«Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te».
Questa regola non è così d’oro come si è soliti ritenere. La preziosità infatti dipende da «ciò che vorresti». E tutti sperimentiamo quanto differenti e contraddittorie siano le opinioni, convinzioni e categorie di valori cui ognuno fa riferimento nelle sue scelte. Molti oggi sono convinti che occorre lasciare il più possibile spazio all’iniziativa personale, affinché si raggiungano risultati positivi per tutti.
«Sii egoista e migliorerai la tua vita! Nel cercare il meglio per te, contribuirai al progresso di tutti!». Il ragionamento è quasi un assioma. Ma è il principio su cui si fonda la distruzione dell’umanità come comunità, dove invece si dovrebbe perseguire il «bene comune» con l’obiettivo di garantire una vita dignitosa ad ogni suo componente: solo così sarebbe reale il bene di tutti.
Nel «fare o non fare» ci troviamo a dover scegliere tra due sistemi di pensiero: uno che dà risalto al valore del singolo per il bene di tutti e un altro che cerca di promuovere il «noi cornoperativo» per il bene di ciascuno.
Nell’esaltazione dell’iniziativa privata la regola d’oro potrebbe essere tradotta con questa sequenza logica:
«Io ti lascio libero di fare ciò che vuoi. Accanto ad altre persone libere, sarai costretto a migliorare sia il tuo modo di produrre (beni e servizi) sia quello di vendere i tuoi prodotti (se non vendi, fallisci). La concorrenza diventerà il motore di sviluppo e garantirà standard sempre più alti della qualità della vita per tutti. La competizione richiederà di attrezzarsi per una lotta dura contro gli avversari-concorrenti: se vuoi vincere, devi essere il più forte, il più competitivo, il più conveniente. La tua squadra dovrà prevedere mosse vincenti di difesa e attacco: o vinci o perdi. Quali strumenti utilizzerai? Tutti i possibili: leggi, mercato, armi».
La regola d’oro è salva. Lascio che gli altri facciano ciò che ritengono più opportuno. È così che desidero anch’io di essere trattato dagli altri. Tutti liberi di cercare i propri vantaggi!
Da più parti si replica che questo sistema provoca emarginazione ed esclusione, concentrando privilegi e ricchezze nelle mani di pochi vincenti. Però molti sono convinti che, per ora, sia la formula migliore per lo sviluppo e il superamento della povertà. Ma se così è, come spiegare i muri di separazione attorno ad alcuni quartieri per impedire l’accesso ad ogni estraneo, il moltiplicarsi dei sistemi d’allarme e delle guardie private di vigilanza?
La regola d’oro forse è servita a far maturare nell’umanità l’idea della pari dignità di ogni uomo e donna, concetto sempre messo in discussione quando si sono dovute prendere delle decisioni per garantire pari opportunità di accesso alla fruizione delle ricchezze di questo mondo.
Ma la regola d’oro acquista il suo vero valore solo in una logica che persegua, nello stesso tempo, e il bene del singolo e della collettività. Nemmeno l’imperativo «ama» è sufficiente a garantire il bene per tutti. Gesù ha aggiunto un’altra indicazione di percorso: «Amatevi l’un l’altro come io vi ho amati», introducendo la nuova regola d’oro del servizio, del dono di sé.
Chi nella vita cerca i suoi vantaggi forse offrirà al mercato qualche prodotto in più, ma priverà l’umanità di una ricchezza irreperibile altrove: il dono della sua stessa esistenza, del suo essere per – con – dagli… altri.
Il nostro «ben-essere» dipende da quello che sappiamo produrre per gli altri.
Filippo Gervasi