Torino. Accompagnati dal rettore Franco
Peradotto, entriamo nel santuario della
Consolata rinnovato e ripulito. La fantasia
delle decorazioni, lo splendore dei marmi e il tripudio
dei colori sono esaltanti. Lo sguardo si attarda
con una preghiera sulla «nota immagine», che sovrasta
l’altare maggiore.
Giriamo a destra, per salire i pochi gradini che immettono
alla prima cappella laterale. «Guarda in alto!
» quasi ci comanda il rettore puntando il dito.
Sulla volta spicca un dipinto. Sorprendente.
«È un’opera di Luigi Morgari – spiega monsignor
Peradotto -. Ma è stata completamente ignorata da
tutti. Questa pittura è come se non esistesse.
Infatti, fino ad oggi, nessuno s’è accorto».
«Come mai?» chiediamo.
«Bella domanda!».
Il dipinto fu eseguito in occasione dell’ampliamento
del santuario della Consolata, terminato
nel 1904. La pittura ritrae una scena di evangelizzazione:
da un lato due missionarie davanti ad una
capanna e, dall’altro, tre missionari sul fronte di una
cappella con un quadro della Consolata. E uomini,
donne, bambini. In alto campeggia la litania mariana
«Virgo praedicanda» (Vergine da predicare).
Siamo in Kenya fra il popolo dei «kikuyu», raggiunto
dai missionari della Consolata nel 1902, un
anno dopo la fondazione del loro istituto ad opera di
Giuseppe Allamano, rettore pure del santuario
della Consolata. Ciò significa che la pittura fu
voluta certamente da lui.
Una pittura audace: e per il soggetto insolito
e perché ricordava un’impresa ai primi
passi, che poteva sgonfiarsi come una
bolla di sapone. Infatti la casa di formazione
dei missionari della Consolata,
che nel maggio 1902 si era rallegrata
per la partenza dei primi quattro evangelizzatori
per il Kenya, era subito piombata
nella solitudine per l’abbandono
delle reclute restanti. Però fu una pausa
brevissima. L’avventura ripartì subito con
nuovi missionari.
Ma la prudenza non era mai troppa, e il bene era da
compiersi bene. I neri nel santuario dei bianchi ci
stavano, eccome! Ma senza paparazzi. Per questo (ed
altro) l’immagine fu ignorata.
Giuseppe Allamano mise piede al santuario
della Consolata nel 1880. E trovò «il cuore
» religioso di Torino «asfittico» e brutto.
Urgeva dargli aria: e così fu con l’ampliamento
del santuario. Bisognava pure che la Madre lasciasse
le pareti domestiche per incontrare i suoi figli in fabbrica,
al mercato, nelle scuole, sui campi. Tutti i suoi
figli, compresi quelli più «poveri» della savana africana
e della foresta amazzonica, o quelli più «ricchi»
all’ombra di pagode: e così fu, grazie ai missionari
della Consolata oggi in quattro continenti.
Infine occorreva che i figli della Consolata le restituissero
la visita in casa sua, nel santuario…
Ci piace pensare (forse esagerando) che l’Allamano
abbia anticipato la sfida degli emigrati in Italia. Da
profeta, intuì che un giorno il santuario della
Consolata avrebbe pure accolto la «Salve Regina»
degli extracomunitari, essi soprattutto «esuli… piangenti
in questa valle di lacrime»: specie se clandestini
e senza contratto di lavoro.
E volle quella scena, ieri curiosa. Oggi vera.
FRANCESCO BERNARDI