Sono stato chiamato in causa da SILVIA NOVARESE, che
vuol sapere cosa penso sulla «religione oppio dei
popoli», (cfr. Missioni Consolata, dicembre 2002).
La frase di Karl Marx, invece di creare panico, dovrebbe
stimolare i credenti a disintossicarsi da egoismi
e ipocrisie, che impediscono di essere «dono, buona
notizia, nazione santa, sacerdozio perfetto».
Nelle opere di Marx che ho letto non ho trovato alcuna
affermazione contro Dio, Gesù Cristo, la Vergine
Maria, i vangeli e la chiesa, intesa come comunità di
persone che si riconoscono peccatrici e si impegnano
in una seria conversione.
Tenendo conto del contesto in cui l’affermazione
«religione, oppio dei popoli» è inserita e dell’ambiente
in cui Marx maturò le sue convinzioni, ho l’impressione
che la religione criticata sia soprattutto
quella protestante, non la cattolica. Come credente
in Dio uno e trino e nella chiesa una,
santa, cattolica e apostolica, non mi sento offeso
da Marx. Il cristianesimo è molto di più
di una religione, e sono contento quando mi
imbatto in dichiarazioni di cattolici che sottolineano
tale aspetto.
Uno è il cardinale Giacomo Biffi, il quale in
«Gesù unico salvatore del mondo» scrive: «Il
cristianesimo in sé non è una concezione della
realtà, non è un codice di precetti, non è una
liturgia. Non è neppure uno slancio di solidarietà
umana, né una proposta di frateità
sociale. Il cristianesimo non è neanche una
religione… Oggi si sente dire che tutte le religioni
si equivalgono, perché ognuna ha qualcosa
di buono. Probabilmente è anche vero.
Ma il cristianesimo non è una religione, ma è
Cristo. Cioè una persona…».
Già 2 mila anni fa un «altro Giacomo» invitava
a stare alla larga dalla religione «vana». E, se ammettiamo
che il cristianesimo non è riducibile solo ad
una religione, non possiamo prendercela con Marx. Dovremmo
riconoscere che spesso le religioni (specie se
degenerate in sètte) non solo hanno annebbiato e
frantumato la coscienza di individui e popoli, ma, con
il loro silenzio e pusillanimità e «teologie d’avanguardia
», hanno fatto sì che l’oppio stesso diventasse
religione.
Non dimentichiamolo: mentre in Europa Marx levava
il grido contro la religione-oppio e contro le teorie
antinataliste del reverendo Malthus, in Asia, Inghilterra
e Francia (già la Francia, «figlia prediletta» di
santa romana chiesa, che fino all’ultimo s’oppose all’annessione
dello stato pontificio al regno d’Italia),
scatenavano le guerre dell’oppio contro i cinesi, «rei»
di non potee più degli effetti devastanti della polverina,
«rei» di avere sequestrato ai mercanti stranieri
e bruciato 20 mila casse di oppio proveniente
dall’India e da altri paesi dell’Asia, «rei» di aver leso
il «diritto» degli uomini di sua maestà britannica di
praticare questo turpe commercio «liberamente».
Inglesi e francesi vinsero quelle guerre e sua maestà
britannica (capo della chiesa anglicana) si prese
pure Hong Kong, un’indennità di 21 milioni di dollari
messicani e ottenne il controllo del commercio con
l’estero a Canton, Shanghai, Xiamen, Fuzhou, Ningho.
Oggi oppio, eroina e altri stupefacenti stanno seminando
morte e degrado fra tanti giovani inglesi,
e neppure la casa reale si può considerare immune.
Ma l’Inghilterra continua a credere nella teoria delle
guerre giuste, ed è sempre pronta (con gli Stati
Uniti) a trarre profitto dalla miseria e vulnerabilità in
cui si dibattono tanti popoli.
Ieri era l’oppio a far litigare Londra e Pechino; oggi
sono anche la cocaina, il petrolio, il coltan, l’uranio, i
diamanti, il legno delle ultime foreste tropicali… a innescare
i conflitti più sanguinosi.
Ieri era Malthus a raccomandare il controllo delle
nascite; oggi sono la Banca mondiale, il Fondo monetario
internazionale, la fondazione Rockfeller, l’organizzazione
mondiale della sanità… a imporre, persino
nei paesi che dicevano di ispirarsi a Marx, Proudhon e
ad altri avversari di Malthus, l’aborto, la sterilizzazione
e i contraccettivi, in nome dello sviluppo sostenibile,
della lotta contro l’Aids e contro la povertà.
Fortunatamente c’è anche un movimento che, pur
nella sua eterogeneità, fra difficoltà e contraddizioni,
ha trovato un’alternativa a questo modo criminale
di concepire lo sviluppo economico, le relazioni commerciali
e i rapporti umani.
È un movimento dove trovano spazio anche molti
credenti, i quali (anche senza andare a Seattle, Goteborg
o Genova) ritengono loro dovere ribellarsi ogni
giorno (e non solo nelle settimane dei social forum o
degli anti G8) al capitalismo selvaggio, alla globalizzazione
dei neoliberisti, allo sfruttamento indiscriminato
delle risorse naturali, al massacro di tanti innocenti.
FRANCESCO RONDINA