Sognare: un altro modo di comunicare?

«Chi sogna pensa a qualcuno;
se prende la medicina, si sveglia guarito»
(proverbio cambogiano)

Già nei templi di Esculapio
Il sogno (esperienza impalpabile che ci accompagna
durante il sonno) è definito dagli esperti un insieme di
immagini o emozioni, affascinanti o tenebrose, sperimentate
durante il sonno e sepolte per lo più a livello inconscio.
I sogni sono il prodotto della psiche nel sonno,
ma molti sfuggono alla rete della memoria. Chi sogna è
conscio del suo sogno, ma inconscio del mondo che lo
circonda; spesso, al risveglio, ne ha un ricordo più o meno
deformato.
Fin dai tempi più antichi le esperienze oniriche, cioè
del sogno, hanno fornito materiale interessante sia alla
superstizione che alla letteratura, attribuendo ai sogni
un significato premonitore o profetico. Le esperienze
furono studiate anche dalla psicoanalisi, secondo la quale
la loro interpretazione è di aiuto per la comprensione
di alcuni fenomeni che si formano a livello inconscio.
In tutte le medicine tradizionali sognare rappresentava
(e lo è ancora) un avvenimento importante sia dal
punto di vista diagnostico sia terapeutico. Incubatio era
definita, nell’antichità, la pratica medica che si realizzava
nei templi di Esculapio (dio greco-romano della medicina).
Dopo riti propiziatori di purificazione, gli ammalati
si addormentavano sotto il portico del tempio e
si attendeva che l’apparizione del dio nel sonno indicasse
la diagnosi della malattia e i trattamenti terapeutici necessari.
Anche nella medicina araba si parla di «incubatio»,
cioè un sonno indotto, soprattutto psicologicamente,
dal luogo in cui ci si addormenta: nel caso specifico una
moschea o la tomba di un marabutto (santone). Qui, appoggiando
il capo su una parete, si attendeva l’apparizione
in sogno di Allah come taumaturgo. Spesso si sottoponevano
a questa pratica anche gli stessi medici, per
ottenere chiarimenti sulla diagnosi e sui trattamenti terapeutici.
Noti etnologi hanno osservato qualcosa di simile
in Africa (Burkina Faso e Costa d’Avorio).
Nel Camerun i guaritori asseriscono di aver appreso
in sogno l’uso di certe piante medicinali da essi utilizzate.
In Nuova Guinea, dormendo accanto al teschio di
un parente si fanno sogni che vengono interpretati come
consigli, anche terapeutici, da seguire fedelmente.
Il totem (ossia un animale, una pianta, un astro, un oggetto
o indumento ai quali si attribuisca una funzione
«vitale») rappresenta, per molte popolazioni primitive,
l’antenato mitico da cui si sentono protette. Il totem è
spesso una raffigurazione scolpita o dipinta, alla quale
si dedicano riti e offerte. È quindi un rapporto di «parentela
» che le popolazioni ritengono di avere con il loro
totem; con esso ogni membro del gruppo individua
se stesso, la sua stirpe, la posizione sociale nell’ambito
di una popolazione formata da clan totemici. Nelle isole
Figi gli stregoni traggono oroscopi quando nel sogno
compare il loro totem. Oroscopi che sono attesi da tutto
il clan.
Non sempre un sogno si realizza durante un sonno
naturale. In Mozambico un sonno provocato da droghe
suscita uno stato di trance, durante il quale il guaritore,
perfettamente incosciente, riceve suggerimenti su piante
«buone per le cure», suggerite dallo spirito con il quale
è in contatto.

L’olimpo religioso dei «maya»
Anche nella medicina degli attuali maya (Messico e
Guatemala) il sogno rappresenta, fra le medicine tradizionali
ancora in uso, un elemento di grande valore.
L’arte medica di queste popolazioni non è legata a no-
zioni tramandate oralmente o per iscritto o di padre in
figlio, ma solo attraverso il sogno e viene affidata ad un
personaggio un po’ medico e un po’ stregone, chiamato
curandero, il quale è tanto più apprezzato quanto più
ha sognato, utilizzando in modo del tutto personale, il
frutto dei propri sogni.
Le credenze, soprattutto quelle religiose, condizionano
le pratiche mediche tradizionali. Nell’olimpo religioso
dei maya dell’altopiano del Chiapas si osserva una
contemporanea presenza di santi cattolici e divinità indigene
preispaniche, un tentativo di conciliare cristianesimo
e pensiero pagano. In primo luogo vi sono le divinità
benefiche, ossia gli «dei del cielo» (Gesù Cristo,
la Vergine Maria e alcuni santi); seguono gli «dei che sostengono
i quattro punti cardinali», divinità che vengono
associate ai colori: il dio bianco d’oriente per la pioggia,
quello bianco del nord per il mais, il dio colorato del
sud per il vento e quello nero dell’occidente delegato alla
morte.
Vi sono infine le «divinità della terra», che hanno la
massima importanza per la salute dell’uomo, agevolandola
od ostacolandola. Sono rappresentate da spiriti soprannaturali,
anch’essi associati ai colori: rosso, bianco
e verde. Malattia e stregoneria sono legate a queste divinità
e a come vengono «contattate» sia dai medici praticanti
che dagli stregoni.
L’ultima categoria, la più nefasta, è quella che comprende
gli «dei del mondo inferiore», esseri malvagi che
presiedono alle forze del male e alla morte.

L’animale compagno
Nella vita di un maya ha una grande importanza «l’animale
compagno» ossia un essere animale che rappresenta
la proiezione immateriale dell’individuo. Quando
una madre partorisce, il curandero pone sul tetto della
capanna diversi simboli di animali: quello che sarà posto
nel momento del primo vagito sarà il simbolo dell’animale
compagno.
Presso gli indigeni maya le malattie possono essere di
provenienza naturale o soprannaturale: sono naturali le
infermità passeggere (raffreddore, diarrea, angina, ecc.);
soprannaturali invece (e sono la maggioranza) quelle
mandate dagli dei del cielo, della terra o del mondo inferiore.
Paralisi, idiozia, strabismo, schizofrenia, rappresentano
castighi divini. Inoltre ci si ammala anche
ogni volta che si nuoce all’animale compagno.
Anche i medici sono divisi in categorie: il ts’ak (aggiusta
ossi) cura le infermità muscolari e ossee; l’ilol cura
gli stessi mali, ma con tecniche esoteriche che agiscono
sullo spirito del malato; il me’ santo utilizza soprattutto
rituali magici e la ventriloquia, intesa
come divinità parlante racchiusa in un tabeacolo.
Il sogno non è un avvenimento
piacevole per i maya: sono timorosi
dei sogni, perché possono portare più danno che
vantaggio. Infatti essi credono che, quando una persona
sogna, il suo spirito si separa dal corpo e vaga libero;
nello stesso momento «l’animale compagno» esce dal
suo rifugio sulla montagna sacra e vaga per luoghi sconosciuti.
La vita dell’uomo e quella dell’animale sono legate
allo stesso destino e sono facile preda di spiriti maligni
e di stregoni.
I sogni più temuti sono quelli in cui l’indigeno crede
di sedurre una donna, o si vede offrire succulenti cibi di
carne di mucca, gallina, tacchino, maiale, oppure bevande
come la chica (acquavite). Ma il più temuto è il sogno
che porta alla «perdita dell’anima» e che procura
una morte lenta, una lunga agonia senza alcun rimedio.
Come si diventa curandero? La volontà di diventarlo
non conta: se gli dei lo vorranno, in qualsiasi momento,
anche nella vecchiaia, il predestinato avrà un sogno particolare,
durante il quale gli dei lo porteranno nelle loro
dimore celesti e gli insegneranno rimedi e riti curativi.
Fare il curandero non è cosa desiderabile: se l’ammalato
è dichiarato incurabile, lo è per volontà degli dei e
il curandero non può intervenire in alcun modo; spesso
si rifiuta di tentare interventi terapeutici, sapendo che
la volontà degli dei impedirà la guarigione. Non altrettanto
rassegnati sono i parenti del malato, che talvolta
accusano di stregoneria il guaritore e lo minacciano di
morte.
Per questo, quando un curandero si trova presso un
infermo, stabilisce subito se è curabile o no; in caso negativo,
si rifiuterà nella maniera più decisa di intervenire.
E… non gli si può dare torto!

Liliana Pizzoi

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