MADADENI (SUDAFRICA) iniziative concrete contro l’Aids
UN MARCHIO INDELEBILE UN MARCHIO INDELEBILE
Il Sudafrica ha il più alto numero di malati di Aids.
A Madadeni i missionari della Consolata hanno dato vita a varie iniziative per prevenie la diffusione e accompagnare
persone e famiglie che ne sono colpite.
Da vari anni Nonhlanhla lavorava
come collaboratrice domestica
nella nostra casa. Si
era guadagnata la fiducia di tutti e, in
nostra assenza, la custodiva con
scrupolo e responsabilità.
Un giorno mi confidò di essere incinta.
Ma da quel momento cominciò
a indebolirsi. Si prese il periodo
di licenza per la gravidanza che le
spettava. La visitai… tossiva molto.
Diede alla luce la sua creatura, che
appariva molto fragile. Grazie alla fiducia
vicendevole, le parlai apertamente
e la consigliai di sottoporsi al
test dell’Aids. Accettò. I risultati arrivarono
troppo tardi: Nonhlanhla
era morta il giorno prima.
Thandi è un caso simile. La conobbi
pochi giorni dopo aver partorito
il suo bebè, morto quasi subito.
La donna ne era uscita molto indebolita.
Andai a farle visita: cantammo
e pregammo insieme. Si mostrava
molto forte interiormente.
Due mesi dopo, alla fine di una celebrazione
all’aperto durata più di 5
ore, venne a salutarmi. Stava bene.
Mi confidò un suo desiderio: lavorare
con i malati di Aids.
RIMBOCCANDOCI LE MANICHE
Nonhlanhla e Thandi sono due
nomi di una lunga lista: da quando
sono a Madadeni (periferia di Newcastle),
metà dei funerali sono stati di
uomini e donne che non hanno raggiunto
i 40 anni. Le statistiche prevedono
che, ben presto, la speranza
di vita in Sudafrica sarà di 38 anni
per gli uomini e 37 per le donne.
Sarà per questo, forse, che quando
domandai ai familiari di che cosa
è morto un giovane di 25 anni, mi
sentii rispondere: di morte naturale.
L’incontro con Thandi mi toccò
profondamente: non immaginavo di
vederla ristabilita in salute così presto;
il suo desiderio, soprattutto, diede
uno scossone all’abituale ritmo
del nostro lavoro missionario nelle
tre parrocchie di Madadeni.
Invitammo suor Immacolata, religiosa
delle Francescane di Nardini,
a predicare in tutte le messe. Da alcuni
anni, infatti, questa congregazione
si occupa dei malati di Aids:
hanno convertito parte di un convento
benedettino in un ospizio e
promuovono progetti per combattere
il flagello.
La risposta fu immediata e positiva:
alla fine della messa molti si iscrissero
come volontari. Nei mesi
successivi cominciò la loro preparazione.
Furono formati due gruppi
con scopi specifici: prevenzione e accompagnamento
dei colpiti da Aids.
Il primo era composto da studenti
delle scuole secondarie e giovani
che avevano appena finito gli studi.
Loro compito era aiutare i coetanei
a prendere coscienza della natura
dell’Aids e dei modi in cui viene trasmesso,
con la speranza di convincerli
che si trattava di un problema
grave e non di «propaganda» contro
le relazioni sessuali. Oltre 50 giovani
presero parte agli incontri formativi
guidati dalle suore.
L’altro gruppo, in maggioranza adulti,
con un corso di una settimana
fu preparato nell’accompagnamento
dei malati. Questi volontari s’impegnarono
a visitarli a domicilio e, al
tempo stesso, insegnare ai familiari a
convivere con un malato di Aids.
PRIME SFIDE
I corsi furono la parte più «facile»
di tutto il processo. Avevamo i volontari,
le religiose per dettare i corsi,
compreso chi s’impegnava a finanziarli.
Il difficile venne dopo.
Da dove cominciare? I giovani cercavano
spazi che non si aprivano.
Come aggregare i giovani? Da anni
si parla di Aids: molti sono stufi di ascoltare
sempre la stessa storia. Ma
non mancava loro la creatività: cominciarono
a farsi strada nei collegi,
organizzando eventi sportivi e attività
varie a livello locale.
Gli adulti, invece, cozzavano con
una realtà più dura. «Di questo non
si parla» si sentivano ripetere. Nessuno
ammetteva di essere ammalato
di Aids. Pur avendo il Sudafrica la
più elevata percentuale al mondo di
sieropositivi, questa malattia è considerata
un «marchio» infamante per
il portatore e la famiglia. Appena uno
ne è colpito, i parenti lo mandano a
«recuperarsi» o «aspettare» la morte
in casa di qualche familiare lontano,
in modo che i vicini non lo vedano.
Nelson Mandela pose un importante
precedente: durante un congresso
mondiale contro la povertà,
tenuto in Sudafrica, disse che alcuni
suoi parenti erano morti di Aids. Poi
l’ospedale ci aprì le porte: aveva bisogno
di noi. Non poteva trattenere
i malati, ma neppure disinteressarsene,
senza curarli in casa.
Ecco il piano: ogni volta che si fa
l’esame del sangue per scoprire
l’Aids, viene dato appoggio psicologico
prima e dopo il test, informando
l’interessato che, in caso risultasse
positivo, alcuni volontari sarebbero
disposti a visitarlo in casa. Se il
malato accetta, ci viene passata
l’informazione, che, naturalmente,
rimane riservata.
Un’altra idea vincente è la decisione
dei nostri volontari di visitare «tutti
» i malati di cui vengono a conoscenza.
Armati della parola di Dio e
muniti dell’«olio di esultanza», passano
di casa in casa, pregano con cattolici
e non cattolici e amministrano
un rito di unzione consentito pure ai
laici: in questo modo essi possono
rendersi conto della situazione e offrire
appoggio alle famiglie.
In molti casi, però, i volontari devono
sostituire i familiari, poiché
questi si disinteressano dei malati,
che vengono abbandonati in qualche
angolo recondito della casa,
quando non sono spediti da un parente
lontano.
COMINCIARE CON I PICCOLI
Il primo gruppo si dedicava ai loro
coetanei, ma non bastava. Data la
precocità dei nostri giovani, appariva
sempre più chiara la necessità di
cominciare a parlare del problema il
più presto possibile.
La diocesi di Durban aveva preparato
una serie di catechesi per aiutare
gli studenti dai 7 ai 15 anni a
puntualizzare gradualmente il problema.
Abbiamo adottato tale materiale
anche nelle nostre parrocchie.
Ogni sabato le otto classi, corrispondenti
al ciclo scolastico statale,
vengono in chiesa e i catechisti, insieme
ai volontari, portano avanti il
processo formativo degli alunni,
compatibile con la loro età.
Inoltre, una volta all’anno raduniamo
i ragazzi delle tre parrocchie
per una chiacchierata sugli «abusi
sessuali». L’iniziativa è stata suggerita
da un’assistente sociale, preoccupata
dall’alto numero di casi registrati
nella zona.
Vista da lontano, tale iniziativa può
sembrare esagerata; ma nell’ambiente
in cui viviamo, una catechesi che
non tocchi il vissuto quotidiano dei
ragazzi resterebbe alquanto sterile.
ORFANI
Una delle conseguenze più drammatiche
dell’Aids è l’aumento degli
orfani. Sempre più numerosi sono i
nuclei familiari formati solo da nonni
e nipotini; in molti casi i piccoli sono
abbandonati a se stessi: il maggiore,
a 10-11 anni, è già capofamiglia
e deve prendersi carico dei
fratellini più piccoli.
Un giorno un assistente sociale dell’ospedale
venne a dirci: «Nelle vostre
parrocchie avete tanti progetti di
promozione umana: vorrei incontrare
i vostri volontari e studiare insieme
il modo di rispondere al problema
degli orfani».
Tra le varie proposte fu scelta quella
di invitare i vicini a prendersi cura
dei piccoli, per non separarli e non
sradicarli dall’ambiente. Tanto più
che il governo dà un sussidio mensile
a chi si fa carico di un orfano.
L’idea è buona, ma non sempre facile
da realizzare. Bisogna convincere
le famiglie che l’Aids non è una
«macchia» infamante; vagliare la loro
disponibilità, perché non sia il luccichio
del denaro la ragione per
prendersi in casa un bambino. Ancor
più complicata è la trafila burocratica
per ottenere il sussidio.
I volontari si scontrano con un
problema tipico dei paesi africani:
molti figli non sono registrati al momento
della nascita, ma quando iniziano
ad andare a scuola. Se i genitori
muoiono senza aver provveduto
alla registrazione, nel migliore dei
casi tocca ai nonni fae richiesta. È
una pratica lunga ed estenuante, sia
per i vecchi, costretti a lunghe code,
sia per i volontari, che devono sobbarcarsi
il servizio di trasporto e assistenza
nel disbrigo delle pratiche.
CAMBIO DI VITA
Nel suo primo messaggio alla nazione
(1998), il presidente Thabo Mbeki
disse che ogni giorno 1.500
persone contraevano l’Aids; a cinque
anni di distanza, i dati statistici
continuano a parlare di 1.600 casi
giornalieri. In Sudafrica il morbo è
fuori controllo, nonostante gli sforzi
del governo per educare la gente a
combattere l’infezione.
Tali sforzi, però, non toccano la vita
e i comportamenti di giovani e adulti.
Con i volontari stiamo cercando
un cammino alternativo. Non basta
sapere cos’è l’Aids o come si
contrae, bisogna promuovere «un
cambio di vita» o, per usare il linguaggio
cristiano, occorre una radicale
conversione.
Per questo, con l’aiuto delle suore
della Misericordia, responsabili del
centro pastorale diocesano, organizziamo
periodicamente ritiri di fine
settimana per i giovani. Non sono raduni
d’informazione, ma d’incontro
con Cristo, che ci prende per mano
e ci indica la strada che porta alla pienezza, secondo la sua promessa:
«Sono venuto perché abbiate la gioia
e l’abbiate in abbondanza».
COOPERAZIONE ECUMENICA
«Se ci dicessero che un popolo
vorrebbe invaderci, ci troveremmo
uniti per affrontarlo e difendere l’identità
e la vita della nostra gente»
sentii proclamare in un incontro sull’Aids.
Di fatto, il Sudafrica è in guerra;
ma sembra che molti lo ignorino.
E poi, non bastano sforzi isolati per
vincere tale guerra.
«Siamo riusciti a sconfiggere l’apartheid;
abbiamo la forza per vincere
anche l’Aids», disse tempo fa Desmond
Tutu, il famoso vescovo anglicano
ora a riposo. È questa anche
la nostra speranza. Non ci sentiamo
più soli in questa lotta. Le notizie corrono
veloci e, data la stima di cui godiamo
come chiesa aperta a tutti i bisognosi,
siamo già stati invitati a
prendere parte a incontri con altre
organizzazioni civili e religiose per
scambiarci le idee e unire le forze.
Ogni mese ci riuniamo nell’ospedale
di Newcastle con membri della
polizia, sindacalisti, assistenti sociali
e carcerari… I frutti sono ancora magri;
c’è molta burocrazia; ma almeno
cominciamo a condividere idee, iniziative,
progetti e tentiamo di unire
gli sforzi e di sostenerci a vicenda.
Da parte nostra cerchiamo di mobilitare
tutti: abbiamo costituito un
consiglio di pastori delle chiese cristiane
e procuriamo loro sussidi e li
incoraggiamo ad avviare progetti simili
ai nostri nelle proprie comunità.
È tipico della chiesa cattolica annunciare
un vangelo che promuova
la dignità della persona; le altre denominazioni
cristiane sono più «spiritualiste
», ma qualcosa si sta muovendo
anche in esse.
Padre Rocco Marra, che da anni
lavora in diverse carceri, ha conosciuto
vari pastori che si occupano
dei detenuti: nel 2002 ha potuto organizzare
per loro un corso di quattro
incontri mensili sull’Aids; alla fine
è stato costituito un organismo ecumenico
chiamato: Agape, comfort
and care (amore e consolazione).
LE SFIDE CONTINUANO
Un giorno la madre di una volontaria
mi domandò: «Cosa fate per i
genitori dei giovani? Chi parla loro?
Chi li aiuta a prendere coscienza?
Chi fornisce loro “strumenti” per
aiutare i figli?».
Le questioni poste dalla donna
sottolineano la complessità del problema
e costituiscono un’altra sfida
dell’Aids: l’ho accolta con soddisfazione,
anche se, fino ad ora, non siamo
riusciti a dare una risposta concreta.
Ad ogni modo, questa madre
può essere un punto di partenza per
un’altra iniziativa.
La sfida più grande da vincere è
quella di «rompere il silenzio», quella
tremenda pressione che al danno
unisce la beffa: essere malato e non
potee parlare apertamente. Alcuni
anni fa, Gugu Dlamini, una operatrice
sociale, volle sfidare tale silenzio:
disse di essere malata di Aids.
La gente del quartiere la ammazzò.
Oggi, a Durban, esiste un grande
parco che porta il suo nome.
La gente del Sudafrica è fondamentalmente
cristiana, ma è evidente
che la fede non è ancora penetrata
in profondità, tanto da generare aperture
generose verso le vittime dell’Aids.
È la sfida più forte al nostro
lavoro missionario.
Non solo a Madadeni, ma in tutte
le missioni affidate ai missionari della
Consolata vogliamo dare risposte
concrete a tale sfida, formando i cristiani
alla misericordia e solidarietà,
a essere segni di consolazione di un
Dio che si è incarnato nella storia
quotidiana della gente e
ha trasformato la morte in
vita.
ALCUNI DATI
NEL MONDO
– A dicembre 2002, sono 42 milioni le
persone che vivono con l’Aids/Hiv:
38,6 milioni adulti (19,2 milioni donne)
e 3,2 milioni minori di 15 anni.
– Nel 2002 le nuove infezioni di Hiv
sono state 5 milioni: 4,2 milioni adulti
(2 milioni donne) e 800 mila minori.
– Nel 2002 sono decedute per Aids 3,1
milioni di persone: 2,5 milioni adulti
(1,2 milioni donne), 610 mila minori.
IN AFRICA
– L’Aids è prima causa di morte.
– 28,1 milioni di persone sono infette
da Hiv, con progressione di 3,4 milioni
all’anno: 9.300 al giorno.
– Nel 2002 sono morte di Aids 2,3 milioni
di persone, metà sono donne.
– In 20 anni, 13 milioni di minori sono
«orfani di Aids».
– Entro il 2010 il numero di tali orfani
è destinato a salire a 30 milioni.
– Per quanto riguarda lo sviluppo, l’Hiv
ha riportato indietro di 25 anni l’intero
continente.
AFRICA AUSTRALE
– Il Sudafrica è ritenuto il paese col
più alto numero di portatori di
Aids/Hiv.
– L’11,6% dei sudafricani è colpito da
Hiv; la cifra sale a 15,6% tra le persone
dai 15 ai 49 anni.
– Dei minori tra 2 e 14 anni, il 5,6%
sono sieropositivi e il 13% hanno perduto
uno o entrambi i genitori.
– Entro il 2010 l’epidemia potrebbe
uccidere da 5 a 7 milioni di sudafricani.
– Entro il 2010 in Sudafrica (come pure
in Botswana, Mozambico, Lesotho,
Swaziland) il numero dei morti supererà
quello delle nascite.
Gli Stati Uniti contro tutti
L’«APARTHEID
FARMACEUTICO»
Ginevra, 26 dicembre 2002. Gli
Stati Uniti si sono opposti all’accordo
tra i 144 paesi del Wto
(Omc, Organizzazione mondiale
del commercio) per la diffusione a
basso costo dei farmaci salvavita.
Questi riguardano l’Aids, ma anche
malaria, tubercolosi e una
quindicina di malattie tropicali.
Washington si è schierata a fianco
della potente lobby farmaceutica,
«Big Pharma», che non vuole vedere
intaccati i propri profitti
(+21% nel solo 2001). Nel caso
dell’Aids, per la cui terapia ci sono
i costi più alti (assolutamente inaccessibili
nei paesi del Sud del
mondo), continuerà il monopolio
delle 7 compagnie farmaceutiche
che hanno l’esclusiva dei brevetti
fino al 2016: Pfizer, Roche,
Glaxo-Smith-Kline, Merck, Abbot,
Boehringer, Bristol-Myers
Squibb.
Assediati dalla malattia, alcuni
paesi (tra i quali India, Brasile e Sudafrica)
già producono farmaci generici
(cioè con gli stessi principi
attivi dei farmaci brevettati).
Su queste tematiche si veda:
il «dossier Aids» su Missioni Consolata
di giugno 2001.
José Luis Ponce de León