Perché si fanno le guerre?

In attesa della nuova guerra contro Saddam, l’autore parla
dei conflitti nel Golfo Persico, nell’ex Jugoslavia e in Afghanistan.

Sottopongo ai lettori di Missioni Consolata alcune
mie considerazioni. Parto dall’affermazione
«islam guerriero», per confrontarla con i fatti di
questi ultimi 20 anni.
Giusto una ventina d’anni fa, l’Iran, cacciato lo scià,
veniva assalito dal laicissimo Iraq di Saddam Hussein. Era
una guerra fra musulmani, ma non era stato l’«islam guerriero
» a scatenarla. Furono gli Stati Uniti (Usa)
a commissionarla, armando
e finanziando
Saddam Hussein. Ci
furono un milione di
morti e otto anni di
guerra. Non mi risulta
che qualcuno sia stato
chiamato dinanzi a un
tribunale internazionale
per rispondere di
quei morti.
Certamente quel
«servizio» ebbe un prezzo:
infatti, quando Saddam
Hussein chiese all’ambasciatore americano «luce verde»
per occupare il Kuwait, gli fu data. Attirato in trappola
Saddam, non ci si limitò a liberare il Kuwait, bensì a
bombardare l’Iraq e ad annientare il suo esercito. Poi ci
furono l’embargo e altri saltuari bombardamenti contro
il paese.
Sono passati pochi anni ed è la volta della Repubblica
Federale Jugoslava (RFJ). Essa viene distrutta, ridotta
a pezzi, come una pecora sbranata da lupi. Anche qui
l’«islam guerriero» non c’entra; in loco ci sono i musulmani,
certo, ma sono preziosi alleati dell’Occidente nel
processo di disgregazione che esso ha deciso per quella
regione balcanica.
Vale la pena di ricordare alcuni «dettagli». L’intervento
diretto degli Usa (quello indiretto – embargo, armi e altro
-, di cui non si sono dati la pena di comunicare, era
in opera da un pezzo) inizia con il bombardamento contro
i serbi della Bosnia-Erzegovina, giustificato dalla «strage
del mercato» (l’Onu poi accerterà che il razzo era partito
dal settore musulmano e non già da quello serbo). Il
bombardamento di Belgrado e la distruzione sistematica
della R.F.J. e del Kosovo hanno come copertura la
«strage di Racak». Però una commissione delle Nazioni
Unite rivelerà essere stata una farsa (vedi La Stampa,
30 ottobre 2001), della quale, paradossalmente,
Milosevic è tuttora accusato dal tribunale dell’Aia.
E siamo all’«11 settembre».
A distanza di 9 mesi (mentre scrivo), né un tribunale
né un’autorità internazionale ha accertato e processato
un solo terrorista. Tuttavia, subito, le parole (stravolte)
hanno assunto un altro senso, di comodo, con
insospettabili adesioni di persone che dovrebbero
essere illuminate dallo Spirito. Si è parlato di «atto
di guerra», di «legittima difesa», di operazioni di
«polizia internazionale». Ma l’atto di guerra presuppone
l’azione identificabile di uno stato;
la legittima difesa, un aggressore visibile
e ben individuato, nonché una risposta
immediata per impedire
l’evento. Quanto all’operazione di polizia,
supportata da missili Cruise,
bombardieri e altri strumenti di morte,
è un segno del livello di ipocrisia
e stravolgimento intellettuale a
cui i nostri capi ci hanno portato.
Gli Stati Uniti hanno affermato che era stato Bin
Laden e la sua organizzazione Al Qaeda. Però si sono
ben guardati dal dae le prove, e a ragion veduta: se le
avessero date, avrebbero dimostrato
di essee gli autori, perché Bin
Laden e Al Qaeda sono, visibilmente,
una loro creatura.
Nel recente passato gli Usa
hanno agito contro i sovietici in
Afghanistan, in Cecenia e in
Cina; hanno destabilizzato la
Bosnia-Erzegovina e il Kosovo, per
mettere in scena il genocidio
da parte dei serbi e
giustificare i propri
bombardamenti.
Se non fossimo
ciechi o decisi ad esserlo,
vedremmo
che l’11 settembre
è stato l’espediente
perfetto, lo strumento preciso, per attuare
la politica che il governo Usa vuole
perseguire, superando nel contempo
il suo isolamento internazionale.
Grazie ad esso, ora Bush figlio, dopo
aver aggredito l’Afghanistan, può
continuare l’azione contro l’Iraq,
completando l’opera patea, minacciare
ogni altro stato (tra i primi
l’Iran e via via chi riterrà opportuno);
dando un volto al nemico, ancorché
di fantasma, può perseguirlo dove gli fa comodo e giustificare
lo scudo spaziale, l’ingigantirsi della Nato e della
sudditanza degli stati membri.
È un’incredibile messa in scena, dove i poveri (unica
realtà indiscutibile) proveranno sulla loro pelle i frutti della
tecnologia più avanzata.
Capire l’islam? In primis, è urgente capire chi siamo
noi. E, sul tema, mi sembra particolarmente centrato il saggio
di Aleksandr Zinov’ev «Il totalitarismo dell’Occidente».
Qualche riflessione la suggerirei anche agli alti esponenti
della Chiesa e all’Ufficio per la difesa della fede, visto che
le massime gerarchie hanno approvato tre guerre di bombardamento
(in Bosnia-Erzegovina, Repubblica Federale
Jugoslava, Afghanistan). La guerra sfugge alla morale: è
sempre cieca e brutale. Ma perché le uniche
vite che contano sono quelle degli aggressori,
resi quasi invulnerabili dalla loro
costosissima tecnologia?…
Recentemente sui giornali ho letto tre
episodi:
– lo stanziamento da parte dell’Amministrazione
Bush d’una certa somma
per convincere le donne alla castità, come
mezzo per prevenire aborti;
– le dichiarazioni in Cina dello stesso
presidente a favore dei «diritti umani» e l’invito ad un accordo
col Vaticano;
– la sorprendente sincronia con cui all’Onu Santa Sede e
Stati Uniti si sono pronunciati per fermare le ricerche sugli
embrioni umani.
Sia chiaro: non intendo entrare nel merito delle singole
questioni; però mi domando quale sia il prezzo di scambio
in tale accordo e quale influsso abbia avuto sull’approvazione
della guerra di bombardamento in Afghanistan…
Un pensiero di solidarietà e apprezzamento lo rivolgo
a Paolo Moiola e ai redattori che, su Missioni Consolata,
si espongono per portare un po’ di verità e di chiarezza nel
mare di disinformazione in cui siamo avvolti.

GIUSEPPE TORRE

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