T orino, santuario della Consolata. La
coice è quella delle occasioni solenni.
Il tempio risplende di cascate di luci,
che si rinfrangono sui marmi multicolori e
preziosi. L’altare maggiore è ammantato di
gigli dall’intenso e inconfondibile profumo. È
il 19 maggio 2002, solennità di Pentecoste…
con l’apostolo Pietro, gli altri apostoli, la madre
di Gesù e alcune donne che annunciano
la discesa dello Spirito Santo.
Pietro e compagni sbalordiscono gli ascoltatori,
non solo per il contenuto del loro messaggio,
ma anche perché parlano in aramaico,
mentre l’uditorio è composto da «parti, medi, elamiti»… piemontesi e siciliani, cinesi e
tibetani, russi e ceceni, palestinesi e israeliani,
americani, indiani, australiani…
E tutti capiscono…
Nel santuario torinese pregano il cardinale
Crescenzio Sepe (massimo responsabile dell’evangelizzazione
dei popoli), il vescovo
Mino Lanzetti (che rappresenta l’arcivescovo
Severino Poletto), i superiori dei missionari e
delle missionarie della Consolata. Ma gli occhi
dei numerosi fedeli sono puntati sui padri
Paolo Fedrigoni e Giorgio Marengo, le suore
Lucia Bartolomasi e Maria Inés: sono «della
Consolata», stanno per ricevere il crocifisso
e partire per la Mongolia.
S antuario della Consolata, maggio
1902. Il cardinale Agostino Richelmi
consegna il crocifisso ai primi quattro
missionari della Consolata in partenza per il
Kenya. Sono «figli» di Giuseppe Allamano,
rettore del tempio, oggi «beato»; appartengono
all’Istituto Missioni Consolata, che
l’Allamano ha fondato dopo aver miracolosamente
superato una gravissima malattia. E
raggiungono ii kikuyu del Kenya.
Sull’allora carta geografica del paese africano
compare anche «hic sunt leones» (questa
è terra di leoni). I leoni ci sono, eccome! Ma
il Kenya è abitato soprattutto da uomini e
donne: r meru, samburu, turkana, borana, rendille, el molo, luo…
I missionari della Consolata li incontreranno
tutti per annunciare le beatitudini di Dio.
Questo «numero speciale»
KENYA, AMORE NOSTRO
insegue una (stra)ordinaria missione.
Dunque 100 anni sono trascorsi dalla
prima partenza dei missionari per il Kenya. «Dal 1902 ad oggi ogni missionario
della Consolata – afferma il cardinale
Sepe – parte idealmente da questo santuario;
parte con l’intento di vivere la missione ad
gentes con le caratteristiche suggerite dal titolo
“Consolata”, consegnato dal fondatore
Giuseppe Allamano come principio ispiratore
dell’attività: “elevare” la condizione delle
persone attraverso l’annuncio del vangelo, la
promozione umana, la difesa dei diritti umani,
la lotta contro le ingiustizie; incontrare la
gente e stare con essa, specialmente con chi è
emarginato, solo, triste, sfruttato; preoccuparsi
delle sue necessità e mirare al bene integrale
delle persone».
Al presente i missionari e le missionarie della
Consolata sono circa 2 mila, presenti in 25
nazioni: in Africa, nelle Americhe, in Asia, in
Europa. E oggi puntano verso le sterminate
steppe del mitico Gengis Khan, con una piccola
squadra multiculturale (vi sono pure una
colombiana e un argentino). È «una partenza
insieme»: non a caso per l’Asia, dove vive e
soffre la stragrande maggioranza dei non cristiani.
«La Pentecoste continua oggi – prosegue il
cardinale -. La consegna del crocifisso a questi
missionari ci ricorda che il dovere di annunciare
il vangelo in ogni parte del mondo è
di tutti i battezzati. “Non possiamo starcene
tranquilli – afferma pure Giovanni Paolo II –
di fronte a milioni di fratelli e sorelle, anch’essi
redenti dal sangue di Cristo, che vivono
ignari dell’amore di Dio. Per il singolo credente,
come per l’intera chiesa, la causa missionaria
deve essere la prima, perché riguarda
il destino eterno degli uomini e risponde
al disegno misterioso e misericordioso di
Dio” (Redemptoris missio, 86)».
È«lo zoccolo duro» o «la natura» della
chiesa cattolica, che è tale (cioè universale)
solo se missionaria. Lo ribadì con
forza il Concilio ecumenico Vaticano II, che 40
anni fa (l’11 ottobre 1962) aprì i battenti per
celebrare l’evento ecclesiale più significativo
del secolo.
Un evento attualissimo, per rilanciare la pace
e la giustizia, il dialogo interculturale, la libertà
religiosa, senza tuttavia demordere dall’annunciare
Gesù Cristo.
Ma la missione non è un andare a senso unico:
è «andata e ritorno». Così, Joseph Gitonga,
Reuben Kanake e James Lengarin (rispettivamente kikuyu , meru e samburu) sono missionari
della Consolata in Italia.
Cent’anni fa i «nostri» partivano
per il Kenya. Oggi si
assiste al processo inverso.
Questo perché la
«casa», in Africa o in
Europa, è di tutti. Con
la certezza che invano
si affaticano i loro costruttori,
se non lo fanno
secondo le «beatitudini»
del vangelo.
La «charta magna» di
tutti i cristiani.
FRANCESCO BERNARDI