«ALLA GUERRA! ALLA GUERRA!»

Tutti dietro a George W. Bush?
L’ossessione per la guerra del presidente statunitense,
la sudditanza dei governi,
la propaganda dei media, l’impotenza dei popoli.

«Le umiliazioni – scrive Simone Weil (Lettera a
Georges Beanos, 1938) – che il mio paese infligge
sono per me più dolorose di quelle che può subire».
Non sappiamo con certezza se l’Italia parteciperà alla
guerra di George W. Bush contro l’Iraq. Pare però
che la strada sia segnata. Il ministro Martino ha già
fatto sapere (17 dicembre) che le forze militari statunitensi
saranno gradite ospiti sul territorio e nello spazio
aereo italiani (1).
Parlare di pace e non violenza di questi tempi non è
facile. Si rischia di essere ridicolizzati, perché sputiamo
(noi pacifisti) nel piatto in cui mangiamo, perché
non capiamo (o non vogliamo capire) come vanno le
cose del mondo, perché non siamo riconoscenti con
chi ci sta salvando dal male e dai cattivi. Ma questo è
un rischio che si deve correre, almeno per essere a
posto con la propria coscienza: «Quello che ciascuno
di noi deve fare – ha scritto il premio Nobel José Saramago
– è rispettare in primo luogo le proprie convinzioni,
non tacere in nessun caso e in nessun luogo.
Pur sapendo che non cambierà niente, ma con la certezza
che almeno tu non stai cambiando».
IL PAPA O… LA NATO?
«La bibbia è piena di guerre» ci scrisse una volta un
lettore molto irritato per le nostre posizioni pacifiste
rispetto all’ennesima guerra «giusta» (quella del Kosovo)
(2).
In queste occasioni, è interessante notare come le dichiarazioni
del papa vengano utilizzate. Quando esse
sono «funzionali» a un obiettivo, allora tutti sono pronti
a citarle, chinando il capo: «Il santo padre ha detto…».
Quando invece «disturbano», allora, come d’incanto,
nei discorsi dei politici, nei telegiornali, nelle pagine dei
giornali tutto cambia. Forse le dichiarazioni non scompaiono
del tutto, ma certo diventano meno rilevanti,
più piccole, sfumate, nascoste tra le righe o relegate
dopo altre notizie, altre dichiarazioni, altre immagini.
Nel messaggio per la giornata mondiale della pace
(1°gennaio 2003), Giovanni Paolo II non ha nascosto
la propria delusione per l’Organizzazione delle Nazioni
Unite: «la prospettiva di un’autorità pubblica internazionale
a servizio dei diritti umani, della libertà
e della pace, non si è ancora interamente realizzata»
(3). Inoltre, si legge più avanti, la mancanza di fiducia
porta la gente a «credere sempre meno all’utilità del
dialogo e confidare invece nell’uso della forza come
via per risolvere le controversie».
A natale non soltanto il papa ha parlato chiaramente
in favore della pace e contro la guerra. In Gran Bretagna
(il cui governo è un fedelissimo socio degli Usa)
anche Rowan Williams, neoarcivescovo di Canterbury
e primate della chiesa anglicana, è stato molto duro
contro i leaders del mondo, pronti ad infliggere nuove
sofferenze a popolazioni innocenti. Eppure sui media
è stato dato più rilievo all’opinione di George Robertson,
segretario generale della Nato. Secondo Robertson,
l’Alleanza Atlantica ha l’«obbligo morale» di
appoggiare gli Stati Uniti in caso di guerra all’Iraq.
Nell’era dell’iper-informazione, paradossalmente (ma
non tanto) è sempre più difficile essere informati correttamente
(4). A meno di non trascorrere il tempo a
mettere insieme i tasselli del «puzzle». Prendiamo, ad
esempio, la chiesa cattolica statunitense, sotto fortissima
pressione (soprattutto mediatica) a causa dello
scandalo della pedofilia. Domandiamoci questo: come
mai proprio ora e in modo così virulento? Non è
che il governo Usa voglia mettere al muro potenziali
e pericolosi oppositori ai propri progetti di guerra e
dominio? Come mai non si parla degli scandali che
coinvolgono l’esercito americano (dall’aereo militare
che fece strage in Trentino alle violenze perpetrate in
Giappone e da ultimo in Corea del Sud)?
Non è un azzardo affermare che queste sono scelte
del potere, per portare la gente dalla propria parte.
«CUI PRODEST?»
Che dietro la guerra all’Iraq ci siano interessi economici
sono quasi tutti ad ammetterlo (magari sottovoce).
Petrolio, industrie belliche, recessione statunitense
«vogliono» questa guerra.
Gli Usa non si fidano più dell’Arabia Saudita e quindi
debbono rimpiazzare il petrolio di Riyadh con quello
di Baghdad. D’altra parte, George W. Bush viene da
una famiglia di petrolieri e annovera tra i propri sponsors
elettorali le maggiori aziende mondiali nel campo
della produzione militare (aerei, missili, sistemi elettronici,
artiglieria): Lockheed Martin, Northrop
Grumman, General Dynamics, Raytheon. Nonostante
la fortissima depressione che caratterizza tutte
le borse mondiali, queste compagnie hanno visto
un costante incremento del valore delle loro azioni (fino
all’85%) a partire dall’11 settembre 2001 (5). Fatto
abbastanza comprensibile, se si guarda al crescente
budget militare statunitense, che da solo rappresenta
il 40% della spesa mondiale per la difesa. Già prima
dell’incremento per il 2003, gli Usa spendevano
più del doppio di tutti i 15 membri dell’Unione europea
messi insieme.
Infine, c’è la crisi economica degli Stati Uniti (finora
rimasta nascosta sotto la retorica della priorità della
lotta al terrorismo), che potrebbe essere attenuata (almeno
nel breve periodo) da una guerra a Saddam.
Insomma sono tanti gli interessi «privati» collegati al
conflitto. Proprio per questo George W. Bush e il suo
entourage hanno deciso da tempo che la guerra s’ha
da fare, indipendentemente dalle Nazioni Unite, dalle
relazioni degli ispettori, dalla contrarietà della maggior
parte dell’opinione pubblica mondiale.

NECESSARIA, DOVEROSA, POSSIBILE
Ha scritto Giorgio La Pira (Utopia o morte, 1974):
«No. La pace non è un’utopia, è il fine universale, fondamentale
della storia dell’umanità intera… La pace
è necessaria. La pace è doverosa. La pace è una certezza.
La pace è possibile». Purtroppo, l’insigne giurista
e politico democristiano non poteva prevedere
quanti progressi avrebbe fatto la propaganda di guerra,
assieme alla capacità di stravolgere i fatti (6) e soprattutto
i concetti di bene e male, di giusto e ingiusto.
Durante la prima guerra del Golfo i militari scrivevano
«frasi augurali» sui missili destinati ai bombardamenti,
oggi sui carri armati statunitensi è stato scritto:
«All the way to Baghdad». Che questa sia la sicurezza
dei «giusti» è tutto da dimostrare.
Si calcola che la guerra costerà un milione di dollari
al giorno. Nel computo economico mancano le vite umane,
le devastazioni materiali e l’esacerbarsi degli
«odi» in molte parti del mondo. «È il prezzo da pagare
alla pace futura, al mondo senza Saddam ecc. ecc.»
dirà qualcuno. Rispondiamo con le parole del professor
Ahmed S. Hashim (7): «Nel mondo arabo molti sono
convinti che i rappresentanti dell’amministrazione
Bush non siano motivati da un sincero desiderio di vedere
realizzata la democrazia in questa regione, bensì
da ragioni strumentali: nel senso che qualsiasi futuro
regime arabo verrebbe considerato democratico
purché non si opponga ai disegni degli Stati Uniti e di
Israele in questa parte del mondo (…). Se il Congresso
nazionale iracheno (8) giungesse al potere e decidesse
di rinunciare alle armi di distruzione di massa,
vendere a basso prezzo il petrolio alle compagnie americane,
stabilire rapporti con Israele e dissociarsi
dal resto del mondo arabo, il nuovo governo verrebbe
considerato democratico, anche se si dimostrasse
incapace di assicurare davvero la libertà».
Necessaria, doverosa, possibile non è la guerra, ma
la pace. Eppure ancora in troppi sono convinti del contrario.

IL CAMMINO VERSO LA GUERRA
(dal 19 dicembre 2002 al 27 gennaio 2003) (*)
19 dicembre: LA CONDANNA DI POWELL
Il rapporto di Baghdad sullo stato del proprio arsenale bellico non
soddisfa le attese degli Stati Uniti. Il segretario di stato Colin Powell
parla di violazione palese della risoluzione 1441.
20 dicembre: BUSH VUOLE LA GUERRA
George W. Bush non è soddisfatto del contenuto delle 12.000 pagine
del dossier stilato dall’Iraq. Il presidente Usa autorizza l’invio
nella regione di altri 50.000 militari, che si vanno ad aggiungere
ai 60.000 già in loco. La guerra sembra dietro l’angolo, anche se
l’Onu non ha ancora sentito gli ispettori né votato.
25 dicembre: GIOVANNI PAOLO II INVOCA LA PACE
Durante il messaggio «Urbi et Orbi», il papa invoca la pace per «spegnere
i sinistri bagliori di un conflitto, che con l’impegno di tutti
può essere evitato».
26 dicembre: IL «DOVERE MORALE» SECONDO ROBERTSON
Il segretario generale della Nato, George Robertson, afferma che
l’Alleanza Atlantica ha il «dovere morale» di appoggiare un eventuale
intervento armato statunitense contro Baghdad.
1-3 gennaio 2003: L’ENTUSIASMO DEI MILITARI USA
Mentre il papa ripete che la pace è doverosa e possibile, Bush (con
giubbotto militare) arringa gli uomini e le donne in partenza per il
Golfo. I soldati, entusiasti, sventolano bandierine a stelle e strisce.
3-6 gennaio: ANCORA BOMBARDAMENTI ANGLO-AMERICANI
Continuano i bombardamenti anglo-statunitensi nelle «no-fly zones
» dell’Iraq. Le azioni sono ormai quotidiane. Le zone di non-volo
NON sono mai state autorizzate dall’Onu.
27 gennaio: GLI ISPETTORI PARLANO ALL’ONU
Arriva la relazione definitiva degli ispettori. Da essa dovrebbe dipendere
ogni futura mossa. Bush accetterà un’eventuale decisione
del Consiglio di sicurezza contraria alla guerra?
(*) La prima parte di questa cronologia della guerra è stata pubblicata
nel nostro dossier sull’Iraq di dicembre 2002.

NOTE:
(1) Basi Usa in Italia: Aviano, Camp Darby, Capodichino,
Maddalena, Trapani, Brindisi, Sigonella. Basi Nato:
Gaeta, Bagnoli, Decimomannu, Augusta, Gioia del Colle.
(2) Per le lettere pro e contro la guerra pervenute alla
nostra redazione si veda M.C., settembre 1999.
(3) Messaggio pubblicato su L’Osservatore romano del
18 dicembre 2002.
(4) Si legga il capitolo Manuale per la propaganda di
guerra, nel libro di Carlo Gubitosa, L’informazione
alternativa, Emi 2002.
(5) Si veda il dossier sul supermarket delle armi pubblicato
sul numero di novembre di Mosaico di pace, la rivista
di Pax Christi.
(6) Sulla «guerra infinita» inventata da George W. Bush
esiste un’ampia letteratura. Qui segnaliamo: Michel
Chossudovsky, Guerra e globalizzazione, Ega, Torino
2002; John Pilger, I nuovi padroni del mondo,
Fandango Libri, Roma 2002; Giulietto Chiesa, La guerra
infinita, Feltrinelli, Milano 2002; Aldo Musci, La quarta
guerra mondiale, Datanews, Roma 2002.
Sugli affari tra la famiglia Bush e la famiglia Bin Laden
nell’ambito del gruppo «Carlyle» si veda il settimanale
Internazionale del 6 dicembre 2002.
(7) Si veda Limes di novembre-dicembre 2002.
(8) L’eterogeneo raggruppamento che si oppone a
Saddam Hussein.

Paolo Moiola

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