BRASILE: l’esperienza del «bilancio partecipativo»
«ORA DECIDO ANCH’IO» Il riscatto degli esclusi
Quante
volte abbiamo protestato per lo spreco di denaro pubblico? Di certo tante.
Nello stato di Rio Grande do Sul, in Brasile, hanno provato a superare il
problema chiedendo direttamente ai cittadini come spendere i soldi
pubblici. Una lunga serie di assemblee, aperte a tutta la popolazione,
fissa le priorità: le fognature prima della strada, il consultorio prima
del campo sportivo. Il «bilancio pubblico» prende forma dalle proposte
della collettività. Un esempio, unico al mondo, di democrazia non soltanto
rappresentativa ma anche partecipativa. Con ottimi risultati, nonostante
gli sgambetti di Brasilia e i mugugni dei conservatori.
Siamo qui
per cercare di capire come funziona quello che in lingua brasiliana si
chiama «orçamento partecipativo» (bilancio partecipativo) e che oggi
rappresenta un vanto del governo di Rio Grande do Sul, uno dei 26 stati in
cui è suddivisa la repubblica brasiliana, situato alla punta sud del
paese, ai confini con Uruguay e Argentina.
Dal 1999,
Rio Grande do Sul è amministrato dal «Partito dei lavoratori» (Pt). Non
senza qualche difficoltà, visto che l’assemblea legislativa è dominata dai
partiti conservatori: su 55 deputati soltanto 10 appartengono al partito
di governo. Ma Olivio Dutra, il governatore, ha dalla sua i numeri: negli
ultimi anni lo stato ha avuto indici di sviluppo tra i più alti del
Brasile (produzione, esportazioni, occupazione).
Il sistema
del bilancio partecipativo è in funzione a Porto Alegre, la capitale, dal
1989, ma applicarlo a livello di stato era una scommessa rischiosa. Ma è
stata vinta, tanto che il sistema ha suscitato interesse ben oltre i
confini brasiliani.
Esso
combina il principio della democrazia rappresentativa con quello della
democrazia diretta. Tutti i cittadini possono dire dove e come spendere i
soldi pubblici: qualche scuola in più, un centro di salute, aiuti per
acquistare mezzi agricoli, agevolazioni per le piccole imprese, corsi di
formazione professionale, un sistema idrico per le favelas ecc. ecc. In
questo modo, si ottiene un doppio risultato: da una parte si sottrae il
potere decisionale alla discrezionalità dei politici, dall’altra si
coinvolgono direttamente i cittadini.
COME UNA
«SCATOLA NERA»
Capelli
corti, occhialetti ovali, una maglietta nera con al centro la bandiera
verde-rosso-gialla dello stato, Iria Charão è la cornordinatrice del
gabinetto delle relazioni comunitarie e assessore del governatore Dutra,
con delega speciale per il bilancio partecipativo.
Ci
attende, affabile e sorridente, seduta dietro una grande scrivania, con ai
lati le bandiere del Brasile e dello stato. Sulla parete alle sue spalle è
appesa una cartina con le 23 regioni in cui è suddiviso Rio Grande do Sul.
«Soltanto
nell’ultimo anno – ci spiega indicando la cartina – ho percorso più di 300
mila chilometri lungo le strade dello stato. Sono andata a raccogliere le
proposte delle varie assemblee popolari. L’anno scorso sono state ben 735,
alcune con più di 4 mila partecipanti».
Signora
Iria, perché è importante questa esperienza e cosa avete da insegnare?
«È una
forma di democratizzazione della gestione dello stato. Una amministrazione
legittimamente eletta ha tutto il diritto di governare, ma noi volevamo
dare più potere ai cittadini, renderli più partecipi alle decisioni
pubbliche.
Le scelte
politiche nascono dalle scelte di bilancio. Ebbene questo è sempre stato
considerato una sorta di scatola nera, nella quale soltanto alcune persone
possono guardare. Ma poiché è il popolo che tira fuori i soldi dal
portafoglio, esso ha diritto di definire quali sono le priorità verso cui
indirizzare i fondi.
Abbiamo
visto, negli anni, grandi sprechi di denaro pubblico: sono state fatte
opere faraoniche, che non hanno cambiato nulla nella vita delle persone o
che addirittura non sono state ultimate.
Si discute
anche di grandi opere, ma di solito la popolazione sceglie le priorità che
si riflettono direttamente sulla loro vita quotidiana: creazione di lavoro
e reddito, miglioramento dei consultori medici, scuole pubbliche».
REDISTRIBUZIONE
Il Brasile
è uno dei paesi al mondo dove la distribuzione del reddito è più
diseguale. La cosa si riflette anche nella struttura delle città, dove
accanto a quartieri residenziali modei e servitissimi si trovano
baraccopoli prive dei servizi basilari.
«Questo è
un punto fondamentale – spiega Iria -. Il bilancio partecipativo può
favorire la distribuzione del reddito, perché i più poveri possono dare
voce alle loro richieste e chiedere di essere favoriti nella spesa
pubblica. Se abbiamo una parte della città ben strutturata (cioè con
fognature, aree di svago, centri di cultura, ecc.), è compito di una buona
amministrazione far sì che queste condizioni di vita siano disponibili per
tutti.
Affinché
ciò avvenga, lo stato deve investire la propria rendita dove i servizi non
ci sono, ad esempio nelle periferie. I più fortunati debbono capire che è
responsabilità del potere pubblico prendersi cura della parte più debole
della società.
Noi
abbiamo un motto da seguire: i diritti non si discutono, si compiono».
CRITICO È
PERICOLOSO
Un bel
progetto, ma – ci chiediamo – quali costi sociali potrebbe nascondere?
Come in tutti i paesi dell’America Latina, anche in Brasile la
suddivisione della società in classi è ben radicata (ed anche formalizzata
a seconda del reddito: classi A, B, C, D). Un sistema come quello del
bilancio partecipativo può suscitare l’opposizione delle classi più forti?
«Il nostro
sistema – ammette Iria – ha oppositori e anche molti nemici. La destra
conservatrice e i neoliberisti lo detestano. Non tanto per quello che fa,
quanto piuttosto per ciò che crea.
Crea un
cittadino più critico, più esigente, più cosciente politicamente. Un
cittadino siffatto è un cittadino pericoloso, perché ha voce nelle scelte
dei governanti e questo alla destra non piace. Per molti politici e
affaristi è una perdita di potere e di influenza. Per esempio, un
candidato non può più arrivare e promettere che, se sarà eletto, farà
questo e quest’altro. Chi delibera le opere è l’esecutivo e questo deve
ascoltare le istanze provenienti dalle assemblee popolari. Il governo di
Rio Grande do Sul nella formulazione del bilancio dà la priorità alle
decisioni della comunità».
Rio Grande
do Sul è retto da un governo del «Partito dei lavoratori». In caso di
sconfitta elettorale (le elezioni saranno il prossimo ottobre), un’altra
coalizione politica potrebbe chiudere l’esperienza del bilancio
partecipativo. «Certo, potrebbe farlo – spiega Iria -. Anche perché non
c’è una vera e propria legge approvata dall’assemblea legislativa. Ma
converrebbe? Il nostro stato presenta indici di sviluppo invidiabili…».
INDICI ALLE
STELLE
In
effetti, nella classifica dell’«indice di sviluppo umano» (calcolato
dall’Undp, il «Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo») lo stato di
Rio Grande do Sul sta tra Portogallo e Malta, molto più in alto del
Brasile (che è al 69.mo posto, mentre l’Italia è al 20.mo).
«Una città
o uno stato con una qualità di vita migliore per tutti ha una convivenza
migliore. Questo è il ragionamento da cui partire!» spiega con decisione
Iria.
E
continua: «Se le periferie delle città hanno una qualità di vita
superiore, le persone non verranno ad invadere o assaltare altri
quartieri.
Un esempio
concreto: nella zona dell’Avenida Ipiranga, cioè in una zona centrale di
Porto Alegre, c’era una favela. Per i governi precedenti la soluzione era:
prendere la favela e spostarla fuori città. Noi abbiamo invertito questa
logica.
Le persone
abitavano lì da più di 30 anni e quindi abbiamo scelto di migliorare le
condizioni abitative in loco. Abbiamo costruito alloggiamenti temporanei
in attesa di ultimare case e palazzi definitivi. Spostare tutta la gente
della favela avrebbe reso necessario una nuova fase di adattamento, che a
volte è molto difficile. Non si cacciano le persone dall’ambiente in cui
stanno: si migliora l’ambiente».
Il metodo
del bilancio partecipativo è stato implementato dà un partito di sinistra.
Cosa dice la chiesa su questo sistema?
«In
Brasile abbiamo una chiesa cattolica progressista. Basti ricordare le
varie pastorali della terra, dei neri, degli indios, dei bambini. Ci sono
inoltre le comunità ecclesiali di base, i pastori della chiesa luterana
coinvolti con i movimenti sociali…
In
generale, la chiesa cattolica dà un grande appoggio al sistema; per
esempio, incentivando la gente a partecipare alle assemblee. Il
cornordinamento nazionale della Caritas ha molte persone coinvolte
direttamente nel bilancio partecipativo. Insomma, tutta la chiesa che
lavora con la base ci aiuta. Quante volte le nostre assemblee si tengono
nei saloni parrocchiali!».
E
Brasilia? Come sono i rapporti con il governo federale?
«Brasilia
non ci ama. È ovvio che, se avessimo dalla nostra il governo federale, le
cose sarebbero più semplici. Ma i motivi di contrasto non sono soltanto
politici. I soldi che ci arrivano da Brasilia sono pochi anche perché gran
parte dei fondi federali sono utilizzati per coprire il debito estero del
paese. C’è un problema reale di disponibilità».
MODELLO ESPORTABILE?
Nel
paese latinoamericano, il bilancio partecipativo è stato applicato a Porto
Alegre (dal lontano 1989 ad oggi), nello stato di Rio Grande do Sul (dal
1999). Si sta lavorando per portarlo anche nella megalopoli di San Paolo
(15 milioni di abitanti). È fattibile un’applicazione del bilancio
partecipativo fuori del Brasile?
«Sì,
anche se non c’è un modellino esportabile tale e quale. Però ci sono dei
princìpi fondamentali attorno ai quali è possibile costruire. Il primo è
l’universalità del sistema: tutti possono partecipare, proporre, votare.
Il secondo è la discussione del bilancio preventivo. Il terzo è la
presentazione del consuntivo. Il quarto è l’autoregolamentazione, cioè il
processo può essere corretto o perfezionato in corso d’opera dietro
intervento dei cittadini.
Infine,
c’è un principio non scritto né codificabile. È il senso di solidarietà
che il metodo risveglia in ognuno. In Brasile, ciò può fungere da
collante. Per 500 anni questo paese è stato governato da ristrette élites.
Questo processo di partecipazione alla gestione della cosa pubblica è una
sorta di riscatto degli esclusi».
Un
successo, insomma. «Ma stiamo attenti – avverte Iria -. Non creiamo
illusioni: il sistema non è magico. Non risolve i problemi da un anno
all’altro. Non fa crescere i soldi sugli alberi. Certo, più cittadini
parteciperanno più il metodo si consoliderà. E soprattutto crescerà una
società formata da persone pensanti e coscienti delle possibilità che
questo sistema offre.
Né va
dimenticato che il sistema è un efficace antidoto contro la corruzione, il
patealismo, il clientelismo. Perché genera un forte controllo sociale
sulle azioni del governo».
COMUNISTI?
Rio
Grande do Sul è uno stato comunista?
Rio
Grande do Sul è uno stato dove si sta sperimentando una via alternativa
per la convivenza umana. Uno stato dove il principio del libero mercato
convive con un sistema che chiede alla gente di partecipare in prima
persona (e non soltanto attraverso i rappresentanti eletti) alla
costruzione di una società più equa e solidale.
Un
tempo un simile progetto sarebbe stato stigmatizzato con una sola parola:
utopia.
Lo
stato di Rio
Grande do Sul
www.estado.rs.gov.br
ALCUNE CIFRE
–
popolazione: 10.181.000 abitanti
–
superficie: 282 mila kmq (Italia: 301 mila kmq)
–
capitale: Porto Alegre (1,5 milioni di abitanti)
–
divisione amministrativa: 23 regioni e 497 municipi
–
partecipanti al processo del «bilancio partecipativo»:
nel
1999, 190 mila
nel
2000, 281 mila
nel
2001, 378 mila persone in 735 assemblee
–
indice di sviluppo umano (Hdi): 0,869 contro lo 0,750 del Brasile (69.mo
posto) e lo 0,909 dell’Italia (20.mo posto)
Come funziona l’«orçamento
partecipativo»
Partecipare è costruire
Il
cittadino costruisce la finanziaria
Organizzato da un’équipe di 50 persone, il bilancio partecipativo
interessa oltre 10 milioni di abitanti di Rio Grande do Sul, lo stato più
a sud del Brasile.
Si
tratta di definire come destinare il denaro pubblico dell’anno successivo,
arrivando a una proposta di bilancio da presentare all’Assemblea
legislativa (il parlamento dello stato) che dovrà convertirla in legge. Ma
come far partecipare il maggior numero di cittadini alla scrittura della
finanziaria?
Il
processo, che combina democrazia diretta con democrazia rappresentativa, è
complesso e per di più dinamico (principio della autoregolamentazione),
ovvero può essere modificato e perfezionato ogni anno tramite contributi
della popolazione. Si svolge da metà marzo a metà settembre e si può
schematizzare in tre fasi.
Un
uomo, tre voti
In una
prima fase si realizzano assemblee a cui può partecipare chiunque abbia
almeno 16 anni, e dalle quali usciranno proposte e priorità per gli
investimenti in opere e servizi, nonché i nomi dei delegati per la fase
successiva. Qui tutti possono prendere la parola e proporre. Le assemblee
si svolgono sia a livello regionale (23) che municipale (497). Per le
regioni sono di due tipi: di «direttrice» e sulle «tematiche di sviluppo».
Nelle prime governo e popolazione definiscono le linee generali per
orientare il dibattito nelle tappe successive. Le direttrici sono discusse
in base alle potenzialità, carenze e vocazioni della regione. Nelle
seconde i cittadini iniziano a decidere sui programmi prioritari per la
regione, orientandosi su 9 temi (agricoltura, turismo, ambiente, creazione
di lavoro, educazione, ecc.). Tutti i partecipanti possono votare tre
programmi di diverse aree tematiche. Il punteggio sarà sommato a quello
ottenuto, successivamente, nelle municipali. Nelle stesse assemblee si
eleggono i cosiddetti delegati tematici regionali.
A
livello municipale i cittadini propongono, dibattono e votano le priorità
in opere e servizi relative alla città (con lo stesso sistema di voto
delle regionali) ed eleggono i delegati municipali.
Delegati
all’opera
Il
secondo livello, più tecnico, è quello dei delegati, eletti nella prima
fase in proporzione di uno ogni 20 partecipanti alle assemblee. Questi si
riuniscono nelle Plenarie dei forum regionali, dove si incontrano i
delegati tematici e quelli municipali. È qui che si sistematizzano le
domande della popolazione (raccolte nella prima fase) secondo criteri di
carenza, viabilità tecnica, legale e finanziaria. Si eleggono, inoltre, i
consiglieri per il Consiglio statale del bilancio partecipativo (terza
fase). Nelle plenarie si costruisce già una parte del piano degli
investimenti e servizi dello stato.
Ecco
il bilancio
Il
Consiglio statale è l’istanza massima del processo e lavora direttamente
con il governo alla proposta finale del piano di investimenti, che verrà
trasmesso all’Assemblea legislativa per l’approvazione. I consiglieri,
eletti per ognuna delle 23 regioni, costituiscono il collegamento tra la
popolazione e il governo, quindi tra democrazia diretta e rappresentativa.
È in questo spazio di lavoro che le aspettative popolari, già selezionate,
sono strutturate e armonizzate a livello di stato. I consiglieri
rappresentano le decisioni degli abitanti della loro regione di fronte al
governo e sono anche incaricati di informare la gente sullo svolgimento
delle ultime fasi del processo.
Delegati e consiglieri hanno il mandato di un anno e il loro lavoro non è
retribuito.
Trasparenza
e controllo
Una
volta approvata la finanziaria, la popolazione segue le tappe di
esecuzione degli investimenti previsti. Tutte le decisioni prese sono
pubblicate nel «quaderno del piano di investimenti e servizi», strumento
essenziale per il controllo popolare delle realizzazioni. Il governo poi,
durante le assemblee, presenta i conti dello stato, ovvero il rendiconto
degli investimenti reali effettuati, per un’effettiva trasparenza del
bilancio pubblico.
Marco Bello Paolo Moiola