Carissimi fratelli e sorelle!
La missione della
chiesa è l’annuncio
dell’amore e della misericordia
di Dio, rivelati agli uomini
mediante la vita, la morte
e la risurrezione di Gesù Cristo…
È la proclamazione che
Dio ci vuole tutti uniti nel suo
amore, perdonandoci e chiedendoci
di perdonare.
La riconciliazione ci è stata
affidata, perché è Dio a riconciliare
a sé il mondo in
Cristo, non imputando agli
uomini le loro colpe e affidando
a noi la parola del perdono
(cfr. 2 Cor 5, 19). E Cristo
stesso sulla croce ha pregato:
«Padre, perdonali, perché non sanno quello che
fanno» (Lc 23, 34).
La missione è annuncio di perdono. Lo si ripete sempre,
ma il fatto non perde il suo significato e la sua importanza,
perché la missione costituisce la nostra risposta
al comando di Gesù: «Andate dunque e ammaestrate
tutte le nazioni… insegnando loro ad
osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19).
Si impone con maggiore urgenza il dovere della
missione, perché «il numero di coloro che ignorano
Gesù Cristo e non fanno parte della chiesa è
in aumento; anzi, dalla fine del Concilio, è quasi raddoppiato.
Di fronte a questa umanità immensa, amata
dal Padre che per essa ha inviato
il suo Figlio, è evidente
l’urgenza della missione
(cfr. Redemptoris missio, 3).
Con il grande evangelizzatore
san Paolo, vogliamo ripetere:
«Non è per me un
vanto predicare il vangelo;
è un dovere: e guai a me se
non lo faccio!» (1 Cor 9,
16).
Solo l’amore di Dio, capace
di affratellare gli uomini di
ogni razza e cultura, farà
scomparire le dolorose divisioni,
i contrasti ideologici,
le disparità economiche
e le violente sopraffazioni
che ancora opprimono l’umanità.
Conosciamo le guerre e le rivoluzioni che hanno
insanguinato il secolo trascorso, nonché i conflitti
che continuano ad affliggere il mondo. Non sfugge, al
tempo stesso, l’anelito di tanti uomini e donne che, pur
vivendo in grave povertà spirituale e materiale, sperimentano
la sete di Dio e del suo amore misericordioso.
Pertanto l’invito del Signore ad annunciare la buona
notizia rimane valido; anzi diventa sempre più urgente.
Nella lettera apostolica Novo millennio ineunte
ho sottolineato l’importanza della contemplazione
del volto dolente e glorioso di Cristo. Il
cuore del messaggio cristiano è l’annuncio del mistero
pasquale di Cristo crocifisso e risorto. Il volto dolente
del Crocifisso ci conduce ad accostare l’aspetto più paradossale
del suo mistero, quale emerge nell’ora della
croce (cfr. 25). È la croce la chiave che dà libero accesso
ad una sapienza che non è di questo mondo, né dei
suoi dominatori, ma alla sapienza divina, misteriosa, che
è rimasta nascosta (cfr. 1 Cor 2, 6.7).
Dalla contemplazione della croce impariamo a vivere
nell’umiltà e nel perdono, nella pace e nella comunione.
Questa è stata l’esperienza di san Paolo, che scriveva
agli Efesini: «Vi esorto io, prigioniero del Signore,
a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete
ricevuto, con umiltà, mansuetudine e pazienza,
sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare
l’unità dello Spirito nel vincolo della pace» (Ef
4, 1-3).
E ai Colossesi aggiungeva: «Rivestitevi come eletti di
Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, bontà,
umiltà, mansuetudine, pazienza, sopportandovi a vicenda
e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno
abbia da lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore
vi ha perdonato, fate anche voi. Al di sopra di tutto
vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione. E la
pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete
stati chiamati in un solo corpo» (Col 3, 12-15).
Il grido di Gesù sulla croce non tradisce l’angoscia
di un disperato, ma è la preghiera del Figlio che offre
la sua vita al Padre per la salvezza di tutti. Dalla
croce Gesù indica a quali condizioni è possibile esercitare
il perdono. All’odio, con cui i persecutori lo avevano
inchiodato sulla croce, risponde pregando per
loro. Non solo li ha perdonati, ma continua ad amarli e
intercede per loro.
La sua morte diventa la realizzazione dell’amore.
Davanti alla croce non possiamo che prostrarci in adorazione.
«Per riportare all’uomo il volto del Padre,
Gesù ha dovuto non soltanto assumere il volto dell’uomo,
ma caricarsi persino del volto
del peccato. “Colui che non aveva
conosciuto il peccato, Dio lo
trattò da peccatore, perché potessimo
diventare per mezzo di
lui giustizia di Dio” (2 Cor 5, 21)»
(Novo millennio ineunte, 25).
Dal perdono di Cristo anche per
i suoi persecutori inizia la nuova
giustizia del regno di Dio.
Cristo risorto dona ai suoi
discepoli la pace. La chiesa,
fedele al comando del
suo Signore, continua a proclamae
e diffondee la pace. Mediante
l’evangelizzazione, i credenti
aiutano gli uomini a riconoscersi
fratelli: pellegrini sulla terra
e su strade diverse, sono tutti incamminati verso la patria
comune che Dio, attraverso vie solo a Lui note, non
cessa di additare.
La strada maestra della missione è il dialogo sincero
(cfr. Ad gentes, 7; Nostra aetate, 2); il dialogo che
«non nasce da tattica o interesse» (Redemptoris missio,
56), e neppure è fine a se stesso. Il dialogo, piuttosto,
fa parlare all’altro con stima e comprensione, affermando
i principi in cui si crede e annunciando con
amore le verità profonde della fede, che sono gioia,
speranza e senso dell’esistenza. Il dialogo è la realizzazione
di un impulso spirituale, che «tende alla purificazione
e conversione interiore, la quale, se perseguita
con docilità allo Spirito, sarà spiritualmente fruttuosa» (ibid., 56).
L’impegno ad un dialogo attento e rispettoso è conditio
sine qua non per un’autentica testimonianza dell’amore
salvifico di Dio.
Questo dialogo è profondamente legato alla volontà
di perdono, perché colui che perdona apre il cuore agli
altri e diventa capace d’amare, di comprendere il fratello
e di entrare in sintonia con lui. La pratica del perdono,
sull’esempio di Gesù, sfida e apre i cuori, risana
le ferite del peccato e della divisione, crea una vera comunione.
Con la giornata missionaria mondiale è data a tutti
l’opportunità di misurarsi con le esigenze dell’amore
di Dio. Amore che domanda fede; amore
che invita a porre tutta la propria fiducia in Lui.
«Senza la fede è impossibile essergli graditi; chi infatti
si accosta a Dio deve credere che Egli esiste e che ricompensa
coloro che lo cercano» (Eb 11, 6).
In questa annuale ricorrenza siamo invitati a pregare
per le missioni e a collaborare con ogni mezzo alle attività
che la chiesa svolge in tutto il mondo per costruire
il regno di Dio. Siamo chiamati anzitutto a testimoniare con la vita l’adesione totale a Cristo e al suo vangelo.
Non ci si deve mai vergognare del vangelo, né avere
paura di proclamarsi cristiani, tacendo la propria fede.
È necessario, invece, continuare a parlare, allargare gli
spazi dell’annuncio della salvezza, perché Gesù ha promesso
di rimanere sempre e comunque presente in
mezzo ai suoi discepoli.
La giornata missionaria, vera festa della missione, ci
aiuta a meglio scoprire il valore della nostra vocazione
personale e comunitaria. Ci stimola, altresì, a venire in
aiuto ai «fratelli più piccoli» (cfr. Mt 25, 40) attraverso
i missionari sparsi in ogni parte del mondo.
Fratelli e sorelle carissimi! Affidiamo il nostro impegno
per l’annuncio del vangelo, come pure l’intera
attività evangelizzatrice della chiesa, a Maria
Santissima, regina delle missioni. Sia lei ad accompagnarci
nel nostro cammino di scoperta, annuncio e testimonianza
dell’amore di Dio, che perdona e dona la
pace all’uomo.
IOHANNES PAULUS II