L’università cattolica del MOZAMBICO

Intervista con il rettore Filipe J. Couto
Per non essere
accattoni

All’università cattolica abbiamo soprattutto incontrato
padre Filipe J. Couto, rettore magnifico:
nell’arco di 13 giorni ci ha accompagnati in aereo,
auto e treno in tutte le facoltà.
Un pomeriggio a Nampula, all’ombra di un mango,
ci ha rilasciato la seguente intervista.
È troppo poco definire le risposte «interessanti».

Signor rettore, non c’è rosa senza
spine. C’è qualche spina all’università
cattolica?
Nel 1997 c’è stato uno sciopero
generale nella facoltà di diritto, perché
il decano, il vicedecano e tre docenti
portoghesi si erano dimessi. E
questo ad appena un anno dall’apertura
dell’università.
Cos’è avvenuto?
È avvenuto che i suddetti docenti,
non concordando con la linea del rettore,
si sono appellati al gran cancelliere
dell’università, l’arcivescovo
Jaime Pedro Gonçalves. Ma questi ha
risposto: non posso rimuovere il rettore
per causa vostra, e gli interessati
in 24 ore si sono
dimessi. Poi gli studenti,
per evitare ulteriore
caos, si sono schierati con
il rettore.
L’università cattolica è nata per
ridurre l’«asimmetria» rappresentata
anche dall’università
statale di Maputo. Oggi come
sono i rapporti fra i due atenei?
Sono come le mani del corpo: fra
i due atenei c’è collaborazione.
L’università statale considera
quella cattolica un fattore di sviluppo,
che cornopera con il governo
ed altri enti dello stato al bene comune.
E l’università cattolica
non intende staccarsi dal contesto
nazionale: proprio come
una mano nel corpo umano.
La statale opera nel sud
del paese (Maputo e dintorni);
invece la cattolica
lavora nel centronord.
Però l’università
cattolica è presente anche
a Maputo con l’istituto
«Maria, madre dell’Africa», dove si insegna
teologia della vita consacrata
e si tengono corsi
per educatori sociali.
Oggi il Mozambico
necessita di esperti
che sappiano
anche rimboccarsi
le maniche…
Ben detto! Proprio a questo mira
l’università cattolica. Ecco perché si
stabilisce il periodo di studio: da un
minimo di quattro anni ad un massimo
di sette. Poi si deve andare a
lavorare come impiegati statali o nel
settore privato come imprenditori.
Vogliamo che l’università sia legata
al mondo del lavoro in genere: scuole,
negozi, imprese… Una università
aperta anche ad altri paesi: Malawi,
Zimbabwe, Sudafrica, Tanzania.
La «cattolica» è frequentata anche
da protestanti, musulmani,
induisti. Quale clima interreligioso
si respira?
Ieri a Nampula siamo passati davanti
ad una università islamica, che
ha iniziato con una piccola facoltà di
agraria ed economia. Che Allah l’aiuti!
Dobbiamo tenere conto anche di
questa esperienza: per esempio, non
vedo perché qualche nostro professore
non possa insegnare anche in un
centro musulmano.
Allora in che consiste l’«identità
cattolica» dell’università?
L’università si ispira alla dichiarazione
pontificia Ex corde Ecclesiae.
Premesso che in tutte le facoltà si
parla di Gesù Cristo e si insegna etica,
occorre anche ricordare che un
cattolico perde la sua identità se si
isola: in tale caso, non è più cattolico,
ma settario. L’identità cattolica
comporta assai di più della recita
del breviario ad un’ora precisa, della
lectio divina… Hai presente l’esperienza
di san Pietro con Coelio?
Sì, ma ricordala tu ai lettori della
rivista.
Secondo gli Atti degli apostoli (10,
9-30), un giorno san Pietro vede un
lenzuolo con degli animali ritenuti
impuri dagli ebrei osservanti, e una
voce che gli dice: mangia. Ma lui, da
bravo ebreo, risponde: no. E la voce:
tu non devi considerare impuro ciò
che Dio ha creato. Poi Pietro incontra
Coelio, un romano pagano, animato
però dallo Spirito Santo. L’apostolo
dice a se stesso: io non posso
negargli il battesimo solo perché
non è ebreo.
Che c’entra questo con l’identità
cattolica?
C’entra, c’entra! A volte chi vuole
salvare l’identità cattolica è un credente
pigro, chiuso in se stesso, non
aperto alla voce dello Spirito Santo,
e considera impuro ciò che impuro
non è.
Per accedere all’università uno
studente deve pagare ogni anno
da 500 a 1.000 euro, secondo le
facoltà. Non sono cifre alte in un
paese povero?
L’università fa tutto il possibile
per abbassare i costi e venire incontro
agli studenti bisognosi. Ma,
per aiutare, ci vogliono mezzi: l’università
cattolica non ne possiede
molti. Allora ben vengano le borse
di studio! Se la chiesa ha dei soldi,
ben vengano, anche perché l’università
non li trova per strada… E
senza denari, non è possibile comprare
libri, avere buoni professori…
Però mi domando: fino a quando
dobbiamo continuare a dare e dare?
Si raccomanda l’autonomia economica
nel terzo mondo; ma non basta
auspicarla, bisogna farla… Oggi abbiamo
2.300 studenti (che pagano
facendo sacrifici), e si va avanti.
L’università cattolica impressiona
positivamente anche per la
disciplina che vi regna… Qual è
l’atteggiamento di fronte a comportamenti
sessuali che possono
causare sieropositività?
Siamo severi e raccomandiamo il
massimo controllo di se stessi. Tuttavia
il sieropositivo non è escluso
dall’università, ma gli si suggerisce
come curarsi.
Entrando all’università, si richiede
allo studente il test dell’Aids?
Lo si consiglia con tatto. Molti studenti
vi si sottopongono liberamente.
Però i testimoni di Geova, contrari
a trasfusioni di sangue, rifiutano
il test.
Come vedi il futuro dell’università
cattolica?
La speranza è di poter contare su
persone competenti, non fanatiche,
che credono in ciò che fanno: persone
che con la loro presenza diano
un’impronta all’università. L’ho detto
anche al cardinale Saraiva, ex rettore
della pontificia università urbaniana
(Roma), prefetto delle «cause
dei santi». Egli mi ha risposto: questo
è «il» problema di tutte le università
cattoliche.
Inoltre vorrei che all’università ci
fossero più insegnanti seri di etica
che riflettano profondamente.
L’etica dell’«homo ludens» (la
persona che gioca) o quella
dell’«homo faber» (la persona
che costruisce)?
Soprattutto l’etica dell’homo faber.
La Germania, sia in ambito cattolico
che protestante, ha dei consiglieri di
etica, e ritiene che nel rapporto fra
capitale e forza-lavoro la presenza di
tali consiglieri debba essere del 50%
in ambo le parti.
Infine all’università noi dovremmo
avere docenti apartitici, dediti solo
all’insegnamento.
Tu hai sposato il pensiero del
partito Frelimo, ne conosci tutti
i leaders del passato e presente.
Qual è la tua posizione, se l’università
non deve schierarsi con
alcun partito?
Io non sono il segretario di un partito;
lavoro in una università della
chiesa cattolica.
Quindi hai dimenticato la tua
appartenenza al Frelimo!
No!… In Italia a chi ti chiede «per
quale partito voti?», tu giustamente
puoi rispondere che il voto è segreto…
All’università io non faccio
propaganda per il Frelimo. Ma questo
non significa che non abbia una
preferenza di partito. Se la mia posizione
politica non è gradita, i vescovi
mi possono sempre rimuovere.
I vescovi, nello scegliermi come rettore,
non mi hanno detto niente.
Mia Couto ha scritto: «Un tempo,
quando c’era una visita di politici
o stranieri, avevamo l’ordine
di non mostrare un paese mendicante…
Ora invece bisogna mostrare
la popolazione con la fame
e le malattie contagiose. La nostra
miseria sta diventando positiva.
Per vivere in un paese di
mendicanti, è necessario esibire
le ferite, mostrare i bambini con
le ossa fuori».
Rettore Couto, qual è il tuo parere
al riguardo?
Il romanziere Mia Couto colpisce
nel segno giusto… L’università cattolica
non è solo una sfida alla povertà,
ma anche al comportamento
da mendicanti.

LA PERLA
DELLO SVILUPPO

In ricordo di Paolo Carpaneto
Ho visitato il Mozambico con uno scopo: verificare
in loco le strutture, l’impostazione, l’efficienza, la
situazione generale dell’università cattolica (UCM), retta
da due missionari della Consolata, per eventuali borse di
studio a nome di mio figlio Paolo.
Dopo la sua morte (21 ottobre 1996), sorse in mia
moglie Mariuccia e in me il desiderio di prendere qualche
iniziativa per aiutare, in ricordo di Paolo, la promozione
culturale di giovani in paesi in via di sviluppo.
Padre Francesco Beardi ci parlò della UCM, da poco
nata, con l’invito ad attendee gli sviluppi… Maturati i
tempi, il missionario suggerì di recarsi in Mozambico
per capire meglio la situazione. Decidemmo di metterci
in viaggio nell’estate scorsa. E così fu.
All’aeroporto di Torino-Caselle, la prima piccola avventura:
le forbici da barbiere! Padre Beardi aveva riposto
le forbici nel bagaglio a mano; quindi, passando
attraverso i controlli di sicurezza, furono evidenziate dal
metal detector e fatalmente sequestrate. A nulla valsero
le spiegazioni e suppliche del missionario: «Mica sono
un terrorista!». Così le forbici, che da 30 anni lo avevano
accompagnato nei suoi viaggi per il mondo, finirono
in un inverecondo contenitore di oggetti di scarto.
Lascio immaginare la costeazione dell’interessato.
Quali le impressioni sul viaggio e sull’università? Si
possono riassumere in una frase: sono partito con
molte buone intenzioni e sono ritornato pieno di ragionato
entusiasmo.
Buone intenzioni, perché? Forte e profondo è stato
il desiderio di ricordare Paolo in modo duraturo e a certe
condizioni; finalmente si è presentata l’occasione che
rispondeva ai nostri desideri. Ragionato entusiasmo, perché?
Quello che ho visto in Mozambico in generale e nell’università
in particolare è andato oltre ad ogni ottimistica
aspettativa; di qui l’entusiasmo che, quasi con fatica,
ho dovuto razionalizzare.
Cosa mi ha colpito di più? La gente: questi bantu con
le loro tradizioni, la cultura, semplicità e disponibilità al
sorriso, l’affetto verso i missionari e il desiderio di vivere,
quasi a voler recuperare in pace il tempo perduto in
guerra. Altre favorevoli impressioni: l’innata eleganza del
portamento (soprattutto delle donne), la dignitosa povertà,
non miseria (non ho incontrato un solo mendicante,
al di fuori di Maputo; ma – si sa – le capitali sono
sempre crogiuoli dove si fondono gli elementi più eterogenei
e con maggiori difficoltà). Mi ha colpito il ruolo
fondamentale della donna, il rapporto mamme-bambini,
il rispetto di questi verso gli adulti, la consapevole e
composta partecipazione alle celebrazioni religiose.
Mozambico, una nazione veramente in via di sviluppo
con un costante indice di crescita, che si ripercuote
su particolari abbastanza significativi della vita quotidiana.
Un esempio: in alcune zone del nord, considerate le
più arretrate, il numero di biciclette, dopo 10 anni dall’accordo
di pace (4 ottobre 1992), si è quasi centuplicato.
E non sono poche le donne che ne fanno uso.
Ma è l’università cattolica, scopo del viaggio, la «perla
» dello sviluppo in corso. L’università, voluta dai
vescovi mozambicani e realizzata dai missionari della
Consolata (con il coraggio di padre Franco Gioda, allora
superiore, e il duro, costante lavoro di padre Francesco
Ponsi, attuale amministratore e vicerettore), è la prima
organizzazione nazionale con sede fuori della capitale
Maputo. È stata riconosciuta dal Consiglio dei
ministri del Mozambico quale unità autonoma di utilità
pubblica a beneficio della società. Padre Filipe J. Couto,
mozambicano, ne è il rettore.
L’università nasce nel 1996 con tre priorità: è un
mezzo al servizio della pace; è attenta ad evitare gli errori
commessi in altre università; è un’entità universale,
non settaria, aperta a tutti, per formare persone con un
servizio di qualità alla comunità. Non a Maputo, dove già
esiste l’università statale e dove gravita quasi tutta la vita
del paese, ma nel centro/nord, per dare ai giovani di
quelle province, spesso dimenticate, la possibilità di una
valida formazione e iniziare a correggere gli squilibri causati dal potere accentratore della capitale.
All’UCM si respira aria pulita, in quanto regnano ordine,
serietà, competenza, desiderio di far bene. Entrando
nelle diverse facoltà si avverte il senso di responsabilità
e la carica di entusiasmo che anima tutti: il rettore,
i professori, gli ultimi assunti, gli studenti. Tutti
contribuiscono con impegno alla vita e alla crescita dell’università.
Interessante è il coinvolgimento degli studenti nelle
facoltà di medicina, agricoltura e turismo, dove è stato
introdotto dall’inizio il metodo di «apprendimento basato
sui problemi» (problem based leaing): un metodo
che verrà assunto presto anche nelle altre facoltà,
che hanno iniziato con l’impostazione tradizionale.
Secondo l’«apprendimento basato sui problemi», si
assegna un argomento agli studenti (in gruppi di otto),
che lo sviluppano avvalendosi di testi in biblioteca; lo dibattono
fra loro affiancati da un assistente; periodicamente
gli studenti devono rispondere sul lavoro svolto;
nel corso dell’anno il gruppo stesso elimina eventuali studenti
svogliati, di rendimento insufficiente. A fine anno
ogni studente affronta gli esami personali, dove si valuta
l’idoneità al passaggio all’anno successivo. Non esiste
la figura del professore titolare di cattedra.
Il metodo responsabilizza gli studenti, li rende parte
attiva e forma in essi una mentalità di ricercatori, qualità
indispensabile quando, laureati, eserciteranno la professione.
Il successo dell’UCM presso i giovani del centro-nord
del paese è confermato dal numero crescente di presenze
che, nell’anno accademico 2002/03, supera le
2.300 unità con una massiccia partecipazione di ragazze:
quasi la metà degli studenti. Questo è il fatto
che maggiormente stupisce, ma che a sua volta sottolinea
l’evolversi positivo della promozione della donna.
Inoltre, se il corpo accademico è costituito per metà da
personale straniero, l’altra metà è mozambicano, con la
certezza di aumentare il numero nei prossimi anni.
Molte sono le persone di spicco. Basti citare i coniugi
Jan e Frouke Draisma, responsabili della facoltà di
Scienza dell’educazione (Nampula), che hanno rinunciato
alla cittadinanza olandese per naturalizzarsi mozambicani.
Però sopra tutti svettano il rettore, padre
Couto, e vicerettore-amministratore, padre Ponsi: due
personalità diverse e complementari.
Padre Couto è una mente vulcanica lanciata verso il
futuro, prolifico di nuove idee, conosciuto ed apprezzato
in tutto il paese per il suo impegno nella lotta di liberazione
nazionale, con ampie entrature in tutte le direzioni,
sostenitore di una ferma disciplina in seno all’università.
Padre Ponsi, piemontese pacato, figura di gentleman
inglese, con una profonda esperienza di studioso e
docente, amministratore provetto di assoluta affidabilità.
Entrambi animati da una solida fede, da un elevato spirito
missionario, fermamente convinti del valore dell’università
cattolica. È la migliore garanzia per il futuro.
LINO CARPANETO

Francesco Beardi Lino Carpaneto