Il bene del singolo o quello della collettività?

«Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te».

Questa regola non è così d’oro come si è soliti ritenere. La preziosità infatti dipende da «ciò che vorresti». E tutti sperimentiamo quanto differenti e contraddittorie siano le opinioni, convinzioni e categorie di valori cui ognuno fa riferimento nelle sue scelte. Molti oggi sono convinti che occorre lasciare il più possibile spazio all’iniziativa personale, affinché si raggiungano risultati positivi per tutti.

«Sii egoista e migliorerai la tua vita! Nel cercare il meglio per te, contribuirai al progresso di tutti!». Il ragionamento è quasi un assioma. Ma è il principio su cui si fonda la distruzione dell’umanità come comunità, dove invece si dovrebbe perseguire il «bene comune» con l’obiettivo di garantire una vita dignitosa ad ogni suo componente: solo così sarebbe reale il bene di tutti.

Nel «fare o non fare» ci troviamo a dover scegliere tra due sistemi di pensiero: uno che dà risalto al valore del singolo per il bene di tutti e un altro che cerca di promuovere il «noi cornoperativo» per il bene di ciascuno.

Nell’esaltazione dell’iniziativa privata la regola d’oro potrebbe essere tradotta con questa sequenza logica:

«Io ti lascio libero di fare ciò che vuoi. Accanto ad altre persone libere, sarai costretto a migliorare sia il tuo modo di produrre (beni e servizi) sia quello di vendere i tuoi prodotti (se non vendi, fallisci). La concorrenza diventerà il motore di sviluppo e garantirà standard sempre più alti della qualità della vita per tutti. La competizione richiederà di attrezzarsi per una lotta dura contro gli avversari-concorrenti: se vuoi vincere, devi essere il più forte, il più competitivo, il più conveniente. La tua squadra dovrà prevedere mosse vincenti di difesa e attacco: o vinci o perdi. Quali strumenti utilizzerai? Tutti i possibili: leggi, mercato, armi».

La regola d’oro è salva. Lascio che gli altri facciano ciò che ritengono più opportuno. È così che desidero anch’io di essere trattato dagli altri. Tutti liberi di cercare i propri vantaggi!

Da più parti si replica che questo sistema provoca emarginazione ed esclusione, concentrando privilegi e ricchezze nelle mani di pochi vincenti. Però molti sono convinti che, per ora, sia la formula migliore per lo sviluppo e il superamento della povertà. Ma se così è, come spiegare i muri di separazione attorno ad alcuni quartieri per impedire l’accesso ad ogni estraneo, il moltiplicarsi dei sistemi d’allarme e delle guardie private di vigilanza?

La regola d’oro forse è servita a far maturare nell’umanità l’idea della pari dignità di ogni uomo e donna, concetto sempre messo in discussione quando si sono dovute prendere delle decisioni per garantire pari opportunità di accesso alla fruizione delle ricchezze di questo mondo.

Ma la regola d’oro acquista il suo vero valore solo in una logica che persegua, nello stesso tempo, e il bene del singolo e della collettività. Nemmeno l’imperativo «ama» è sufficiente a garantire il bene per tutti. Gesù ha aggiunto un’altra indicazione di percorso: «Amatevi l’un l’altro come io vi ho amati», introducendo la nuova regola d’oro del servizio, del dono di sé.

Chi nella vita cerca i suoi vantaggi forse offrirà al mercato qualche prodotto in più, ma priverà l’umanità di una ricchezza irreperibile altrove: il dono della sua stessa esistenza, del suo essere per – con – dagli… altri.

Il nostro «ben-essere» dipende da quello che sappiamo produrre per gli altri.

Filippo Gervasi




«Venite donne, è qui la festa!»

«È sempre misero chi a lei s’affida, chi le confida malcauto il core…». Detto così, il giudizio del duca di Mantova sulla donna (nel «Rigoletto» di Giuseppe Verdi) sembra un po’ troppo pessimistico: maschilista e misogeno.

Tuttavia, in questo florilegio prenatalizio di supermercati, ipermercati, «shopville», «discount» e, persino (lo sapete?), «cleromarket» (deo gratias), avete mai provato a confessare alla vostra compagna che avreste volentieri fatto un giretto al mercatone per buttare un occhio?

Se vi è capitato, vi ricorderete di aver firmato la vostra condanna, perché la vostra dolce compagna, improvvisamente galvanizzata da questa idea, vi ha trascinato in una estenuante maratona tra banchi, reparti e scale mobili di uno di questi paradisi della famiglia tipo. Il teatro, cioè, pervaso dall’inebriante e dolciastro profumo di saponette, delle memorabili e fantozziane «spedizioni commerciali» della sana famiglia italiana con bambini, il sabato pomeriggio.
Un rito di massa che, dopo la terza ora di assurda permanenza nei reparti, riduce un individuo, non particolarmente votato allo shopping, ad un barcollante e stravolto babbo-natale, sepolto da pacchi, pacchetti, borsoni e scatoline… Però il marito, mentre provava il costume per le spiagge alle isole Seicelle, ha fatto la pipì nel gabinetto di prova; poi dall’interno ha gridato alla moglie: «Non è la misura giusta!». E lei: «Guarda che perdiamo Chiara! Fai veloce che chiudono!».

Ma il meglio di sé la vostra fantasiosa compagna potrà darlo nella più elegante «shopville», tra le sue scintillanti boutiques: in pratica un invitante e tentacolare market show.

Dopo un suo primo approccio alla «shopville», voi non siete più in grado di cogliere il fascino delle vetrine luccicanti, del «paghi due e prendi tre», del «compri a natale e paghi a pasqua»: insomma delle raffinate e suadenti tecniche di promozione delle vendite. Lei poi organizzerà irresistibili matinées con amiche e colleghe, tutte entusiaste alla prospettiva di un tour della «shopville» con escursioni al bar (oh, quei croissants col cappuccino!), con lunghe soste dal giornielliere e nelle maison e atelier, tra griffe e deliziose «creazioni».

E, poi, vuoi mettere? Ti si rompe un tacco? C’è il «tacco espresso»… Hai i capelli un po’ spenti? C’è l’«intercoiffeur»… E c’è il meccanico, il gommista. «Ragazze, faccio un salto a farmi gonfiare le gomme e vi raggiungo subito!» dice ovviamente lei… Ma c’è anche il «discount», molto conveniente. Sì, è vero, ma è così squallido: niente bar, non parliamo di ristorante, compri e scappi dalla malinconia. Non c’è confronto.

Insomma la vostra cara compagna ha scoperto il programma ideale per i noiosi giorni di pioggia e il più efficace rimedio nei momenti di depressione: si fa un giro alla «mecca del consumatore». E, in questo «paese di bengodi», ci si rifà gli occhi e… magari il guardaroba. Specie a natale.

Dunque: aveva ragione il duca di Mantova a dire «è sempre misero chi a lei s’affida»? O forse quel grande poeta, che scriveva: «donna: mistero senza fine bello?».

Ma, quanto a consumismo, gli uomini sono poi tanto diversi dalle donne?

Arcadio Corradini




Lettere

Daniela e la nonna
Caro direttore,
nel torpore della stampa cattolica sui temi ecologici, resto positivamente stupita di Missioni Consolata. Ho letto infatti sul suo sito internet il diario del Vertice di Johannesburg Rio+10 su «lo sviluppo sostenibile».
Una considerazione: è stato un bluff. Il vostro inviato lo ha scoperto lentamente: all’inizio egli era sospettoso verso i rappresentanti del Controvertice, ritenuti «pacifisti»; poi ne ha riportato i lavori. I pacifisti sono stati gli unici a dire qualcosa di serio; e, se qualcuno sperava che arrivasse il black block a spaccare tutto (e coprire il disastro dei lavori ufficiali), è rimasto deluso.
Sono contenta che affrontiate il tema «ambiente» in modo esaustivo. La bibbia in questo è profetica e ha anticipato quanto sta succedendo oggi.
Sono una studentessa di biologia, credente, con gli occhi aperti sulla realtà. La cultura scientifica, unita alla fede, mi obbliga a riflettere su quanto sta accadendo. Siamo tutti figli di Dio: Egli ci dà la possibilità di dominare il creato, ma non di distruggerlo. Invece, stiamo rovinando il piano divino.
Leggo Missioni Consolata da mia nonna: le rubo la rivista, anche perché lei si rifiuta di leggerla e minaccia di disdire l’abbonamento. Ho notato un inasprirsi della vis polemica contro la vostra linea editoriale, che io condivido. Non mollate!
Il vero cristiano ha la misericordia in cuore, è aperto di spirito, ma necessita sempre di stimoli per cogliere la verità. Una promessa: se la nonna straccerà l’abbonamento, il mio ragazzo ed io prenderemo il suo posto!
Daniela (via e-mail)


Daniela, convinci la nonna a leggere la rivista e… «voi due» abbonatevi (bastano 22 euro). Missioni Consolata è «la rivista missionaria della famiglia»; ma è tale, se viene letta da nonni e nipoti, genitori e figli, pur con idee diverse. E guai se non ci fossero! Nel caso contrario, i lettori sarebbero «già tutti allineati». Allora, addio pluralismo! E la rivista sarebbe inutile.
Il diario del Vertice di Johannesburg è stato curato da padre Rocco Marra, missionario in Sudafrica, ed è apparso su www.missioniconsolata.it, il sito della rivista.

La Mole antonelliana «violentata»
Cari missionari,
i miei 72 anni non mi permettono di essere superficiale. Vi esprimo un grazie e tanta stima.
Poiché voi, missionari, siete anche uomini, potete accettare un consiglio: quando trattate i diritti umani, riflettete bene prima di scrivere. Ci vuole rispetto pure per il corpo (che è «tempio»), specie se si accenna al sesso femminile.
Ndr: l’autrice allude al tema «scabroso» dell’infibulazione (cfr. Missioni Consolata, maggio 2002).
Nessuno di noi si presenterebbe in Piazza Duomo in bichini o con il cappotto sulla spiaggia. Ogni cosa va fatta bene, secondo il tempo e il luogo.
Affronto pure il tema «discariche». È un problema grande e attuale, specie nelle grandi città. Ne sappiamo qualcosa mio marito ed io, che lavoriamo nei servizi ambientali. Tutti i giorni siamo sommersi dalle «monnezze» di Milano.

Ma, chissà perché, Missioni Consolata di settembre ha «violentato» la Mole antonelliana… con una massa di rifiuti. La colpa è dell’uomo… Io, al posto della Mole (sommersa da rifiuti), avrei messo un individuo nudo, con la barba lunga che lo copre e un pancione pieno di ogni ben di Dio (il ricco epulone del 2002); e gli avrei affiancato un piccolo individuo, magro come uno spaventapasseri, con in mano un bicchiere di plastica, che chiede l’elemosina…

Occorre un’educazione a monte delle persone: in famiglia, nelle scuole, negli ambienti civili e religiosi; se necessario, con cartelloni «non imbrattare», «non sputare», «non bestemmiare»… (come ai tempi del Duce).

In Germania, oltre 20 anni fa, mi colpirono le strade pulite: i tedeschi riciclavano (già allora) i rifiuti. Inoltre mi stupirono i quadei degli scolari, dove si leggeva pure: «Non compriamo la fettina di vitello, ma continuiamo a mangiare carne di maiale! I vitelli alleviamoli per gli italiani, abituati a spendere i loro pochi soldi in modo diverso da noi».

Altri consigli: a scuola sostituire le «merendine» con un frutto; non usare sacchetti di plastica per la spesa, ma di stoffa; esigere bottiglie di vetro per l’acqua minerale…

Coraggio, amici, e uniamoci in queste lotte! I vantaggi si vedranno domani. Se questa lettera, non è degna di pubblicazione, leggetela almeno a tavola. Forse servirà per un commento o una risata.
Cherubina Lorusso Milano


L’idea della Mole antonelliana, «violentata» da rifiuti, è della Provincia di Torino per stimolare, con un’immagine ad effetto, la riduzione delle discariche e incoraggiare la raccolta differenziata.
Compare anche la domanda: «Secondo voi, cosa manca a questa pubblicità per essere perfetta?». Forse mancano proprio «un epulone» e «tanti lazzaro» spaventapasseri.

Infibulazione e diritti umani
Spettabile redazione,
chiarisco quanto ho detto sull’infibulazione (Missioni Consolata, maggio 2002).
La rabbia ci porta a rispondere che «l’infibulazione è affare nostro», specie quando l’occidente si avvale del potere o diritto di togliere usi e costumi di altri popoli. È risaputo inoltre che il mondo occidentale, ricco e opulento, non ha fatto quasi niente per aiutare i popoli a risolvere i problemi più gravi: povertà, sanità, scuola…

L’occidente tira fuori in ogni occasione l’infibulazione, chiedendo la sua abolizione. Non sarà l’ennesimo pretesto per lavarsi la coscienza di fronte a quanto non ha fatto e continua a non fare al cospetto delle gravi condizioni economiche dei popoli?

Si può non condividere l’infibulazione, ma nessuno deve ritenere che sia un vero problema per i popoli interessati. L’eventuale decisione di abolirla spetta alle donne: esse decideranno solo dopo aver avuto la possibilità di accedere all’istruzione scolastica e sanitaria. In secondo luogo: bisogna educare gli uomini a frenare i loro impulsi bestiali.

Ma che dire dell’Italia (che si ritiene evoluta, emancipata e rispettosa delle leggi e dei diritti umani), quando mette in discussione la violenza sessuale subita dalla donna… solo perché la vittima indossa i jeans?

Alia Sharif Aghil Torino


Dal 1948 vige la «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo», oggi sottoscritta da tanti paesi sia occidentali che orientali. Se l’infibulazione ne è una violazione (come, ad esempio, hanno dichiarato la Convenzione dell’Onu sui diritti dei bambini nel 1989 e l’Unicef nel 1996), la pratica va abolita: certamente con il ruolo protagonista delle donne.

«Due terre, una missione»
Cari missionari,
ho conosciuto Luigi Santa, vescovo di Rimini, in occasione dello «spostamento» della chiesa parrocchiale, distrutta dalla seconda guerra mondiale, dal colle di San Patrignano alla borgata di Ospedaletto. Egli, nei primi anni ’50, si portò sul luogo, osservò con attenzione e, dopo una breve riflessione, disse: «Qui sorgerà la nuova chiesa». La decisione, a distanza di anni, si dimostrò lungimirante… Per me mons. Santa fu una figura patea straordinaria.
Grazie, pertanto, del graditissimo libro che ne illustra la vita prima come missionario della Consolata e poi come vescovo.

Dalla scrittura tremolante capite che devo essere molto vecchio: infatti ho 92 anni. E si vedono!

Don Martino Vari Ospedaletto (RN)


Il libro di cui parla don Martino è del giornalista Angelo Montanati; è intitolato Due terre, una missione, Emi, Bologna 2002. Le «due terre» sono l’Etiopia, dove Luigi Santa fu missionario e vescovo dal 1923 al 1943, e la diocesi di Rimini.
Il volume è acquistabile presso la libreria «Missioni Consolata»
(tel 011/447.66.95;
e-mail: libmisco@tin.it).

Una chiesa da 8 milioni di euro
Caro direttore,
che pensare di una nuova chiesa a Modena da 8 milioni di euro? È un’opera santa o un’offesa all’evangelica opzione per i poveri?

«Se il cibo prodotto nel mondo fosse diviso equamente, tutti potrebbero consumare 2.760 chilocalorie al giorno» ha dichiarato Jacques Diouf, direttore della FAO. La diseguaglianza distributiva fa sì che, pur avendo abbastanza cibo per sfamare tutti, 800 milioni di persone sono alla fame. Di fronte a tale realtà, in Italia c’è chi pensa ugualmente di avere diritto a strutture plurimiliardarie.

La chiesa è chiamata ad una riflessione critica: non elemosina, ma condivisione… «Spezza il tuo pane con l’affamato» (Is 58, 7). «Se un fratello o una sorella sono nudi e hanno bisogno del pane quotidiano e uno di voi dice “andate in pace, riscaldatevi e nutritevi” senza dar loro il necessario, a che giova?» (Gc 2, 15 ss)…

«Gesù prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e portarono via 12 ceste piene dei pezzi avanzati» (Mt 14, 19-20). Con questo testo si ricorda il miracolo della moltiplicazione dei pani. In realtà è il miracolo della «condivisione». Gesù rifiuta di congedare la folla, ne sente compassione e… spezza i pani, invita i discepoli a distribuirli a tutti: è la condivisione che opera il miracolo, cui siamo chiamati a credere.

Una volta superato l’egoismo (pensare a noi per primi), avviene il miracolo: non solo tutti mangiano, ma portano via anche 12 ceste di pane avanzato. Vangelo è pure questo: il superfluo non deve essere frutto dell’egoismo, ma della generosità di Dio.

«Modena Amica dei Bambini Onlus» Modena


La domanda iniziale, più che rivolta a noi (che, ignari della situazione locale, non possiamo rispondere), coinvolge i fedeli della diocesi di Modena (e non solo), che hanno il «polso» della scena e del retroscena.

Dante consiglia…
Caro direttore,
riferendomi ai giudizi avventati e ai consigli non richiesti, rivolti a lei e ai redattori della rivista, mi vengono in mente i versi di Dante: «Or tu che se’ che vuo’ sedere a scranna/
per giuducar di lungi mille miglia/
con la veduta corta
d’una spanna?»
(«Paradiso», XIX, 79).
Lettera firmata Torino


Ottima citazione. Però il consiglio, dono dello Spirito Santo, è sempre gradito.

«Multirazziale» o «multietnico»?
Caro direttore,
complimenti per Missioni Consolata, sempre più bella. Nel numero di settembre è stato interessantissimo il «Diario di un extracomunitario».
Però sono pignolo e faccio due piccole contestazioni linguistiche (il linguaggio tuttavia è importante, specialmente nei titoli). La prima: essendo Snezana Petrovic una donna, ritengo che il titolo della sua rubrica andrebbe modificato in «Diario di “un’extracomunitaria”».

La seconda contestazione è più profonda: scrivere «Italia multirazziale» fa pensare che nel nostro paese esistano tante razze; invece oggi nessuno scienziato serio lo sostiene, anche perché si rischia di cadere nel «razzismo».

Dunque: il termine «multirazziale» andrebbe sostituito con «multietnica». Non vi pare?

Daniele Barbieri Imola (BO)

Sì, ci pare. Infatti gli uomini e le donne del pianeta appartengono, sì, a «popoli diversi», ma costituiscono «un’unica razza»: quella umana.

Nonostante la caduta del muro
Egregio direttore,
la lettera del signor Francesco Rondina (Missioni Consolata, luglio/agosto 2002) lascia perplessi.

L’argomentare dello scrivente ignora la storia degli ultimi 15 anni. È caduto il muro di Berlino e il socialismo reale. Il comunismo è stato così disastroso per l’Europa dell’Est (e per i popoli sovietici) che la pressione popolare di quei paesi ha rovesciato i governi locali. In 45 anni, mentre il resto dell’Europa progrediva economicamente e democraticamente, il comunismo teneva i popoli dell’Est in miseria e sotto governi autoritari e feroci.

Il signor Rondina non ha letto bene Marx, strenuamente avverso alla religione, ritenuta «oppio dei popoli». Inoltre il lettore sembra ignorare che, quando un’utopia filosofica si rivela fonte di miseria, despotismo, massacri, il giudizio è drastico: il marxismo è tutto intrinsecamente errato.

Ma ciò che lascia più perplessi è l’argomentare confuso del signor Rondina, che sembra riecheggiare il terzomondismo, utopie sociali comunistiche e altro ancora. Non si possono affrontare argomenti seri (come gli attuali problemi economico-sociali) con vaghezza e frasi fatte. Perché giudizi così negativi sul riformismo? Nell’Europa dell’Ovest, durante gli ultimi 50 anni, si è rivelato fonte di progresso socio-economico?

O il signor Rondina nega che oggi, in Europa, si sta meglio (sotto tutti i punti di vista) di come si stava subito dopo la seconda guerra mondiale?

Silvia Novarese Torino


Il dottor Francesco Rondina non nutre alcuna simpatia verso un comunismo oppressore, materialista e ateo…

Buon natale
Leggo con interesse la corrispondenza con i lettori della rivista (prima non lo facevo) e ammiro il direttore che pubblica le lettere denigratorie. Missioni Consolata è straordinaria per contenuti e foto. Buon natale.

p. Luigi Duravia Colombia

Croci d’oro di vescovi e… Marylin Monroe
Ho riflettuto su «Crocifissi con diamanti» di Missioni Consolata di luglio/agosto 2002. La giusta conclusione è che tali crocifissi non sono secondo lo spirito del vangelo. E si porta l’esempio del cardinale Van Thuan, che aveva una croce pettorale di legno e ferro, che egli stesso si costruì durante la dura prigionia in Vietnam durante il comunismo.

Come cristiano (pur con difetti e contraddizioni), pongo una domanda: è coerente la chiesa quando offre a tutti i prelati, vescovi e cardinali, sontuosamente vestiti, croci d’oro e anelli con diamanti?… Parlai di tale sfarzo con un dottore della chiesa, che mi rispose: «Se lei fosse invitato dal suo principale, non si presenterebbe ben vestito?». Certo che sì!

Io però non pretendo che il clero vada stracciato; tuttavia una maggiore sobrietà non farebbe male. «I preti ci insegnano povertà e carità, e guarda loro come sono agghindati!»: è una critica che si sente.

Un’altra cosa: in chiesa non sopporto di trovare ceri da 50 centesimi e ceroni da… 5-10 euro! Dio farà forse la grazia più grande in proporzione alla misura delle candele? Queste lasciamole vendere alle baracche fuori! Ma in chiesa ognuno faccia l’elemosina che si sente e si può permettere. Mi pare, invece, che si mercanteggi un po’ troppo. Ora si sta persino arrivando al pagamento per entrare in certe chiese…

Gaetano Covezzi – Ferrara

«Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando è nudo. Non rendergli onore nel tempio con stoffe di seta per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità. A che serve che la tavola eucaristica sia carica di calici d’oro, quando lui muore di fame? Comincia a saziare lui affamato e poi, con quello che resta, potrai oare il suo altare…»: parole di san Giovanni Crisostomo (347-407).
Né si scordi Paolo VI che offre il triregno d’oro ai poveri. Lo stesso papa, al termine del Concilio ecumenico Vaticano II, dona a tutti i partecipanti «un anello semplicissimo». Ma non tutti hanno capito la lezione.

Oggi vescovi e cardinali hanno sostituito le croci d’oro e diamanti con altre più modeste. Ma dove sono finite quelle vecchie? Non tutte sono andate ai no global e non consumisti, ma sono ben custodite in robusti forzieri, insieme ai tesori della chiesa.
Certamente non pubblicherete questa nota.
Lettera anonima

Essendo anonima, potremmo non pubblicarla!… S. Ambrogio, morto nel 397, disse: «Se la chiesa ha oro, non è per custodirlo, ma per darlo a chi ne ha bisogno». E Giovanni Paolo II: «Potrebbe essere necessario alienare i beni (preziosi) per dare pane, bevanda, vestito e casa a chi ne è privo».

Ho letto «Crocifissi con diamanti» nei giorni in cui tivù e tantissimi giornali (anche «socialmente» impegnati) facevano a gara a chi dava più spazio al 40° della morte di Marylin Monroe, riconosciuta da tanti come «l’unico vero mito americano del XX secolo».
In un film Marylin canta: «I diamanti sono i veri amici delle ragazze»; e in tantissime foto diamanti e perle sono i protagonisti. Sono questi (non occorre essere esperti di comunicazione per capirlo) il vero obiettivo del comunicatore.
In altre parole: dopo essere stata da viva (spesso suo malgrado) al centro di intrighi, la Monroe continua ad essere usata anche da morta, alla faccia delle più elementari norme di buon gusto. Moltissime persone si sono lasciate persuadere che Marylin non era semplicemente una bella donna, ma «la» bellezza; non un’attrice di cinema, ma «il» cinema; non una persona elegante, ma «l»’eleganza.

Occorre ricordare a tutti che la costruzione di miti del genere ha costi elevatissimi, sia per chi li incarna sia per chi vive nelle terre che hanno fornito la materia prima per la realizzazione di collier, braccialetti, anelli o (come ha mostrato anche Missioni Consolata) di certi crocifissi.

l – Non è vero che «i diamanti sono i migliori amici». Il diamante (ma anche oro, platino, ferro, ecc.) appartiene al regno delle cose inanimate: a differenza di uomini, animali e piante, non ha alcuna capacità di relazione: men che meno di stabilire un’amicizia con chicchessia. Può far piacere vedere un diamante o riceverlo in dono, ma l’affetto eccessivo ad esso nuoce alla crescita dell’uomo e del cristiano di entrambi i sessi. Anche quando il diamante viene appiccicato a un crocifisso.

2 – La mania dei diamanti è tanto più intollerabile quanto più tragici sono i conflitti che, ad esempio, in alcuni paesi africani si scatenano tra le bande che si contendono il controllo delle regioni diamantifere. Chi ama, compra o accetta preziosi dovrebbe, innanzitutto, valutare l’impatto che il prelievo della loro materia prima ha avuto sul rapporto tra esseri umani e su quello uomo-natura in una montagna dell’Afghanistan, in una foresta del Congo o in uno sperduto angolo del bacino amazzonico.

3 – Per una «venere» europea o americana che diventa star del cinema ci sono centinaia di «veneri spezzate» (donne molto belle, che perdono occhi, gambe e braccia) a causa di mine e guerre, alimentate dal commercio internazionale dei diamanti: lo ricordava anni fa Carla Peruzzo di Medici senza frontiere. In Angola un immenso patrimonio di bellezza femminile se ne va, perché in Italia, Francia, Stati Uniti… donne già belle e imbottite di giornielli vogliono diventare ancora più attraenti e uomini già sposati si mettono in testa che, regalando perle e pellicce, possono «conquistare» altre donne belle.

4 – Bene ha fatto A. Piersanti a contrapporre i crocifissi di Jennifer Aniston e Naomi Campbell, tempestati di oro e platino, a quello umilissimo di mons. Van Thuan, uomo-simbolo della cristianità vietnamita, dilaniata dalla guerra e poi oppressa da un regime materialista, opportunista e ateo. Il Vietnam è uno dei paesi più indebitati del mondo; per pagare il debito, sta svendendo il suo patrimonio naturale, anche perché, nel Sudest asiatico, non si tiene in debito conto la «questione estetica».

Se continuerà a imperare l’idea che i giornielli di una diva sono belli e ricchi, mentre le foreste del Vietnam (con animali e piante fantastici che rischiano di estinguersi) sono brutte e possono essere rimpiazzate da piantagioni di caffè (per mantenere il Vietnam su elevati livelli di competitività, «stracciando» la concorrenza di altri paesi, altrettanto indebitati), significa che non abbiamo capito che cos’è la bellezza.

Un capo indigeno messicano, nel giubileo del 2000, ha detto che il suo paese è in credito con il colonialismo di 185 tonnellate d’oro e 16.000 d’argento, elevate alla potenza di 300 (cfr. Missioni Consolata, maggio 2001): e ha ragione. Ma è altrettanto vero che il debito estetico (che epuloni, spreconi e celebratori di giubilei hanno contratto con la moltitudine di giubilati e diseredati) è incalcolabile nel senso matematico del termine. Vi sono pubblicazioni e libri che lo provano: per esempio il rapporto Nunca mas, Emi, Bologna 1986.

Maria Weistroffer – Bordeaux (Francia)

Ci scusiamo con la signora Maria per aver sunteggiato la sua lettera, come pure quelle di altri lettori. Cari amici, poiché lo spazio è tiranno, aiutateci con interventi più concisi. Grazie.

AAVV




La ragazza del treno

«Si ricorda di me?» esordisce lei con un sorriso incerto. Padre Marco ricambia il sorriso, ma l’interlocutrice gli è sconosciuta. «Io sono la ragazza del treno – continua l’interessata -, che le ha chiesto se una prostituta può…». Ora Marco ricorda perfettamente.

Anni fa, sull’interregionale Torino-Milano, una donna dall’aspetto giovanile gli domandò a bruciapelo: «Può una prostituta diventare missionaria?». Era italiana: e, notando la crocetta bianca sul maglione blu del sacerdote, si era staccata da alcune «colleghe» straniere per rivolgergli quell’insolito quesito.

– Anch’io sono missionario – rispose padre Marco dopo un istante di esitazione.

– Ma immagino che lei non abbia battuto i marciapiedi. Io, invece, lo faccio da tempo.
– Quanti anni hai?
– Diciassette.
– Tutto è possibile a questa età.
Eccola ora suora. «Padre Marco, non è stato facile per me, prostituta, mutare vita. Per prima cosa, son dovuta uscire dal giro».
– Come hai fatto?
– Fuggendo, nascondendomi come una ladra. Non avevo casa. Finché una sera ho bussato ad un istituto di suore missionarie.
Padre Marco ha il cuore in gola mentre ascolta questa storia. La religiosa parla sottovoce, a raffica, senza pause: sembra posseduta da un’incalzante forza misteriosa, che la obbliga a raccontare.
Alla superiora dell’istituto (straordinariamente comprensiva) svelò tutto: anche sua madre faceva il mestiere (oggi ha smesso, data l’età); il padre era «protettore», mentre lei, sua figlia, non lo vide mai. Aveva una sorella: anch’essa sulla strada. «È morta a 22 anni, in seguito ad “una malattia peggiore del cancro”. Lo ha detto il medico…».

La suora continua a raccontare: gli occhi bassi e le dita delle mani incrociate, quasi per una supplica. «In convento la cosa più difficile da superare sono state le mie parolacce… Però volevo non solo cambiare vita, ma anche spenderla per i poveri, come penitenza, in nome di Cristo».

– E lo stai facendo – commenta padre Marco.

– Mah! Non ne sono certa…
In convento discute anche sull’ingiusto rapporto fra Nord e Sud del mondo. Ricorda, soprattutto, le guerre dimenticate «tra» e «contro» i poveri, che non scoppiano per caso. Terrorismi, crisi economiche, inquinamento dell’ambiente… affliggono anche il primo mondo. «Come se ciò non bastasse, c’è qualcuno che, a tutti i costi (e sono enormi), vuole fare la guerra: una guerra per nulla “intelligente”…».

In vista della missione, consegue il diploma di infermiera professionale: è caposala. Viene destinata all’Africa. Per natale dovrebbe già essere in…

– Ce l’hai proprio fatta – interrompe padre Marco!

– No! Perché ieri ho scoperto di essere sieropositiva. Dio perdona tutto. La natura no!

Scoppia a piangere. Ed è lì con una domanda straziante: cosa può fare una suora, ex prostituta, oggi sieropositiva?

– Dovresti dirlo alla tua superiora?

– Se lo dico, non parto più.

– Ammalata, in missione saresti più di peso che di aiuto.

La suora si avvia verso l’uscita mormorando: «Padre Marco, ho sperato che lei, come quel giorno in treno, mi potesse dire… In Africa i malati di Aids sono milioni. Si curano come possono, cioè miseramente. E perché non posso farlo anch’io? Intanto sono con loro: forse con un briciolo di fede in più. Se dovrò morire, morirò come loro…».

Padre Marco l’abbraccia e sussurra: «Buon viaggio, suor Manuela. E buon natale».

Francesco Beardi