Attraversando l’isola-continente dell’Australia
SOTTO LO SGUARDO DEI CANGURI
«Vagando in solitudine
ho conversato
con me stesso,
e queste sono
le mie parole»
(da una ballata australiana).
Un paese di compagni (o quasi)
Gli aborigeni vi risiedono da circa 40 mila anni.
Ma alla fine del 1700 la loro esistenza viene sconvolta per sempre.
L’Australia diventa specialmente bianca, grazie allo sbarco
di alcune centinaia di galeotti e soldati agli ordini del re d’Inghilterra.
Oggi le cose stanno mutando:
primo, perché ai pronipoti dei criminali si sono aggiunti nuovi immigrati;
secondo, perché gli aborigeni dicono: «Questa terra è innanzitutto nostra!».
È un’isola-continente… In un articolo
corposo apparso su Time
(25 settembre 2000), in occasione
delle olimpiadi di Sydney, lo
scrittore e critico d’arte Robert Hughes,
australiano, residente da circa
30 anni negli Stati Uniti, ha evocato
i pregi e difetti dell’Australia come
soltanto un nativo può fare.
Contrariamente a quanto tutti hanno
pensato, i giochi olimpici non sono
stati per gli australiani l’occasione
per richiamare l’attenzione su di
essi, un evento per diventare sempre
di più come gli americani. Nonostante
la forte tradizione sportiva, l’importanza
dei giochi è stata inferiore
a quella di altri avvenimenti.
Non esiste per gli australiani, sia
realisti sia idealisti, il coinvolgimento
nella teoria dell’«eccezionale».
LAICI E «PAGANI»
La colonizzazione dell’Australia
iniziò con lo scarico di criminali britannici.
La differenza con la colonizzazione
americana fu profonda, perché
l’avventura nelle terre degli indios
si tramutò quasi in un’impresa
religiosa, una missione per liberare il
mondo dal peccato e creare il paese
di Dio. Invece, di fronte agli «australiani
», non c’era alcuna aspettativa
morale, ma nemmeno un‘angosciosa
delusione.
Ancora oggi gli australiani tendono
ad essere «pagani»: accentuano
l’etica del piacere in ogni
aspetto della vita; lo fanno, forse,
perché favoriti dalla natura, dal delizioso
clima delle coste (dove vive il
90% della popolazione), da una cucina
raffinata e da superbi vini; sono
esaltati dalla possibilità di praticare
sport in condizioni ottimali (lo spettacolo
della sabbia dorata e dei surf
che battono le onde è seducente).
La cultura è estremamente laica.
L’istruzione statale è eccellente e
nessun sussidio è dato alle scuole
confessionali. La predicazione sulla
«vita eterna» è debole e inascoltata,
malgrado qualche piccolo
effetto sui giovani a causa dell’influenza
culturale americana… Le
elezioni politiche costano pochissimo,
e non è necessario essere ricchi
per finanziarsi la campagna elettorale.
Non esistono scandali che rivelino
l’ipocrisia di apparire in pubblico
diversi dal privato.
Il maschio australiano, come il protagonista
del film Crocodile Dundee
(l’uomo della selva, con il tipico cappello
in testa, il volto abbronzato e
spesso deturpato dal melanoma, provocato
dall’eccessiva esposizione all’ultravioletto),
non coincide con la
realtà. L’«australiano tipo» è un giovanottone,
buon lavoratore (ma senza
stress), con moglie e due figli, un
mutuo per pagare il bungalow di mattoni
(il più vicino possibile alla spiaggia),
il tosaerba, il computer. I bambini
incontrano il canguro solo allo
zoo, o come vittima della strada.
AMICI SENZA DIFFERENZE
Alcune caratteristiche dell’australiano
moderno derivano dal suo passato,
quando i nonni vivevano nella
foresta e i bisnonni erano galeotti deportati
dall’Inghilterra.
Il valore riposto nell’amicizia, per
esempio, ebbe inizio nel duro mondo
delle colonie penali, continuò nel faticoso
lavoro in foresta come allevatori,
pastori, tosatori. Avere un amico
significava sopravvivere e tradirlo
essere meno di un uomo: questo era
il teorema della vita coloniale. Le sue
tracce sono ancora molto vive oggi.
Mate (compagno) è la parola più
comune; gli australiani riescono a ficcarla
in ogni situazione, e per questo
tutto il mondo li prende in giro. Tuttavia
è bello sapere che esiste un
continente dove il termine più usato
è «compagno», perché sottintende
uno stile di vita rilassato e aperto,
degno di essere esportato ovunque.
Un’altra espressione comune
è no worries
(non c’è problema).
La gente la
usa pure per dire
«prego».
Il rovescio
della medaglia
è costituito
dall’avversione
ad ogni forma
di élite: un’avversione
che è
pregiudizio, assurda
negazione dell’abilità,
intelligenza e competenza
incluse nel funzionamento
di ogni società.
In Australia le classi esistono (anche
se spesso si afferma il contrario)
fin da quando i «nati liberi» si sono
opposti ad abbandonare la loro posizione
di superiorità sugli ex condannati
e i loro figli. Però una sorta di
miopia intellettuale produce un’indifferenza
(che sovente rasenta il disprezzo)
verso chi si distingue per i
risultati raggiunti. Unica eccezione è
lo sport, vera religione dell’isola-continente.
Di conseguenza l’Australia non ha
mai onorato i suoi scrittori, pittori,
musicisti e intellettuali, che sono per
lo più sconosciuti all’estero. Soltanto
l’arte aborigena contemporanea
suscita qualche attenzione
oltremare; ma questo è da
inserire nel fenomeno della
rivalutazione di ogni «arte
tipica», da tempo comune
a tutto il mondo.
I sofisticati milionari di
Inteet di oggi non sono
molto diversi dai loro
antenati, minatori, nella
corsa all’oro di Ballarat del
1851. Lo stile di produrre
ricchezza contiene la convinzione
che la superiorità è fortuna,
e il gioco ne è la metafora
perfetta. Gli australiani,
infatti,
sono fra i più accaniti
giocatori
del mondo.
LA REGINA,
NONOSTANTE TUTTO
Oltre che culturalmente, l’Australia
è oscura anche politicamente: raramente
occupa spazi di rilievo sui quotidiani
stranieri. In definitiva gli australiani
si comportano abbastanza
bene, non hanno avuto guerre civili,
non sono stati invasi (però ci sono
solo andati vicino durante la seconda
guerra mondiale a causa dei giapponesi),
sono carenti di scandali politici
e corruzione, non costituiscono
una minaccia per alcuno, né sconvolgono
il mondo economico con i loro
interessi.
Non provano risentimento verso la
Gran Bretagna, colonialista, che li ha
costretti ad esportare lana e grano a
basso costo, e hanno pagato un pesante
pedaggio di uomini durante la
prima guerra mondiale: il più alto di
tutti gli alleati sia in proporzione ai
soldati che alla popolazione.
Capo di stato è il sovrano d’Inghilterra,
appartenente ad una ricca casata
anglo-germanica conosciuta come
Windsor. Il re governa tramite il
governatore generale, non eletto dal
popolo, che può abolire qualsiasi legge
emanata dal governo australiano,
addirittura dimetterlo e indire nuove
elezioni (avvenne nel 1975).
Nonostante tale anacronistico regime
di tipo coloniale, il referendum
del 1999 si è pronunciato a favore
della monarchia inglese, contro ogni
pronostico (si prevedeva il 70% per
la repubblica). Una logica strana ha
portato il 54% dei votanti a ritenere
più vantaggioso e democratico avere
come capo un ricco sovrano straniero
e ritenere, al contrario, insicuro un
presidente australiano sostenuto da
un governo eletto dalla base: e questo
sempre per la scarsa considerazione
nei riguardi dei «migliori».
I monarchici hanno vinto non perché
gli australiani siano particolarmente
devoti alla regina, ma perché
fra i repubblicani hanno prevalso le
divisioni e non vi è stato accordo sul
tipo di repubblica da appoggiare e
sulle modalità del sistema elettorale.
L’Australia è inoltre povera di simboli.
Si vorrebbe cambiare la bandiera
nazionale, eliminando da essa
il jack dell’Unione, ma non c’è accordo su un nuovo stemma. Le stesse
mascottes delle olimpiadi sono state
banali. A parte il canguro o il koala,
l’Ayers Rock (la più straordinaria
pietra del mondo), la barriera corallina,
l’Opera House di Sydney e
l’Harbour Bridge, si stenta molto a
fissare un’identità culturale.
Eppure gli australiani, così antielitari,
vogliono personaggi da ammirare.
«Se non abbiamo la regina, chi
possiamo rispettare?…»: si ripeteva
nella campagna elettorale del 1999.
Però un decreto del 1986 definì
la Gran Bretagna «paese straniero» e i vincoli economici con questo
paese, seppure non trascurabili, stanno
perdendo importanza rispetto a
quelli con il vicino nord-asiatico.
È dunque questione di tempo: la
monarchia in Australia finirà, come
la stessa Elisabetta II ha ammesso
durante la sua ultima visita all’indomani
del referendum pro o contro la
monarchia. L’anglo-australiano, leale
verso il re, ha tenuto fino a mezzo
secolo fa, quando il 90% degli australiani
era di discendenza inglese.
IMMIGRATI E ABORIGENI
L’infausto provvedimento, secondo
il quale nessun asiatico o discendente
da neri poteva stabilirsi in Australia,
fu abbandonato nel 1960.
Ora l’immigrazione fa il suo corso
e interi sobborghi di Sydney sono enclaves
del sud-est asiatico. Superata
l’iniziale xenofobia e il disagio per le
mescolanze etniche, nel paese si sta
affermando l’idea di multiculturalità
in versione australiana. Sono soprattutto
i più giovani a concretizzare tale
parola, altrove fonte di fumosi discorsi.
Essi capiscono, in modo istintivo,
che il desiderio di avere uguali
possibilità di affermazione riguarda
anche gli immigrati, compresi quelli
di colore diverso.
Fin dagli anni ’50 nella politica australiana
lo spettro era il comunismo:
si temeva un sovvertimento; il «pericolo
rosso» era efficacemente agitato
dai politici conservatori a proprio
beneficio. Oggi anche questo è passato,
e l’Australia sta affrontando un
altro tema scottante: l’identità e i diritti
degli aborigeni, nonché il dovere
di rievocare una storia cupa e crudele.
Circa il 2% dei cittadini è aborigeno:
390 mila persone su 20 milioni;
una piccola minoranza senza
poteri economici, politici e culturali.
Non ci sono aborigeni ricchi, proprietari
di giornali o a capo di compagnie.
Su 224 membri del parlamento
di Camberra, solo uno è negrito.
L’influenza aborigena viene
esercitata (soprattutto attraverso comitati
e tribunali) con l’aiuto di
bianchi illuminati.
Questo è un fatto notevole, considerato
che i bianchi, dal momento in
cui si stabilirono colà nel 1788, iniziarono
una guerra non dichiarata di
conquista e, contemporaneamente,
negarono agli aborigeni ogni diritto.
Furono cacciati dalle terre dei loro
antenati dai coloni, e uccisi se opponevano
resistenza; molti altri morirono
di malattia o di dolore.
Ma le previsioni sulla loro totale
estinzione furono disattese. Allora la
politica fu diretta, con ogni mezzo,
verso l’assimilazione al potere dominante.
Gli aborigeni furono raccolti
in missioni, rette per lo più da pastori
protestanti, dove veniva loro insegnato
il vangelo e le abitudini dei
bianchi per prepararli a lavori umili,
soprattutto come domestici.
Nel 1910 fu introdotta una vergognosa
politica: sottrarre i bambini
aborigeni alle loro madri per assimilarli,
come orfani, nella società bianca,
privandoli del nome e della possibilità
di rivedere i genitori.
Gli aborigeni non furono citati nella
costituzione australiana del 1901
e, fino al 1962, non ebbero diritto di
voto nelle elezioni federali. Oggi diversi
australiani considerano ancora
gli aborigeni un branco di ladri fannulloni
e rifiutano di ricordare quanto
hanno sofferto nel passato, affermando
che gli australiani odiei non
hanno alcuna responsabilità.
QUARANTAMILA ANNI FA
Gli aborigeni sono un popolo antichissimo.
I loro antenati colonizzarono
l’Australia del nord, arrivando
dal mare circa 40 mila anni or sono.
Al tempo dei primi contatti coi bianchi,
nel 18° secolo, erano circa 500
mila, divisi in tante tribù. Seminomadi,
raccoglitori e cacciatori, conoscevano
il fuoco, usavano bastoni,
pietre e poco altro, con uno sviluppo
tecnologico inferiore a quello dell’Africa
o dell’America Latina.
Ma la loro cultura orale tradizionale
è straordinaria. I loro miti sono stati
tramandati per millenni con sorprendente
continuità e coerenza, come
è documentato dalle loro pitture
murali, simili a quelle di altre grotte
(Altamira, per esempio), ma di decine
di migliaia di anni più antiche. Tali
immagini mostrano come lo spirito
della morte è continuamente assorbito
dalla terra per riciclarsi in nuovi
esseri.
La terra, quindi, per gli aborigeni
è assai di più di un appezzamento
di terreno; la terra è teologia e
identità; non possedee significa
essere nessuno; la terra è l’elemento
chiave nella lotta per i loro diritti.
È occorso molto tempo per portare
i tribunali e il governo ad ammettere
che gli aborigeni possedevano la
loro terra prima dell’arrivo dei bianchi
e che la teoria della terra nullius
non era legalmente valida. Ciò è avvenuto
nel 1992, quando un membro
del clan Merian, nel nord, ha sostenuto
con successo di fronte alla
corte suprema che la sua gente era
là prima dei bianchi e che gli antichi
diritti di proprietà non erano mai venuti
meno.
Le conseguenze sono state immediate
ed esplosive, perché ingenti giacimenti
di minerali (compresi i ricchi
depositi di uranio dell’emisfero sud)
giacciono nel loro territorio. Quasi un
migliaio di rivendicazioni di terra, che
coprono il 50% della superficie dell’isola-
continente, aspettano la decisione
dei tribunali, mentre ogni giorno
ne vengono presentate altre. Questa
valanga di richieste ha causato
una paralisi burocratica. Pochi gruppi
aborigeni accettano mediazioni da
bianchi.
Inoltre non c’è accordo fra loro sull’uso
della terra; alcuni gruppi ritengono
che le terre tribali sono sacre e
non devono essere sfruttate; altri sono
favorevoli allo sfruttamento delle
miniere senza condizioni. Poi c’è il
problema di dimostrare l’originaria
proprietà, poiché solo in rarissimi casi
esiste un documento stilato dopo
che iniziarono le registrazioni. Spesso
la rivendicazione è una semplice
affermazione (autocertificazione),
fatta da aborigeni che addirittura vivono
in un’area completamente diversa.
Questo fa infuriare gli allevatori
australiani, i cui ranches sorgono su
terre di cui non hanno la proprietà,
ma solo la concessione dalla corona
britannica. Infatti la sola esistenza
di una debole rivendicazione di terra,
da parte di un aborigeno, può vanificare
un prestito dalle banche e limitare,
quindi, le possibilità finanziarie.
Perché allora non dare credito
ai bianchi che rivendicano un loro
spirito di unione alla terra, proprio
come gli aborigeni?
Questi ed altri problemi, nonostante
la moderazione dei leaders
aborigeni e la buona volontà
di tanti bianchi, sono lontani
dall’essere risolti. È il compito dell’Australia
nel nuovo millennio, per
diventare definitivamente una grande
nazione.
Anni significativi
1788: giungono i primi britannici e stabiliscono una colonia
penitenziaria a Botany Bay. Gli aborigeni, che popolano
il territorio da circa 40 mila anni, vengono espropriati
delle terre e ridotti in schiavitù.
1830: sono circa 60 mila i galeotti deportati in Australia
(ladri, marinai disertori, oppositori irlandesi, ecc.); devono
lavorare per i proprietari terrieri europei. Le colonie
penali sono anche valvole di sfogo per le tensioni sociali,
generate dalla rivoluzione industriale in Gran Bretagna.
1890-1900: l’urbanizzazione è coronata da uno sviluppo
industriale accentuato, specie a Sydney e Melboue.
I flussi immigratori cambiano la società: nascono una classe
media rurale e una ricca borghesia.
1901: sei colonie britanniche (Nuovo Galles del sud, Victoria,
Australia meridionale, Australia occidentale, Queensland
e Tasmania) si costituiscono in stati indipendenti.
1911: dall’unione delle colonie indipendenti e da altri territori
nasce l’Australia odiea con il nome di «Commonwealth
of Australia». Segue un periodo di prosperità
economica.
1939-45: durante la seconda guerra mondiale cadono
circa 30 mila australiani e 65 mila sono feriti. I rapporti
con il Regno Unito si indeboliscono. Garanti della sicurezza
diventano gli Stati Uniti.
1951: alleanza tra Australia e Stati Uniti, che negli anni
’70 coinvolge il paese nella guerra del Viet Nam danneggiandone
l’immagine a livello internazionale.
1967: referendum che riconosce agli aborigeni il diritto
di cittadinanza. Ma restano sempre discriminati.
Anni ’80: su 100 mila abitanti, i carcerati bianchi sono
67 e gli aborigeni 775, di cui due al mese muoiono. Amnesty
Inteational conferma (1987).
1983: le compagnie minerarie (interessate a diamanti e
uranio) lanciano una campagna contro gli aborigeni; i loro
diritti sulla terra lederebbero gli interessi della nazione.
1995: test nucleari francesi sull’atollo di Mururoa. L’Australia
interrompe i rapporti diplomatici con la Francia.
1999: un referendum popolare decide, con la maggioranza
del 54%, di mantenere la regina Elisabetta d’Inghilterra
a capo dell’Australia… Il paese guida le forze dell’Onu
per pacificare Timor Est.
2000: in occasione delle olimpiadi gli aborigeni protestano
per i soprusi patiti nei secoli. Molti australiani auspicano
una riconciliazione nazionale.
2002: dopo il rifiuto del governo conservatore di John
Howard di accogliere 400 naufraghi afghani (settembre
2001), le Nazioni Unite aprono un’indagine.
Il paese oggi
Superficie: 7.741.220 chilometri quadrati. È il gigante
del continente Oceania.
Popolazione: 20 milioni. I due terzi sono discendenti di
britannici e un terzo è costituito da immigrati asiatici, latinoamericani
ed europei. Gli aborigeni sono circa 390
mila e sono trattati come cittadini di serie B.
Capitale: Camberra (350 mila abitanti). Economicamente
le città più importanti sono Sydney e Melboue,
entrambe con oltre 3 milioni di persone.
Ordinamento dello stato: monarchia parlamentare, con
un governatore generale (designato dal re d’Inghilterra) e
un primo ministro. Due i maggiori partiti: conservatore e
laburista.
Lingua: inglese.
Risorse economiche: ingenti in ogni settore.
?¡ Settore primario: abbondanti i cereali, specie frumento.
Si segnalano anche canna da zucchero e cotone. Importante
l’allevamento di ovini (il paese è il primo produttore
al mondo di lana).
?¡ Settore secondario: il sottosuolo è ricco di minerali (oro,
petrolio, carbone, ferro, lignite, piombo, rame, ecc.). Tra
i «minerali strategici» c’è l’uranio.
?¡ Settore terziario: si esportano prodotti
industriali e agricoli (il paese è il primo
esportatore di carbone, il secondo di lana,
il terzo di frumento).
Il turismo è incoraggiato da convenienti
tariffe aeree e da una buona organizzazione.
Indicatori sociali: l’istruzione è obbligatoria
da 6 a 15 anni; previdenza e assistenza
medica sono gratuite; il servizio
militare (con uomini e donne) è facoltativo.
Reddito annuo pro capite: 20.950 $
USA, inflazione 1,5%; disoccupazione
7,2% (dati del 1999).
Religioni: prevale il cristianesimo, con i
protestanti pari al 42% e i cattolici al
28%. Minoritari sono i cristiani ortodossi,
buddisti, musulmani, ebrei.
NATA SULLA ROCCIA
Le origini dell’Australia dei bianchi
Verso la fine del 1700 l’impero britannico fondò una colonia penale
nel Nuovo Galles del sud, per risolvere il problema del sovraffollamento
delle carceri in patria. Nel gennaio 1788, dopo otto mesi di difficile
navigazione, una flotta di 11 navi gettò l’ancora nella baia di Sydney,
così chiamata dal nome del segretario britannico per le colonie, lord Sydney.
Un gruppo di 1.200 persone (galeotti e soldati con famiglie al seguito)
costituì il primo insediamento bianco del paese. I primi edifici in legno
sorsero lungo alcune sporgenze rocciose naturali e per questo furono
chiamati «The Rocks».
Nel giro di qualche decennio, mentre le deportazioni penali diminuivano,
lo sviluppo rapidissimo dell’allevamento delle pecore (con il conseguente
ricco commercio della lana) incominciò a richiamare anche coloni
liberi.
Nel 1829 fu nominato un governatore, ed ebbe inizio anche la vita
politica. Presto si incominciò ad usare la locale pietra arenaria e sorsero
edifici commerciali, ritrovi ed altre abitazioni. Per oltre un secolo «The
Rocks» furono il crocevia di mescolanze di umanità, ricchi e poveri, galeotti,
militari e coloni provenienti soprattutto da Inghilterra, Irlanda e altri
stati europei, ma anche da Cina ed Estremo Oriente.
Con il crescere della popolazione si diffusero anche il crimine e le malattie.
Nel 1900 la peste bubbonica colpì l’insediamento. Un’altra
minaccia si profilò negli anni ’60 da parte di gruppi di costruttori-speculatori,
che avevano progettato di cambiare per sempre l’aspetto de «The
Rocks» innalzando edifici a molti piani. La protesta popolare, che difendeva
l’importanza dello storico sito, prevalse. Oggi a Sydney la gente del
posto e i visitatori possono godere di un affascinante spazio vivibile in
una delle baie più belle del mondo.
I siti storici come il Cadman’s Cottage (la prima residenza bianca fissa
di tutta l’Australia, che ospita ora un piccolo museo), i magazzini Argyle,
la casa del mercante, il palazzo del governatore… sono stati magnificamente
restaurati e ospitano eleganti negozi di artigianato, piccole gallerie
d’arte e musei, caffè e ristoranti.
Passeggiando attraverso vicoli tranquilli o entrando in vecchi cortili,
mentre si scoprono ad ogni angolo scorci del passato, è possibile ascoltare
gratis ogni giorno jazz dal vivo e assistere alle esibizioni di artisti del
teatro di strada o a deliziosi spettacoli e attività per bambini.
Un monumento in pietra arenaria, costituito da tre personaggi in un
unico blocco (colono, militare e galeotto), ricorda la singolare nascita di
questo popolo, mentre girando lo sguardo si profila a pochi passi la sagoma
dell’Opera House, dell’Harbour Brigde e dei modeissimi grattacieli
delle compagnie multinazionali più importanti del mondo.
Silvia Perotti