TROPPI ELEFANTI IN UN PALAZZO DI CRISTALLO

Sono vissuto 25 anni in COLOMBIA. Nel 1978
approdai a Remolino, nella foresta amazzonica
del Caquetà, durante la settimana in cui a
Roma fu sequestrato e poi ucciso Aldo Moro…
Ricordo le notti trascorse in lunghe conversazioni
con i campesinos che, di fronte alla guerra civile,
abbandonavano le città in cerca di libertà e terra da
coltivare, strappata alla selva millenaria. Era il meglio
che potessero avere. Poi scoprii che erano vecchi
comunisti, considerati un pericolo dai partiti tradizionali,
detentori del potere.
Oggi, in Italia da poche settimane, penso alle elezioni
legislative del 10 marzo scorso e a quelle del 26
maggio, allorché la Colombia avrà un nuovo presidente
della repubblica. E mi sconvolge l’ennesimo
assassinio: quello di Isaías Duarte Cancino, arcivescovo
di Cali (16 MARZO 2002). Il prelato, come testamento,
lascia anche un monito: «Fino a quando
dovremo catturare dei vandali, che si sentono autorizzati
a massacrare solo perché recano un bracciale
con la sigla Farc (Forze armate rivoluzionarie di
Colombia), Eln (Esercito di liberazione nazionale),
Auc (paramilitari)?».
In Colombia tutto è fragile ed imprevedibile.
Nulla è scontato. Nei primi anni ’90, quando lo
stato dichiarò guerra al narcotraffico, l’opinione
pubblica nazionale e internazionale non credevano
che le istituzioni avrebbero vinto. Infatti Pablo
Escobar, re della cocaina, sedeva al Congresso come
un cittadino perbene: era un elefante in un palazzo
di vetro… e qualcuno pretendeva che, al suo passaggio,
non restasse un coccio sul pavimento. In altre
parole, la connivenza tra potere politico e narcotraffico
era chiara, però gli organi ufficiali non l’ammettevano.
Il presidente Eesto Samper, eletto nel
1994, si dichiarò pulito. Ecco perché la democrazia e
la legalità erano fortemente minacciate. Ma
le istituzioni hanno reagito, sconfiggendo i cartelli
della droga.
Oggi il pericolo deriva, soprattutto, dalla connivenza
tra politica e guerriglia (che si avvale di cospicui
proventi della coca). Ancora una volta, dopo le elezioni
di marzo, la legalità è in pericolo, perché un
nuovo elefante sta attraversando le sale del palazzo
di vetro: le guerriglie, appunto, di destra e sinistra.
Tra i nuovi eletti ci sono i candidati imposti dall’elettorato
clandestino dei guerriglieri Farc, Eln, Auc.
È un nuovo schiaffo al popolo colombiano, che dovrà
ancora convivere con l’illegalità.
Come non ricordare, ad esempio, i 3 mila sequestri
di persona all’anno e gli assassini impuniti di numerosi
leaders sindacali e politici (di partiti minori)?
Il discorso sul potere politico-servizio della collettività
emerge solo durante la campagna elettorale dei
deputati. Una volta eletti, la festa è finita e… «gabbato
lo santo».
Dopo la rottura definitiva dei dialoghi di pace tra
governo e guerriglia (FEBBRAIO 2002), il quadro politico
assume toni ancora più foschi. Agli slogan radicali
dei fautori della guerra totale, si contrappongono
quelli dei sostenitori di progetti di sviluppo e
giustizia sociale, che è difficile realizzare.
L’unica via di uscita potrebbe essere il
pueblo. Abbandoni la protesta facile e si
vincoli maggiormente al destino della sua
patria. Viva più a contatto con le istituzioni pubbliche,
superi l’indifferenza e l’omertà, reagisca alla
cultura della violenza e dell’illegalità.
Abbandoni la doppia morale: piangere il morto oggi
e non vedere-sapere-udire niente domani.
La Colombia non merita di essere ciò che è o appare.

GIACINTO FRANZOI

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