IL BUON SAMARITANO… COMUNISTA

Il comunista, che
ha giustamente
votato contro la
guerra in Afghanistan,
dove si trovava
quando l’Urss
invadeva quel paese?
Ha protestato contro le mine disseminate
dai sovietici, che hanno
amputato le gambe al povero contadino
e ai suoi figli intenti a «coltivare
un campicello nelle vicinanze di
Kabul»?
Perché quel comunista, seduto in
parlamento nella precedente legislatura,
ha votato a fianco degli americani
per la guerra nel Kosovo?
Ho sempre pesato con diffidenza
le affermazioni dei politici di destra
e di sinistra… Ma a voi posso chiedere
di parlarci di più dell’amore di
Dio, il Buon Samaritano, e dei vostri
santi missionari?… Non cadete nella
trappola, dando spazio a chi si
presenta in veste d’agnello. «Dai loro
frutti li riconoscerete».

Sacrosanto! E vi sono pure «lupi»…
che poi si comportano da agnelli.

V. MARIN




IL BUON SAMARITANO… COMUNISTA

Su Missioni Consolata di gennaio
2002 leggo «la parabola di Luca
» attualizzata. Ed ecco che un comunista
viene a darci la lezione del
«buon samaritano», votando contro
la guerra in Afghanistan. Beh, proprio
un comunista? Quando l’Unione
Sovietica invase l’Afghanistan (e
lo fece per conquistare il paese ed
instaurarvi il regime comunista), da
che parte stava quel comunista? Le
bombe sovietiche erano di cartapesta?
Nel regime sovietico non c’era posto
per la pietà, sopraffatta da ben
altri sentimenti; e a chi la pensava
diversamente e non si sottometteva
era riservato un trattamento speciale:
gulag, gulag, e ancora gulag! Ce
ne siamo scordati? Si legga «Arcipelago
Gulag» di Aleksandr Solzenicyn.
Nell’ottobre scorso l’America ha
intrapreso l’azione bellica in Afghanistan,
perché terribilmente provocata
e con ben altri propositi da
quelli dell’Urss: primo fra tutti quello
di combattere il terrorismo. Per
questo ha avuto quasi un universale
sostegno. L’intento, poi, di convertire
alla democrazia un paese musulmano
è impresa ardua. Ora, dopo
tre mesi di bombardamenti, la prosecuzione
del metodo di lotta al terrorismo
va certo ripensata.
Non sono uno scrittore; reagisco
istintivamente quando vengo
tirato per la barba, ormai
bianca. Mi definisco un cristiano
credente, non indifferente
al senso di pietà unito
al timor di Dio. Rammento
al comunista
della «parabola»
che la maggior parte
delle organizzazioni
umanitarie
nel mondo ha
un’impronta cristiano-
cattolica…
Anch’io ho una storiella
da raccontare.
Eccola: «Ricordo un natale,
trascorso in India
con le suore di Madre
Teresa. Eravamo a cena
e suonarono alla porta.
Una suora andò ad aprire e ritoò
con un cestino, che mise sul tavolo
senza scoprirlo. Tutti pensarono che
contenesse dei doni. Poi guardammo
dentro e scoprimmo che c’era un
bambino che dormiva. Tutte le suore,
piene di gioia, esclamarono: “Gesù
bambino! Gesù bambino è venuto
tra noi!”. E dire che avevano 500
bambini nell’orfanotrofio…». Il racconto
è del vescovo Paolo M. Hnilica.

Grazie della testimonianza squisitamente
missionaria e grazie anche dell’invito
alla coerenza.
Durante l’invasione dell’Afghanistan
da parte dell’Unione Sovietica (1979-
89), gli Stati Uniti sostennero la resistenza
dei locali mujaheddin musulmani
e gradivano che un certo Osama
Bin Laden combattesse contro l’impero
sovietico, ritenuto «il regno del male
» (cfr. Gilles Kepel, Jihad, ascesa e
declino, Carocci, Roma 2001). Oggi invece,
per il governo di George Bush, la
Russia di Vladimir Putin è un’alleata
importante contro il terrorismo di Bin
Laden, divenuto il nemico numero uno.
Alleata politica degli Stati Uniti è
pure la Cina, che ha messo da parte le
proprie divergenze.
Quale sarà il prezzo che gli Usa dovranno
pagare ai due alleati? Non vorremmo
che il conto preveda concessioni
anche in materia di
diritti umani: per esempio,
negli «scontri armati in Cecenia
» e nella «assimilazione
delle 55 minoranze cinesi alla
maggioranza degli han» (cfr.
Le Monde diplomatique,
febbraio 2002).
Su che cosa si fonda la
coerenza politica e
quanto dura?

A. DE ANGELI




LE SPADE NEL FODERO

Ho letto con sgomento su Avvenire 8/2/2002 che
la televisione Abc ha diffuso un reportage da Cuba
(base USA di Guantanamo), dove si vedono i detenuti
talebani ribellarsi agli agenti americani che
rovesciano loro addosso feci e urine. È vero?
Esistono testimonianze sufficienti per odiare la
guerra (non i soldati, vittime essi stessi del vortice
distruttivo, mai totalmente estinguibile dall’uomo).
Qualcuno ha gridato: «Mai più la guerra!». Altri
l’hanno bollata come «avventura senza ritorno». Si
è pure detto: «Con la guerra tutto è perduto». Cosa
ci serve ancora per accantonarla per sempre?
La guerra è stata pure abolita da alcune costituzioni
come mezzo risolutivo dei conflitti. E perché ritorna
sotto altri nomi? Ingerenza umanitaria, azione
di polizia internazionale, legittima difesa…
È necessario un salto di qualità nella riflessione e
nelle scelte quotidiane di ognuno di noi. Il Dalai Lama,
buddista, ha saputo dire «no» alla guerra e a
qualsiasi violenza. E noi cristiani?
Ad Assisi altri leaders religiosi (tra cui Giovanni
Paolo II) hanno dichiarato di impegnarsi perché la
religione non sia mai usata per uccidere, ma per instaurare
tra i popoli relazioni di giustizia e pace.
Le intenzioni sembrano buone; ma, come cristiani,
dobbiamo maturare le motivazioni per tale impegno.
Come «cattolici» noi abbiamo il Concilio ecumenico
e il Catechismo degli adulti: ci consentono
ancora di scegliere «con dolore» l’extrema ratio, cioè
la guerra, quando si è mostrata fallimentare ogni altra
via (dialogo, diplomazia…). Nessuno è disposto
a sopportare una «pace ingiusta», che può significare
sfruttamento, morte. Volendo essere «ragionevoli
», non si dovrebbe scartare questa ipotesi.
Gesù ci ha proposto un’altra via? Sì. Ci ha chiesto
di credere nella forza dell’amore. È la proposta della
croce nella prospettiva della risurrezione: dell’abbraccio
eterno del Padre, il quale non lascia che nessuno
dei suoi figli si perda. La testimonianza dell’amore,
che ci fa essere dono per tutti, porta a soluzione
i conflitti nei tempi che solo Dio conosce e che
non sempre ci consentono di vedere «qui ed ora» i risultati.
Vorrei sapere da specialisti del Nuovo Testamento
se le mie opinioni sono pure fantasie. È vero che l’amore
per i nemici, predicato da Gesù, dovrebbe disarmare
qualsiasi soldato cristiano?
Forse ci vorrà un nuovo Concilio ecumenico…

Caro Filippo, in attesa degli specialisti, «accontentati
» di Gesù che comanda a Pietro: «Rimetti la spada nel
fodero» (Mt 26, 52). Tuttavia è un Gesù che non subisce
passivamente la violenza. A chi lo schiaffeggia replica:
«Se ho parlato male, dimostralo; ma, se ho detto
la verità, perché mi percuoti?» (Gv 1, 23).

FILIPPO GERVASI




Bravo padre Enzo!

Carissimi missionari,
devo aiutare la mia gente
a passare dal solo dare al
saper ricevere i doni di altre
culture e chiese. Sto
cercando del materiale
con un linguaggio adatto.
Sapreste indicarmi qualcosa?
Cari amici, niente paura
delle critiche! Potete contare
anche su moltissimi
estimatori.

L’enciclica di Giovanni
Paolo II Redemptoris
missio; l’opuscolo Parrocchia,
comunità missionaria
di D. Pecile (Elledicì,
Torino 1989); il libro di
A. Nanni Educare alla
convivialità (Emi, Bologna
1994). Fondamentale,
per i «nuovi stili di vita
», è il volume Guida al
consumo critico (Emi, Bologna
2000). Eccetera.

Enzo Balasso




Ecco i «punti neri»

Caro direttore,
Missioni Consolata è bella,
ma ha dei «punti neri».
Sono anziano, però, nel
leggere PAOLO MOIOLA,
ritorno giovane, quando
leggevo L’Unità dei comunisti
e dei catto-comunisti,
quando (anche allora) tutti
i mali erano imputati agli
americani.
Moiola è giovane; non
ha visto la seconda guerra
mondiale, né può sapere
di tutte le concessioni, fatte
dalle nazioni democratiche,
a Hitler per non entrare
in guerra; quindi
può «gridare che un’altra
strada esiste per non farla» (Missioni Consolata,
ottobre-novembre 2001).
Monsignor Joseph Fiorenza,
presidente dei vescovi
Usa, afferma: «L’azione
militare è sempre da
deplorare, ma può essere
necessaria per proteggere
gli innocenti o per difendere
il bene comune»
(Corriere della Sera, 10 ottobre
2001).
In «Colloqui col Padre»
Famiglia Cristiana ricorda
che il Concilio Vaticano II
nella Gaudium et Spes afferma:
«Fintantoché esisterà
il pericolo della
guerra e non ci sarà un’autorità
internazionale…
non si potrà negare ai governi
il diritto di una legittima
difesa».
La maggior parte degli
articoli di Moiola sono un
attacco feroce all’America:
cita un grande scrittore
messicano, che definisce
George Bush «un energumeno
ignorante» (Missioni
Consolata, ottobre/novembre
2001). È grande
chi usa tale linguaggio?
Moiola intervista SUSAN
GEORGE (Missioni Consolata,
dicembre 2001), «nota
studiosa franco-statunitense», che dichiara: «Ho
paura che Bush vorrà fare
il cow-boy e farà cadere il
mondo nella trappola del
Far West». Ma che studia
costei? Insulti?
Preciso: sono poche le
cose del sistema sociale americano
che mi piacciono;
in politica estera non
sempre l’America si comporta
coerentemente. Ma
non si può dimenticare
che ha salvato l’Europa e
(direi) il mondo più volte
(nella prima e seconda
guerra mondiale); ci ha
scampati dalla fame con il
piano Marshall (1948-
1952), dal comunismo e
oggi dal terrorismo(temuto
da tutte le nazioni del
mondo), che è la forma
più odiosa per reclamare i
propri diritti. L’America è
la più grande nazione
multietnica al mondo.
Mi permetto di sussurrare
a Paolo Moiola: «Un
po’ di umiltà non guasta».

Certissimamente un
po’ di umiltà fa bene.
A tutti…

Rinaldo Banti




I «puntini» sui musulmani

Egregio direttore,
il 24 gennaio scorso si riunirono
ad Assisi i rappresentanti
delle principali
religioni a pregare per la
pace: erano monoteisti e
animisti. Li univa un’idea
superiore e universale.
Noi (che crediamo in
un solo Dio) siamo più vicini
ad ebrei e islamici; ma
riconosciamo in Gesù il
Dio che si è fatto uomo e
ha patito la croce per redimerci
dal peccato. Il suo
messaggio è la nostra legge
ed è la rivelazione, che
Gesù ha detto di predicare
a tutte le genti. È una
rivelazione divina: quindi
definitiva e non ha bisogno
di ulteriori complementi.
Gli islamici considerano
rivelazione il corano di
Muhammad, il quale dice
di averla ricevuta da Dio
attraverso l’arcangelo Gabriele.
Nella libertà di religione
noi rispettiamo il loro
credo, ma non lo condividiamo.
Inoltre essi non
hanno un’autorità superiore
che indichi cosa bisogna
credere; quanto loro
dicono gli studiosi coranici,
magari con
affermazioni contraddittorie
secondo i casi e i
tempi, può diventare verità
cui si vincolano.
Per la legge italiana c’è
parità tra uomo e donna,
mentre gli islamici intendono
la donna soprattutto
come un mezzo per avere
discendenza. E sono succubi
della «legge islamica
», successiva a Muhammad,
che detta norme a
volte incivili.
La stampa cattolica, sotto
il pretesto dell’accoglienza
e tolleranza, non è
esplicita; versa tanta acqua
sul fuoco pro bono
pacis, guarda solo al poco
che ci unisce e non al tanto
che ci divide. Da quello
che vi si legge c’è da pensare
che la religione islamica
sia anch’essa vera,
che la fede degli islamici è
buona come la nostra. Il
corano ha la stessa autenticità
della bibbia. Se dicessimo
il contrario, li offenderemmo.
Forse gli islamici sono
più religiosi di noi; ma noi
per loro siamo degli infedeli
ed essi per noi sono
gente di un’altra religione.
Forse fra qualche secolo
ci capiranno, per ora no.
Ora ci disprezzano con una
punta di odio, che è
dettato in tutta coscienza,
e va rispettato. Noi non
capiamo la religiosità degli
islamici: tutti, in perfetta
fila, pregano più di noi,
anche se le donne non sono
in mezzo a loro. Io ci
vedo anche tanto formalismo,
molta convinzione,
ma anche tanta usanza
tradizionale.
Muhammad è profeta in
senso biblico? Veramente
il corano è stato recapitato
dall’arcangelo Gabriele?
Ditecelo, per favore.
La maggioranza dei cattolici
non ha capito se i
musulmani sono fratelli o
concorrenti e non sa, su
ciò che ci divide, come
comportarsi e cosa credere.
Ogni tanto capitano
dei fatti gravi che ci lasciano
perplessi. Mai una volta
che, durante un’omelia,
si senta parlare di islam,
anche per mettere le mani
avanti e aprire gli occhi ai
cattolici disinformati.
Perché non mettete i
punti sulle «i»?

Lettera importante
quanto «delicata».
Lo studioso Maxime
Rodinson definì Muhammad
un profeta armato
di scimitarra. In tal caso,
il fondatore dell’islam
non è un profeta secondo
lo spirito biblico dell’amore.
Né lo fu, ad esempio,
Elia, quando scannò
i profeti di Baal [divinità
della natura in Siria-Palestina]
(cfr. 1 Re 18, 40).
«Veramente il corano è
stato recapitato dall’arcangelo
Gabriele?». Forse
non è costruttivo domandarlo.
Infatti i musulmani
potrebbero
subito replicare: «E chi vi
dice che l’angelo abbia
annunciato a Maria che
sarebbe divenuta madre
di Dio?». Così le dispute
religiose continuerebbero,
sterili, all’infinito!
Riteniamo che il confronto
fra «noi» e «loro»
(previa mutua conoscenza
culturale-religiosa)
debba riguardare soprattutto
le leggi dello stato e
il mancato rispetto dei diritti
umani (libertà, reciprocità,
uguaglianza) in
ogni angolo del mondo:
un’autocritica musulmana
è importante… Importante
è pure conoscere le
possibili conseguenze dei
«matrimoni misti».
Altri temi su cui confrontarsi
sono la democrazia
e la «modeità»,
argomenti temuti da tanti
leaders musulmani.

Lettera firmata




Fare un «cornetto»

Caro direttore,
non condivido i giudizi espressi dall’autrice della lettera «Donne dimenticate?» (Missioni Consolata, gennaio 2002, pagina 6). I paesi islamici e non, dove l’adulterio viene castigato con la pena di morte, commettono un crimine. Ma l’infedeltà coniugale è, a sua volta, un male o un grave disordine morale, sul quale c’è poco da soprassedere. L’espressione «fare un coino» o «cornetto», usata dalla lettrice, non è adatta per discorsi così delicati: andare a letto con un altro non è come inzuppare una brioche nel cappuccino! Gesù stesso ha parlato dell’adulterio come di un peccato grave; e, pur avendo detto no alla lapidazione e dato una memorabile lezione ai farisei che ne sostenevano la necessità in nome della religione, si è rivolto alla donna colta in flagrante adulterio dicendole: «Va’ e non peccare più».

La storia più recente insegna che spesso l’adulterio è il preludio alla separazione, al divorzio, ossia a situazioni che peggiorano, anziché migliorare, la condizione della donna. In Italia, per esempio, la legge Baslini-Fortuna si è rivelata alla lunga contro la donna, non a favore: lo ammettono sia i divorziati che i divorzisti. Quanto al rapporto col neoliberismo, una delle migliori garanzie contro il club dei ricchi e la dilagante dottrina del «pensiero unico» è proprio la famiglia fondata sull’amore e sulla reciproca fedeltà dell’uomo e della donna: solo questa famiglia può riuscire ad essere per i figli un modello di sobrietà, solidarietà e responsabilità, indispensabili alle giovani generazioni. Queste hanno bisogno di modelli seri, per sostenere l’urto con il mondo dell’opulenza sfrenata, del consumismo (anche sessuale), del pendolarismo (anche affettivo), della flessibilità (anche nei vincoli coniugali), dell’indifferenza.

«In un mondo siffatto – stigmatizza ancora opportunamente la lettrice – la parola d’ordine è PROIBITO PROIBIRE, perché tutto è relativo, tutto è cultura, tutto è lecito, tutto è degno di considerazione, rispetto e tolleranza. Compresa la pornografia, la pedofilia, il turismo sessuale, i siti internet dedicati agli “appassionati” di sevizie ai neonati?».

Ave Baldassarretti




A chi serve Bin Laden?

Cari missionari,
siete gli unici che non si
fanno «pilotare» dai potenti,
ovvero da quei signori
che hanno creato i
vari BIN LADEN e ora
piangono per tutto ciò che
accade.
Non sopporto gli atteggiamenti
ipocriti degli occidentali
(americani in testa),
cui interessa solo il
profitto e guadagno, non
tenendo conto degli altri…
Ho ammirato invece i giovani
a Genova, durante il
G 8, anche perché degli
«otto grandi» non c’è da
fidarsi molto. Ammiro pure
la dedizione dei missionari
sparsi nel mondo.
Purtroppo i nostri «capi» e quelli statunitensi
continuano a fare una politica
di parte, tenendo
buono «a fior di soldi» (ad
esempio) Musharaf, presidente
pakistano «dittatore», sicuramente nostro
prossimo nemico, quando
non sarà più gradito. E, intanto,
l’odiato Bin Laden
continua a servire agli Stati
Uniti per un ricambio di
tecnologia nel loro arsenale
bellico.
Caro direttore, ho detto
un’assurdità? Sarò lapidato
anche da lei?

Evitiamo i processi alle
intenzioni: lo ripetiamo
da sempre… È risaputo
che, in tempo di guerra,
la produzione e il mercato
delle armi fioriscono.
Meglio, impazziscono.

Alessandro




«Il» problema

Spettabile redazione,
ho letto l’articolo sull’ambiente
(Missioni Consolata,
gennaio 2002). Bello!
Penso che la questione ecologica
non sia solo «un»
problema, ma «il» problema.
Seguirò con interesse
anche i prossimi articoli
della nuova rubrica.

I complimenti spettano
a Silvia Battaglia, ingegnere
ambientale, che cura
la serie di articoli «Una
sola madre terra».

Gianni Liggi-Samassi




«Penne nere» e «barbari»

Cari missionari,
esprimo il mio ringraziamento
per un particolare,
che conferma la vostra
sensibilità e correttezza. A
pagina 28 di Missioni Consolata,
gennaio 2002, riferendovi
alla foto che riproduce
dei militari, vi siete
premurati di specificare
che si tratta non solo di italiani,
ma di alpini.
L’azione degli alpini in
Mozambico, sotto la responsabilità
dell’Onu e
l’approvazione della Comunità
di Sant’Egidio, favorì
l’evoluzione dalla tregua
alla pace; quindi fu
positiva, evitando di transitare
per discutibili «alleanze
», anche se non
mancarono polemiche,
che sorgono ogni volta
che si tira in ballo lo strumento
militare.
Gli alpini della foto indossavano
i colori delle
forze dell’Onu e non il loro
glorioso cappello con la
penna nera; ma erano alpini
a tutti gli effetti: volontari
sì, ma nel compimento
del servizio di leva.
Sulla situazione attuale
e sull’evoluzione delle forze
armate italiane ci sarebbe
molto da disquisire, ma
non è un argomento strettamente…
missionario.
Colgo l’occasione per
dire che, lo scorso anno,
sono stato a Genova due
volte: la prima per l’adunata
nazionale degli alpini
in congedo e la seconda
con i missionari ad esprimere
il dissenso ai «prepotenti
della terra». Condivido
le vostre analisi e
critiche su questa globalizzazione
intrisa di barbaro
liberismo economico.

«Barbaro», secondo il
greco barbaròs, significa
pure «balbuziente». E
che il liberismo economico
«balbetti» lo si è visto
anche in Argentina, con
effetti deleteri.

Beppe Peroncini