Giornale o vangelo?

Spettabile redazione,
sono passati mesi dal G 8
di Genova. Ma non posso
dimenticare le devastazioni
che la mia città ha subito
ad opera dei black
block, con la connivenza
di cosiddetti cattolici, preti
e non preti.
Si è distinta SUOR PATRIZIA
PASINI, missionaria
della Consolata, che a
Boccadasse ha aiutato delinquenti,
anarchici, atei.
Allego per maggiore chiarezza
un ritaglio de il
Gioale, 22 luglio 2001.
Mi auguro che nelle vostre
fila non ci siano altre
«Patrizie Pasini».

Le «Patrizie», come
quella de il Gioale, non
non sono mai esistite fra
le missionarie della Consolata.
Il quotidiano ha
attaccato anche l’episcopato
ligure… Forse giova
ricordare che il giornale
non è il vangelo.

Mina Razeto




TROPPI ELEFANTI IN UN PALAZZO DI CRISTALLO

Sono vissuto 25 anni in COLOMBIA. Nel 1978
approdai a Remolino, nella foresta amazzonica
del Caquetà, durante la settimana in cui a
Roma fu sequestrato e poi ucciso Aldo Moro…
Ricordo le notti trascorse in lunghe conversazioni
con i campesinos che, di fronte alla guerra civile,
abbandonavano le città in cerca di libertà e terra da
coltivare, strappata alla selva millenaria. Era il meglio
che potessero avere. Poi scoprii che erano vecchi
comunisti, considerati un pericolo dai partiti tradizionali,
detentori del potere.
Oggi, in Italia da poche settimane, penso alle elezioni
legislative del 10 marzo scorso e a quelle del 26
maggio, allorché la Colombia avrà un nuovo presidente
della repubblica. E mi sconvolge l’ennesimo
assassinio: quello di Isaías Duarte Cancino, arcivescovo
di Cali (16 MARZO 2002). Il prelato, come testamento,
lascia anche un monito: «Fino a quando
dovremo catturare dei vandali, che si sentono autorizzati
a massacrare solo perché recano un bracciale
con la sigla Farc (Forze armate rivoluzionarie di
Colombia), Eln (Esercito di liberazione nazionale),
Auc (paramilitari)?».
In Colombia tutto è fragile ed imprevedibile.
Nulla è scontato. Nei primi anni ’90, quando lo
stato dichiarò guerra al narcotraffico, l’opinione
pubblica nazionale e internazionale non credevano
che le istituzioni avrebbero vinto. Infatti Pablo
Escobar, re della cocaina, sedeva al Congresso come
un cittadino perbene: era un elefante in un palazzo
di vetro… e qualcuno pretendeva che, al suo passaggio,
non restasse un coccio sul pavimento. In altre
parole, la connivenza tra potere politico e narcotraffico
era chiara, però gli organi ufficiali non l’ammettevano.
Il presidente Eesto Samper, eletto nel
1994, si dichiarò pulito. Ecco perché la democrazia e
la legalità erano fortemente minacciate. Ma
le istituzioni hanno reagito, sconfiggendo i cartelli
della droga.
Oggi il pericolo deriva, soprattutto, dalla connivenza
tra politica e guerriglia (che si avvale di cospicui
proventi della coca). Ancora una volta, dopo le elezioni
di marzo, la legalità è in pericolo, perché un
nuovo elefante sta attraversando le sale del palazzo
di vetro: le guerriglie, appunto, di destra e sinistra.
Tra i nuovi eletti ci sono i candidati imposti dall’elettorato
clandestino dei guerriglieri Farc, Eln, Auc.
È un nuovo schiaffo al popolo colombiano, che dovrà
ancora convivere con l’illegalità.
Come non ricordare, ad esempio, i 3 mila sequestri
di persona all’anno e gli assassini impuniti di numerosi
leaders sindacali e politici (di partiti minori)?
Il discorso sul potere politico-servizio della collettività
emerge solo durante la campagna elettorale dei
deputati. Una volta eletti, la festa è finita e… «gabbato
lo santo».
Dopo la rottura definitiva dei dialoghi di pace tra
governo e guerriglia (FEBBRAIO 2002), il quadro politico
assume toni ancora più foschi. Agli slogan radicali
dei fautori della guerra totale, si contrappongono
quelli dei sostenitori di progetti di sviluppo e
giustizia sociale, che è difficile realizzare.
L’unica via di uscita potrebbe essere il
pueblo. Abbandoni la protesta facile e si
vincoli maggiormente al destino della sua
patria. Viva più a contatto con le istituzioni pubbliche,
superi l’indifferenza e l’omertà, reagisca alla
cultura della violenza e dell’illegalità.
Abbandoni la doppia morale: piangere il morto oggi
e non vedere-sapere-udire niente domani.
La Colombia non merita di essere ciò che è o appare.

GIACINTO FRANZOI




Tutti insieme!

Caro padre direttore,
solo in aprile mi è arrivata
Missioni Consolata di febbraio,
mentre in marzo mi
è giunta quella di dicembre.
Ma non facciamo polemiche
sulle poste…
Ieri sera, domenica, mi
sono dedicato a leggere la
rivista, invece di guardare
il «cassetto idiota» (così
sembra che gli americani
chiamino la tivù).
Sono rimasto molto male
nel leggere tutte quelle
lettere, piene di tracotanza,
cattiveria ed anche di
insulti. Sono rimasto male
soprattutto perché le lettere
provengono da credenti
che si definiscono cattolici
doc, che si vantano di avere
fratelli e figli preti, e
poi criticano perfino il papa
(quando egli parlava
contro il comunismo, i
mass media facevano da
cassa di risonanza; ora
che il papa giudica severamente
il capitalismo, tutti
zitti!).
Mi viene in mente Gesù
che diceva: «Lo so che siete
stirpe di Abramo, ma
intanto cercate di uccidermi,
perché la mia parola
non trova posto in voi»
(Gv 8, 38). E lo hanno ucciso
davvero.
Caro direttore, mi verrebbe
voglia di buttarmi
nella mischia anch’io, ma
dalla tua parte (e avrei
tanti argomenti documentati).
Però mi chiedo: è
mai possibile che noi, cristiano-
cattolici, ci scanniamo
a vicenda? Che cosa ci
direbbe Gesù Cristo vedendoci
così inviperiti gli
uni contro gli altri?
Inoltre mi dico: i fascisti
di Mussolini (penso che
fossero in buona fede, almeno
all’inizio) non sarebbero
arrivati in fondo
al baratro (dittatura e
guerra), se si fossero fermati
ad ascoltare anche
quelli che non la pensavano
come loro… Se i papi si
fermano a ragionare e a
dire, per esempio, che la
proprietà privata non è
sempre una cosa sacra,
perché anche noi, fedeli,
non ci fermiamo per capire
meglio i punti di vista
dell’altro che si dichiara
cristiano-cattolico?
E pensare che parecchi
politici, oggi, si ritengono
eredi prioritari della «democrazia
cristiana», ma si
comportano peggio di tutti
gli altri.
A me sembra che il linguaggio politico-televisivo,
carico di violenza, arroganza
e cattiveria, abbia
invaso anche le nostre
persone… se scriviamo lettere
come quelle pubblicate
su Missioni Consolata.
Caro padre, perché continui
ad essere così onesto
da pubblicare quelle letteracce
(tralasciando magari
l’autore per non esporlo al
vituperio) e a limitarti a
risposte brevi sperando
che gli interlocutori capiscano?
Ma forse ne avrai
per poco tempo. Forse ti
faranno fare la fine dell’ex
direttore di Nigrizia.
Ma intanto va’ avanti e
continua ad essere «la voce
dei senza voce»: la nostra
voce. La voce dei poveri
che cercavi di aiutare
quando eri missionario in
Africa; la voce di chi non
possiede giornali, né canali
televisivi né altro.
Siete rimasti in pochi
ormai, voi missionari. Io
vorrei aiutarvi, ma non
posso fare molto. Intanto
vi prometto la mia preghiera.

Caro Carlo, tu hai la
missione nel cuore, visto
che sei anche fratello di
padre Luigi, in Colombia,
e di suor Virgiliana
in Tanzania: entrambi
missionari della Consolata.
Senza scordare la sorella,
monaca di clausura.
Avanti tutti insieme!
Anche pregando.

Carlo Duravia