L’università cattolica del MOZAMBICO

UN FIORE NATO SULLA PACE

«L’identità cattolica
comporta assai di più
della recita del breviario
ad un’ora precisa,
della “lectio divina”…»
(padre Filipe J. Couto, rettore
dell’università cattolica
del Mozambico).
«Ho preso possesso
in uno sgabuzzino della
Conferenza episcopale
mozambicana,
con una sedia,
un tavolino
e senza un centesimo…»
(padre Francesco Ponsi,
vicerettore e amministratore
dell’università cattolica).

Scena e retroscena di un grande evento
E non è mancato
un sorso di whisky

L’università cattolica del Mozambico è un evento, un grande evento.
Nasce per volontà dei vescovi come strumento di giustizia, pace e democrazia.
La realizzazione è affidata ad un missionario della Consolata.
Inaugurata nel 1996, il rettore e vicerettore «inventano» poi le facoltà
di medicina e agraria. Meglio: valorizzano un liceo malandato dello stato
e una caserma di guerra. I carri armati sono ancora là…
Oggi l’università conta oltre 2.300 studenti in sei facoltà (economia,
medicina, scienza dell’educazione, diritto, agraria, turismo-informatica)
a Beira, Nampula, Cuamba e Pemba.

FRA DUE LITIGANTI
La guerra in Mozambico impazziva
da anni. E il popolo, esasperato,
«impose» il cammino verso la pace…
Così i belligeranti si ritrovarono
a Roma, presso la Comunità di S.
Egidio, per concertare la fine delle
ostilità. Però le discussioni si protraevano
sterili, interminabili. L’uomo
della strada insorse ancora: «Finitela!
Da oltre un anno e mezzo
mangiate e bevete a sbaffo, mentre
i nostri figli si scannano con i vostri
bazooka».
Nel giugno 1992 le trattative tra i
contendenti Frelimo e Renamo (Fronte
di liberazione del Mozambico e
Resistenza nazionale mozambicana)
erano ad un punto morto. Nel disegno
di ricostruire il paese, la Renamo
rinfacciava al Frelimo l’«asimmetria
regionale», ossia una specie di
colonialismo interno del sud rispetto
al centro-nord.
È possibile firmare l’accordo di pace
anche subito – incalzava la Renamo
-; però le cose continueranno immutate.
Per esempio: i giovani del
nord resteranno esclusi dalla formazione
universitaria; per ottenerla dovrebbero
raggiungere Maputo, dove
esistono tutte le strutture specializzate,
ma dove i nostri giovani non
hanno appoggi familiari o conoscenti.
Per non parlare di strade e trasporti.
Restando così le cose, tutti gli
sforzi di recare democrazia e giustizia
al paese rimarranno frustrati.
In tale contesto, per superare lo
stallo, Jaime Pedro Gonçalves, arcivescovo
di Beira e mediatore fra i
contendenti, lanciò un messaggio:
la chiesa cattolica si sarebbe impegnata
a fondare una università nel
centro-nord del paese. La coraggiosa
proposta sgelò l’ambiente di diffidenza
e recriminazione.
Il 4 ottobre 1992 Frelimo e Renamo
firmarono gli accordi di pace dopo
16 anni di guerra civile, che aveva
prodotto un milione di morti, milioni
e milioni di profughi interni,
devastazioni incalcolabili e aveva seminato
2 milioni di mine. Il paese,
con un reddito annuo pro capite di
soli 63 dollari, era da bonificare e ricostruire
dall’«a» alla «z», materialmente
e socialmente.
Si cominciò anche dall’università
cattolica, proposta da dom Gonçalves a nome dei vescovi del Mozambico.
Il progetto aveva entusiasmato
il presidente della repubblica Joaquim
Chissano. Era piaciuto anche al
papa Giovanni Paolo II.
Ma chi avrebbe posto «mano all’aratro»?

MA LE VIE DEL SIGNORE…
«I vescovi del Mozambico hanno
chiesto a me di mettere mano all’aratro…
». È la schietta affermazione
di padre Francesco Ponsi (*), vicerettore
e amministratore dell’università
cattolica. Con il rettore, padre
Filipe J. Couto, ci accoglie a braccia
aperte nella loro abitazione di Beira,
non facendoci mancare neppure un
pacchetto di wafers e un bicchierino
di Ballantine.
«Però, questi poveri missionari con
il Ballantine in tavola!» abbiamo malignato
mentalmente. Poi, osservando
il loro modestissimo alloggio, ci
siamo subito ricreduti. Biscotti e whisky
erano solo l’espressione di una
ospitalità squisita.
«Per iniziare l’università – racconta
padre Ponsi, in T-shirt bianca e
ciabatte nere nell’afa della sua camera
seminterrata -, il presidente
della Conferenza episcopale mozambicana,
dom Paulo Mandlate, si è rivolto
a vari istituti missionari, che
tuttavia non se la sono sentita di assumere
l’iniziativa. Però padre Franco
Gioda, superiore dei missionari
della Consolata, ha risposto: “Noi,
forse, noi uno che può farcela l’abbiamo”…». Cioè Francesco Ponsi,
docente nel seminario maggiore di
Maputo.
Questi rievoca sorridendo: «Il 1°
luglio 1993, dopo gli esami dei seminaristi
a Maputo, ho assunto l’incarico
in uno sgabuzzino della Conferenza
episcopale… con una sedia,
un tavolino e senza un centesimo».
Sennonché le vie del Signore sono
infinite. Ed ecco che, attraverso padre
Beniamino Guidotti e i professori
Felice Rizzi e Stefania Gandolfi (in
Mozambico a nome della Conferenza
episcopale italiana – Cei), al missionario
furono assegnati 25 mila euro:
non un granché per iniziare una università
da zero. Ma furono un catalizzatore,
come… i cinque pani e due
pesci (di evangelica memoria) che,
miracolosamente, sfamarono oltre 5
mila persone (cfr. Mc 6, 35-42). Infatti,
poi, la Cei donò altri 250 mila
euro per le sedi universitarie di Beira
e Nampula, nonché 200 mila euro
per le case dei professori a Nampula.
Oggi la chiesa italiana garantisce,
ogni sei mesi, 250 mila euro.
Né si scordi il contributo dei vescovi
del Portogallo, pari a 550 mila
euro, da aggiungersi a quello della
società filantropica Gulbenkia (Lisbona)
e della banca tedesca Merkur,
che offrì un prestito senza interesse.
Né è mancato il prezioso «obolo
della vedova», ancora di evangelica
estrazione: si tratta di donazioni di
istituti missionari, diocesi, parrocchie,
solo «offerte-
Couto,
un prestito
banca del
Mozambico Standard Tota (restituiti
con interesse). E gli studenti pagano…
Soprattutto si sta operando con
intelligenza e coraggio per raggiungere
l’autonomia finanziaria. La facoltà
di economia l’ha già conseguita
e quella di diritto quasi.

SUPERATA L’ASIMMETRIA
Il 10 agosto 1996 l’università ha
aperto i battenti a Beira con la facoltà
di economia e con quella di diritto
a Nampula. Il superamento della
temuta «asimmetria» è apparso
subito evidente con le due sedi universitarie
decentrate rispetto alla capitale
Maputo.
Dal 1998 Nampula ospita anche la
facoltà di scienza dell’educazione,
mentre dal 2000 Beira si è arricchita
dell’impegnativa medicina. Di più:
a Cuamba (nella dimenticata provincia
del Niassa), dal 1999 opera la facoltà
di agraria e, dall’anno scorso,
nella pittoresca e nordica Pemba si
studia informatica e turismo.
Complessivamente 2.300 giovani
frequentano l’università: sono cattolici
e musulmani, induisti e protestanti,
agnostici e credenti; appartengono
a sei facoltà, dislocate
in quattro città su una linea di circa
1.500 chilometri. «Cinque nostri
diplomati, dopo la specializzazione
in Zimbabwe e Botswana, operano
già in alcune sedi: uno è cornordinatore
alla facoltà di turismo e sarà
presto affiancato da un altro; il terzo
è direttore aggiunto alla facoltà
di agraria; la quarta persona è una
signorina, che sarà l’amministratrice
della facoltà di medicina, e la
quinta entrerà pure nell’organo direttivo
della medesima facoltà…».
Il vicerettore manifesta legittima
soddisfazione.
Il tutto in soli sei anni, mentre il
paese è ancora sanguinante per le
ferite della guerra civile ed è sottoposto
a drammatiche emergenze,
come l’alluvione di tre anni fa. Ma la
pace opera prodigi. E l’università
cattolica lo è.
«Dopo lunghe e faticose trattative
– annota padre Ponsi – lo stato ha
restituito alla chiesa cattolica alcune
strutture educative nazionalizzate:
come il grande liceo dei missionari
maristi di Beira e quello Nossa
Senhora das Victorias (Madonna delle
vittorie) di Nampula». Durante il
colonialismo erano centri efficienti
di studio; ma alla riconsegna le «crepe
» non si contavano. Oggi quegli
edifici, ristrutturati, sono la sede decorosa
di alcune facoltà.
L’università cattolica è nata con la
«c» maiuscola, al servizio del bene
comune, della giustizia sociale, della
pace… oltre che al servizio di una
professione ad alto livello. Questo è
sancito pure dallo statuto, dopo numerosi
incontri con l’università cattolica
del Portogallo e quella (all’inizio
cattolica) di Durban, in Sudafrica;
per non contare gli estenuanti
negoziati con i ministeri dell’educazione e della giustizia del governo
mozambicano. L’idea che l’università
fosse «per la gente del centro-nord»
si è fatta strada faticosamente tra alcuni
politici del sud.
«Però ce l’abbiamo fatta. Abbiamo
superato l’asimmetria. La nostra università
è la prima organizzazione nazionale
fuori della capitale».
Sembra davvero soddisfatto padre
Francesco, che si concede una pausa
ed accende la pipa.

SPADE IN ARATRI?
La facoltà universitaria che ci sorprende
di più è quella di agraria a
Cuamba: primo, perché è la più povera
ed isolata; secondo, perché sorge
in un’ex caserma di guerra. Sul
fondo, dietro gli edifici, alte erbacce
coprono autoblindo e carri armati,
con uccelli che cinguettano rincorrendosi
e bimbi che giocano. Dalle
carcasse arrugginite sono stati
divelti dei rottami. Per fae zappe
e badili?
… Forgeranno le spade in vomeri
per arare e le lance in falci per
mietere il grano, e i popoli non si
eserciteranno più nell’arte immorale
della guerra: fu il grande sogno di
un poeta sommo, 2.300 anni fa (cfr.
Is 2, 4). La profezia sta avverandosi
nel cuore del Mozambico dalla facoltà
di agraria?
A prescindere dai sogni, la facoltà
avrà un futuro roseo se Cuamba diventerà
un nodo stradale per le province
di Niassa, Cabo Delgado, Tete,
Zambesia e Sofala, province che non
possono ignorare l’agricoltura: un’agricoltura
che deve crescere tecnologicamente
superando la soglia della
zappa. Una agricoltura che, perfezionandosi,
potrà occupare con successo
anche i giovani, arrestando l’esodo
verso le città, cariche di lusinghe
e menzogne.
Ragiona padre Ponsi: «Un figlio di
contadini, diplomato in agraria, se
lo chiudi in ufficio a Maputo, non si
sente realizzato; egli ha bisogno del
campo, di incontrare gli agricoltori,
di vedere le loro condizioni per aiutarli.
Preparare un dottore in agraria
con tali orientamenti è un servizio
all’intera nazione. Intanto, mentre
frequenta l’università, deve accedere
alla biblioteca, al computer… Speriamo
di ottenere presto anche l’accesso
ad internet. Ma non basta conoscere
i problemi; bisogna risolverli
positivamente secondo la cultura locale».
Per venire incontro a tale esigenza
fondamentale, ecco che la facoltà
di agraria ha accettato l’apporto del
Centro di cultura della missione di
Maua, specializzato nello studio dell’etnia
dei macua (cfr. Missioni Consolata,
gennaio 2003).

«MAASTRICHT»
FA LA DIFFERENZA

E le altre facoltà?
Economia raccoglie il numero più
alto di studenti: quasi 800. Il fine è
quello di creare piccoli imprenditori
nei villaggi, capaci di gestire in proprio
un’attività, produrre posti di lavoro:
quindi sviluppo. A tale scopo,
si richiedono minicrediti iniziali, ma
anche fantasia innovativa. Alla facoltà,
i futuri piccoli imprenditori si
sentono spesso ripetere: «Osservate
i venditori del mercato informale nel
centro di Beira. È, come ben sapete,
il Chunga moyo (fatti coraggio). Attingete
da quei venditori (assai meno
istruiti di voi!) idee e costanza».
Ma, ad un tiro di sasso dal mercato
informale, spicca il supermercato
Shoprite: appartiene ad una catena
del Sudafrica. Il nome «shoprite» (il
rito di acquistare) è già un messaggio,
molto equivoco però. Non lontano
s’impone anche «il monumento
alla globalizzazione»: è una gigantesca
bottiglia di Coca-Cola che, da un
basamento circolare in cemento, si
staglia solenne sotto il cielo… La facoltà
di economia è chiamata a remare
anche controcorrente.
Sempre a Beira, un tardo pomeriggio
visitiamo la facoltà di medicina,
con il sole che ne illumina gloriosamente
la facciata. Ci accompagna il
rettore Couto. Una guardia giurata,
in divisa grigio-verde, scatta sull’attenti
al passaggio del «capo»… facendoci sentire noi stessi un po’ importanti.
L’apertura di medicina è merito del
rettore, che ha saputo fronteggiare
resistenze serie. Il Mozambico – si
obiettava – più che di medici necessita
di infermieri; e poi non è equipaggiato
per formare cardiologi, chirurghi…
Ma Couto replicava: puntiamo
prima su medici e, se non ce la
faremo, avremo ugualmente ottimi
infermieri. Ha vinto la scommessa.
Il problema non è solo la preparazione
professionale di medici, bensì
disporre di esperti di sanità in sintonia
(ancora una volta!) con la cultura.
La stragrande maggioranza dei
medici mozambicani lavora a Maputo;
solo un’esigua minoranza accetta
di operare nei villaggi. Occorre invertire
la tendenza.
«Si tratta di creare un “nuovo” medico
di eccellente qualità – spiega padre
Ponsi -, ma disposto a servire i
poveri e dimenticati dalle strutture.
Non per forza deve essere un missionario,
ma con il suo spirito, sì. È necessario
un professionista che, dopo
la laurea, continui a leggere la realtà
in cui vive. Formare professionisti
con una mentalità di ricerca e aggioamento
permanente comporta
una struttura di sostegno, che non si
limita alla facoltà di medicina; implica
che l’università formi medici per
la società e continui ad accompagnarli
con libri, computers e incontri
fra loro via internet e congressi inteazionali…
Esiste pure una medicina
a distanza, che si estende a tutti
i centri di salute dove le comunità
devono essere seguite…».
«La nostra facoltà di medicina deve
essere non solo un luogo dove si
studia, ma anche una sede di scambio
di esperienze: una facoltà che
utilizzi, come metodo di studio, il
problem based leaing (apprendere
partendo da problemi concreti),
già sperimentato in Olanda da 20
anni all’università di Maastricht. Anche
noi l’abbiamo assunto…».
In facoltà incontriamo alcuni docenti,
fra cui padre Elias Arroyo, medico
missionario comboniano messicano,
e suor Donata Pacini, anch’essa
dottoressa comboniana. È poi la
missionaria ad accompagnarci nella
visita a medicina.
Ci soffermiamo davanti ad un murale
naif, che esprime bene l’animus
dello studio nella facoltà secondo il
problem based leaing: partito dal
villaggio, il dottore neolaureato vi
ritorna per servire la comunità secondo
le esigenze e lo stile di vita
locali. All’università studia in gruppo,
ricorre constantemente alla biblioteca
(è necessario quindi conoscere
l’inglese), fa pratica su manichini
anatomicamente perfetti, non
su cavie umane.
La novità del problem based leaing
non è solo di metodo, ma (e soprattutto)
di approccio tra professore
e studente, dove il primo non è il
soggetto protagonista e il secondo
oggetto. Tra i due si sviluppa un rapporto
alla pari, simile a quello della
«maieutica» di Socrate. Nel dialogo,
il grande maestro greco aiutava l’allievo
a cogliere la verità con domande
«curiose»: «Non ti pare che io fossi
nel giusto?… O tu avresti paura
che…?» (Platone, Fedone, passim).

STUDENTI CHE RECUPERANO
Purtruppo non incontriamo studenti,
perché sono in vacanza. Tuttavia
ne salutiamo alcuni in biblioteca.
«Sono in ritardo con il piano di
studi rispetto ai compagni di gruppo
– spiega la professoressa Karin,
austriaca, della facoltà di economia
-. Se non vogliono essere emarginati
dai loro stessi colleghi, devono recuperare».
Sugli studenti si sofferma anche
suor Dominique, delle orsoline italiana,
responsabile dell’immatricolazione
ad economia e impegnata a
Beira nella pastorale della donna. Il
mondo femminile esige soprattutto
rispetto e riconoscimento della propria
dignità. «Quanto alla lotta contro
l’Aids – aggiunge la missionaria –
si punta sulla prevenzione, secondo
il principio dell’amore responsabile.
Il preservativo è accettato come ultimo
mezzo di prevenzione».
Dominique non nasconde la propria
apprensione di fronte al comportamento
di alcune studentesse
universitarie, perché vi sono gravidanze
extramatrimoniali e aborti.
Le consorelle Damiana e Raffaella
insegnano etica, basata sulla dottrina
sociale della chiesa, una disciplina
che caratterizza la «cattolica».
Se condividono la preoccupazione di
suor Dominique, sottolineano anche
i fattori positivi.
«Noi privilegiamo gli studenti poveri
– ci confida suor Damiana -, ma
non escludiamo i ricchi, quasi tutti
appartenenti all’induismo e all’islam.
I musulmani tirano un sospiro di sollievo
quando affermiamo che la religione
non può essere imposta… che
la democrazia non è né comunismo,
né capitalismo, né teocrazia… che
occorre valorizzare la cultura tradizionale,
fondata pure sulla disciplina…
Uno studente della campagna,
mi ha detto: “Suor Damiana, ora non
mi vergogno più di essere figlio di
contadini…”. Io conosco universitari
che dormono in capanne e studiano
al lume di candela. Questi vanno
aiutati».

SOFFERENZE E GIOIE
Qual è il «peso» della chiesa nell’università
cattolica?
«È sufficiente dire che l’università
è della chiesa – risponde padre Ponsi
– : una chiesa esperta in umanità,
che lotta per la giustizia, la pace, il
dialogo e la riconciliazione fra le religioni,
le etnie, i partiti… La gerarchia
ecclesiale si è attirata anche critiche,
perché si assiste ad una certa
competizione tra seminaristi e universitari.
Fino a ieri si entrava in seminario
anche per studiare e poi, magari,
fare strada in politica. Oggi è un
po’ diverso: chi sogna una carriera civile
non entra in seminario. Questo è
positivo. Qualcuno dice che l’università,
proprio perché cattolica, è settaria,
fondamentalista. Non è vero. I
frutti lo dimostrano»…
Siamo sempre nell’afosa stanza seminterrata
di padre Francesco Ponsi,
dove l’abbiamo ascoltato a lungo, ora
in attesa anche della cena con il Ballantine
per aperitivo.
Nel frattempo poniamo al vicerettore-
amministratore dell’università
cattolica il seguente ed ultimo
quesito: «Che cosa ti ha maggiormente
rallegrato e rattristato nella
tua esperienza?».
«Mi ha rattristato lo scetticismo
di alcuni uomini di chiesa, che ci
hanno ritenuti dei matti ridendo alle
nostre spalle. Certo, ci sono stati
dei rischi, ma anche delle opportunità,
che mi hanno fatto toccare
con mano valori evangelici che prima
ignoravo. Come prete missionario,
mi sono trovato in un cammino
di crescita personale e spirituale. Mi
ha rallegrato il fatto che il cammino
sia avvenuto in compagnia di
Gesù Cristo: lo dico però “balbettando”.
Se avessi continuato a insegnare
in una situazione di sicurezza,
non avrei avuto questa esperienza
unica nella vita…».
«Basta con le chiacchiere! La minestra
si raffredda in tavola…». È il
rettore magnifico dell’università,
padre Filipe José Couto, che parla e
comanda.

(*) PADRE FRANCESCO PONSI,
cuneese di 61 anni, missionario
della Consolata, laureato in sociologia
statistica e demografia
a New York.
È docente per otto anni all’università
di Addis Abeba (Etiopia)
e per cinque è in Kenya come ricercatore
nella pastorale dei nomadi.
In Mozambico insegna nel
seminario di Maputo. «Fonda»
l’università cattolica, di cui oggi
è vicerettore e amministratore.

Università cattolica
PERSONAGGI, DATE, LUOGHI, NUMERI
Nel giugno del 1992 l’arcivescovo
di Beira, Jaime Pedro Gonçalves, durante
i colloqui di pace a Roma tra
Frelimo e Renamo, lancia l’idea di
una università cattolica. Dopo l’approvazione
dei vescovi mozambicani,
la realizzazione del progetto è affidata
a padre Francesco Ponsi.
Il 10 agosto 1996 l’università inizia
con due facoltà: economia-amministrazione
a Beira e diritto a Nampula.
Successivamente si aggiungono altre
quattro facoltà:
– scienza dell’educazione a Nampula
(1998)
– agraria a Cuamba (1999)
– medicina a Beira (2000)
– turismo-informatica a Pemba
(2002).
Gran cancelliere: Jaime Pedro
Gonçalves, arcivescovo di Beira.
Rettore magnifico: Filipe José Couto,
missionario della Consolata mozambicano.
Vicerettore e amministratore: Francesco
Ponsi, missionario della Consolata.
I docenti sono 230: i mozambicani
sono il 50%; poi portoghesi, italiani,
spagnoli, brasiliani, austriaci, russi,
messicani, ecc. (religiosi e laici).
Gli studenti sono 2.336 (di cui il
48% donne), così distribuiti per facoltà:
economia-amministrazione
750, medicina 180, diritto 580,
scienza dell’educazione 490, agraria
236, turismo-informatica 100.
Tasse annuali di iscrizione: 500, 750
e 1.000 euro, secondo le facoltà. Alcuni
studenti bisognosi usufruiscono
di borse di studio.
Dall’apertura dell’università, 252
studenti conseguono il bacellierato
(una sorta di laurea breve) nelle varie
facoltà (il 50% donne). Particolarmente
soddisfatti sono i primi cinque
bacellieri in agraria, la facoltà più
povera. L’avvenimento viene festeggiato
anche con una eucaristia, il 28
agosto 2002, presieduta dal vescovo
di Lichinga Luis Ferreira Gonçalves,
che consegna i diplomi.
PER INFORMAZIONI:
Missionarios da Consolata
Avenida Eduardo Modlane 715
CP 544 – Beira (Mozambico)
e-mail: imc.beira@teledata.mz

L’ESEMPIO DI CHISSANO
Don Matteo Zuppi, della comunità di S. Egidio, è stato uno dei mediatori
negli accordi di pace del 1992. Il sacerdote è tornato in
Mozambico nel giugno scorso e ha celebrato a Nampula il 10° anniversario
degli accordi, alla presenza di 2.800 giovani. Ad essi ha ricordato
che la pace non si conquista una volta per sempre, ma si costruisce
giorno per giorno dall’«interno». Dall’«esterno» si può dare una
mano. Ma saranno i mozambicani a dover ricostruire il loro paese.
Parole opportune per una nazione fragile culturalmente e ideologicamente.
Gli anni di indottrinamento marxista e il successivo periodo
hanno minato i valori della società tradizionale. Ora il paese si apre al
futuro senza molti punti di riferimento. I pericoli di prendere la strada
sbagliata sono molti. I politici sono tentati dal denaro facile, dall’arroganza,
dalla corruzione. Il popolo, sentendosi defraudato, può essere
tentato dalla violenza o dall’indifferenza, dalla corruzione a basso livello
e dal furto.
L’attuale presidente Joaquim Chissano ha deciso di non ripresentarsi
alle elezioni del 2004: una decisione lodevole, dato che sono pochissimi
i presidenti africani che lasciano il proprio posto volontariamente.
Il candidato alla successione è Armando Guebuza, storico del Frelimo,
che ha partecipato alla guerra per l’indipendenza al fianco di Samora
Machel. È stato anche il rappresentante del Frelimo durante i
colloqui di pace del 1992.
S iamo ottimisti sul futuro del Mozambico. I mali della nazione sono
una realtà; ma è altrettanto innegabile che questi ultimi anni hanno
rappresentato un importante passo
avanti: la pace è stata mantenuta;
anche se con ritardi, si stanno realizzando
diversi programmi di sviluppo;
i partiti politici stanno imparando la
ginnastica della democrazia; la corruzione,
specialmente se paragonata
a quella di altri paesi, è contenuta
entro limiti tollerabili.
Mozambico, buona fortuna!
JUAN GONZÁLEZ NUÑEZ

Francesco Beardi Lino Carpaneto

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