Giugno 2002 passerà alla storia per i
goals di Ronaldo, che hanno laureato il
Brasile pentacampione mondiale di futebol.
Nell’euforia si è esclamato: «Ora anche
Dio è brasileiro!».
A noi, tuttavia, preme ricordare due altri eventi:
il Vertice mondiale sull’alimentazione, svoltosi
a Roma il 10-13 giugno presso la Fao, e il
Summit dei G 8 sulle Montagne Rocciose del
Canada dal 26 al 28 giugno. Incontri apertisi tra
perplessità e conclusisi nella delusione.
Idubbi sul vertice di Roma avevano un fondamento:
primo, perché la Fao è un’agenzia delle
Nazioni Unite che, mentre lotta contro la
povertà nel mondo, spende ogni anno 500 milioni
di euro per mantenere i propri apparati burocratici;
secondo, perché promette di sanare la
piaga di 800 milioni di affamati… a parole,
esattamente come nel vertice del 1996.
Accanto (o in contrapposizione) al vertice
Fao, se n’è svolto un altro con 2.000 delegati
di Organizzazioni non governative
(Ong), impegnate nel Sud del mondo. Nel
documento finale hanno osservato che il
piano della Fao del 1996 «è fallito… perché
si è basato su politiche che incentivavano
la fame nel mondo e la liberalizzazione
economica». L’errore è stato di «avere
forzato i mercati al dumping [con prezzi
stracciati, inferiori persino al costo
di produzione, per vincere la concorrenza],
alla privatizzazione di terreni
e risorse pubbliche: acqua, foreste,
aree di pesca». Inoltre c’è stata la
repressione di movimenti sociali.
Per le Ong la via di uscita è la
«sovranità alimentare»: ossia il
diritto dei popoli ad autodefinire
le proprie politiche produttive,
abbattendo la concentrazione di
proprietà, riconoscendo il ruolo
delle donne, investendo a favore
di piccoli produttori. Ma, per questo,
urgono riforme agrarie, l’esclusione
dell’Organizzazione mondiale
del commercio dalle politiche agricole, la moratoria
sugli organismi geneticamente modificati
(omg).
Il Summit in Canada è stato definito da Silvio
Berlusconi «un vertice concreto» con un piano
di azione per l’Africa povera. Ma, secondo
Sergio Marelli (direttore di 56 movimenti di volontariato
internazionale di ispirazione cristiana),
si tratta di un piano di inazione. Per dimezzare la
povertà entro il 2025, servono ogni anno 54 miliardi
di dollari: lo sostiene la Banca Mondiale,
mentre i G 8 si sono impegnati con 12 miliardi di
dollari: troppo poco rispetto ai 300 miliardi di debito
estero dell’Africa. Né si profila un piano di
aiuti, pari allo 0,7% del prodotto interno lordo,
da parte dei paesi ricchi a favore di quelli poveri.
Questi, nell’ultimo decennio, hanno aumentato
le esportazioni del 40%, vedendone però diminuire
il valore del 30%.
I leaders africani chiedono una collaborazione
collettiva, forte e responsabile, mentre i G 8
sembrano selezionare i paesi da soccorrere,
senza investirvi risorse. Il presidente del
Sudafrica, Thabo Mbeki, ha fatto buon viso a
cattiva sorte, affermando: «Il piano dei G
8 per l’Africa non è che il punto di partenza.
Però la forza non sta nelle risposte
che essi daranno, bensì nella convinzione
con cui gli africani si assumeranno la responsabilità
diretta di fare decollare
il continente».
E che dire dei milioni e milioni
di morti, uccisi da guerre? Al
riguardo, Berlusconi ha ricordato
che l’Africa è arretrata
anche per i conflitti armati.
Verissimo.
Ma, allora, come si può accettare
che, alla Camera dei
deputati italiani, la maggioranza
abbia approvato la
riforma della legge 185/94,
che allarga le maglie del traffico
di armi in Africa?
FRANCESCO BERNARDI