, ma non esitò a tartassarli.
Ogni volta che aveva bisogno di soldi, inventava una persecuzione
e il gioco era fatto: la borsa o la fede, cioè pagare
o diventare musulmani. Stesso trattamento era riservato
a caldei e assiri.
Nel 1708 la Persia firmò un trattato di amicizia con la
Francia e toò la pace, ma per poco. I turchi invasero l’Armenia, depredarono la popolazione e cominciarono lo sterminio;
ragazzi e ragazze andarono ad aumentare gli harem
dei padroni. Poi gli afghani occuparono il resto del paese.
I missionari dovettero fuggire e le missioni cattoliche andarono
in rovina: nel 1789 la capitale contava 7 cattolici;
chi non riuscì a scappare venne ucciso.
Così finivano 200 anni intessuti di sacrifici e umiliazioni,
persecuzioni e coraggio, illusione e speranza, fede e carità.
Nel 1808 Napoleone rinnovò il trattato di amicizia con
la Persia. I missionari lazzaristi poterono aprire missioni
a Khosrova; vi costruirono la cattedrale di San Givargis,
orgoglio dei cattolici; quindi un seminario. Tra i primi
11 preti c’era Paolo Bedjan, diventato famoso per gli studi
sulla lingua e letteratura siriaca: pubblicò 36 volumi, che
distribuì gratuitamente alle comunità caldee.
Da un viaggio in Francia, padre Bedjan toò con un harmonium:
la gente ne fu impressionata, perché «cantava con
la bocca, con le mani e con i piedi».
Dal XIX secolo missionari cattolici e protestanti tornarono
tra le comunità assire e caldee con scuole e assistenza
medica, elevandone cultura e condizioni di vita e promuovendone
l’identità linguistica e religiosa.
Anche le comunità armene poterono riappropriarsi della
loro identità, con scuole, giornali, stazioni radio, finché
scoppiò la prima guerra mondiale.
A cominciare dal 1914, i cristiani di Urmia e Salamas furono
oggetto di barbarità da parte di turchi e kurdi: chiese
e conventi saccheggiati; decine di migliaia di caldei e
armeni in fuga verso il Caucaso, decimati da fame e freddo.
Inutili furono i tentativi di resistenza degli armeni, di
cattolici e non-cattolici, comandati da Agha Petros Ellof, e
dei nestoriani, guidati dal patriarca Mar Shimun. Mentre
nelle città si consumava il genocidio, i cristiani della campagna,
60-80 mila, fuggirono verso il sud.
Nei decenni seguenti i cristiani furono più tollerati. Delegazioni
della Santa Sede e dello scià avevano appena
concordato alcuni punti di convivenza e dialogo tra islam e
cristiani, quando la rivoluzione di Khomeini (1978) azzerò
tutto. Anzi, le 14 scuole cattoliche, orgoglio della nazione,
furono chiuse; preti e suore espulsi e i dispensari confiscati.
Discriminati per motivi religiosi ed etnici, i cristiani furono
cacciati dall’amministrazione e insegnamento, esclusi
da attività commerciali e sottoposti a restrizioni d’ogni genere.
La fuga dall’oppressione islamica ha costretto i cristiani
a emigrare: in pochi anni sono passati da 320 mila a 120
mila (12 mila cattolici), riducendo la loro presenza allo
0,1% della popolazione iraniana.
Oggi la chiesa cattolica in Iran è organizzata in 3 riti (caldeo,
armeno e latino) e 5 diocesi, tre territoriali per i caldei
(Teheran, Urmia, Ahwaz) e due personali, per armenocattolici
e latini.
L’assassinio di alcuni leaders religiosi ha fatto temere una
nuova persecuzione. Con l’avvento al potere del presidente
Khatami, la situazione sembra migliorata, ma rimane ancora
molto buia.
Benedetto Bellesi