AFGHANISTAN: Dopo la guerra e le bombe, verrà il tempo della pace?
LO
SCANDALO CONTINUA
di Alberto Chiara (*)
L’Afghanistan è sì un paese affamato, assetato, povero; è sì uno stato
imbavagliato per colpa della crudele ottusità dei talebani; è sì rifugio
di Osama bin-Laden e di tanti altri terroristi, ma è anche e soprattutto
una nazione quotidianamente dilaniata dalle mine antiuomo e anticarro,
posate in 21 anni di guerra ininterrotta. (…)
Già le
mine. Non distinguono un soldato da una donna: colpiscono alla cieca
chiunque le calpesti. Non rispettano tregue o trattati di pace: esplodono
anche 30/40 anni dopo essere state sotterrate. Sono armi vigliacche, di
cui il mondo fatica a sbarazzarsi una volta per sempre.
Le mine
antiuomo hanno costi di produzione relativamente bassi, ma costi sociali
altissimi. «Il prezzo di un singolo ordigno varia da 3 a 30 dollari»,
osservava anni or sono il Comitato internazionale della Croce rossa (la
cifra non è variata di molto). «Per togliere una mina occorrono diverse
centinaia di dollari, mentre il costo di un arto artificiale, per chi
rimane mutilato, è di 125 dollari». Un bambino cui bisogna amputare la
gamba dilaniata dallo scoppio di un ordigno, deve cambiare 15 protesi nel
corso della vita.
Nel
dicembre 1997 il mondo sembrò mettere fine a un colpevole disinteresse. Ad
Ottawa, in Canada, fu messo a punto un Trattato internazionale che metteva
al bando queste armi vigliacche vietando l’uso, la produzione,
l’immagazzinamento e il commercio di tutte le mine antiuomo. (…)
Al 10
ottobre 2001, il Trattato di Ottawa risultava firmato da 142 paesi e
ratificato (ovvero recepito nelle rispettive legislazioni nazionali) da
122 stati. Tra chi non ha firmato figurano purtroppo grandi potenze (Stati
Uniti, Russia, Cina), nonché potenze regionali di rilievo, come India e
Pakistan; Siria, Libano, Egitto e Israele; Iran e Iraq. Le mine, intanto,
continuano a esplodere.
(*)
Alberto Chiara è inviato del settimanale «Famiglia Cristiana». Questo
passo è tratto da «Italia Caritas» (novembre, 2001), il mensile della
Caritas italiana.
sfogliando s’impara
… i media tra guerra e pace
a cura di Paolo Moiola
«DALLA GUERRA NON NASCE GIUSTIZIA»
«Ogni
vittima è una parte di noi che muore. (…) La metà dei soldi usati per
questo primo mese di guerra sull’Afghanistan avrebbero consentito a 20
milioni di esseri umani di quel paese di vivere in prosperità e ricchezza
per tutto il resto della loro vita. Con il 3 per cento dei fondi destinati
alla militarizzazione dei soli e delle stelle, il cosiddetto scudo
spaziale, potremmo dare acqua potabile a chi oggi vede preclusa questa
vitale possibilità. La guerra non è solo ciò che distrugge o uccide con le
armi: è tanta intelligenza, tanta cultura scientifica, tante risorse
finanziarie bruciate per la morte anziché per la vita. Il terrorismo è
nostro nemico. Solo la pace può sconfiggerlo.
Il
terrorismo è nostro nemico. Esso si annida e si nutre nelle tante aree di
sofferenza prodotte da un sistema ingiusto. Esso è protetto nei paradisi
fiscali, nel riciclaggio di denaro sporco, dai trafficanti di armi, dai
rialzi e dai crolli delle borse».
Appello
pubblicato dal settimanale «Carta» del 6 dicembre 2001, firmato tra gli
altri da: mons. Luigi Bettazzi, don Luigi Ciotti, don Tonio dell’Olio (Pax
Christi), padre Alex Zanotelli
SIAMO TUTTI AMERICANI?
«Era
dal 10 giugno 1940 che un governo non convocava una grande manifestazione
di piazza, nella quale poter dire con orgoglio “L’Italia è in guerra”.
Infatti l’Alleato, esaminata la pratica, ci ha concesso di schierare anche
le nostre navi e i nostri aerei. (…) Ma cosa vuol dire “siamo tutti
americani”? (…) Significa che anche noi ci sentiamo colpiti dall’attacco
al pentagono e alle due Torri e che anche noi siamo responsabili della
risposta che gli si dà; e infatti entriamo nella stessa guerra. Ciò però
ci legittima a parlare come se fossimo americani. La prima cosa che
pertanto possiamo dire è che siamo pessimamente governati. (…)
Elevare
al rango di nemico il terrorismo significa creare un nemico universale,
onnipresente (…). Universale il nemico, universale la guerra, universale
la militarizzazione, universale il passaggio dai codici di pace ai codici
di guerra. E così, col terrore, in nome del terrore e contro il terrore si
governa, e si trasforma la vita quotidiana in un inferno (…).
Di
questo ci potremmo lamentare, come americani. E anche di aver esibito
questa immagine di un’America puritana, farisea, che si ritiene la
migliore e più giusta, benefica per l’intera umanità, stupita di non
essere amata».
Raniero
La Valle, su «Rocca», quindicinale edito da Pro Civitate Christiana
(Assisi), 15 novembre 2001
«O CON NOI O CONTRO DI NOI»
«Non
contano i pensieri e le opinioni: durante la guerra non è lecito avere
dubbi, porsi delle domande, esercitare il proprio spirito critico; ogni
forma di opposizione diventa un tradimento.
Lo
slogan "o con noi o contro di noi" è un esempio di questa deriva verso
l’intolleranza».
Gruppo
Pace Valsusa, su «Dialogo in Valle», periodico cattolico di Condove (Torino),
novembre 2001
CENSURA E OMOLOGAZIONE
«Disarmante
è, poi, la rinuncia a capire e a spiegare cosa c’è dietro a quello che è
successo e sta succedendo, cosa ha fatto nascere un odio così feroce e
devastante, come è possibile contrastarlo senza per questo far uso di
missili e bombe. Chi cerca di farlo di volta in volta viene demonizzato,
deriso, minacciato e da qualcuno anche considerato alla stregua dei
terroristi che si sono abbattuti su New York. (…)
Se non
resistiamo oggi alla "tentazione" del silenzio, della censura e
dell’omologazione, domani sarà troppo tardi. Dopo l’informazione toccherà
ad altre libertà e ad altri diritti civili. Nel nome della lotta al
terrorismo e all’integralismo tutto sarà possibile e – quel che è peggio –
tollerato. Siamo disposti ad accettarlo? Spero proprio di no».
Beppe
Muraro sul mensile «Azione nonviolenta», novembre 2001
COS’È
IL TERRORISMO?
«Due
crimini mostruosi hanno segnato l’inizio del nuovo millennio: gli
attentati dell’11 settembre e la risposta a questi attacchi, che
certamente ha fatto molte più vittime innocenti. Le atrocità dell’11
settembre sono considerate ovunque un evento storico, e questo è
assolutamente vero. Ma bisogna anche capire perché. Questi crimini hanno
causato la morte simultanea del più alto numero di persone nella storia,
fatta eccezione per il tempo di guerra.
La
parola “simultanea” non dev’essere trascurata: purtroppo i crimini sono
tutt’altro che rari negli annali della violenza che non dipende dalla
guerra. (…) Soltanto negli anni di Reagan, gli stati terroristici
finanziati dagli Stati Uniti nell’America centrale hanno ucciso, torturato
e mutilato centinaia di migliaia di persone, hanno provocato milioni di
storpi e di orfani, e hanno mandato in rovina quattro paesi. (…) Dire
che il terrorismo è “un’arma dei poveri” significa commettere un grave
errore di analisi. In realtà il terrorismo è la violenza contro gli Stati
Uniti. Chiunque ne sia l’autore».
Noam
Chomsky, articolo ripreso dal settimanale «Internazionale» del 30 novembre
2001;
l’autore insegna al «Massachusetts Institute of Technology» (M.I.T.) di
Boston
STATI UNITI DI POLIZIA
«Vivo a
pochi isolati di distanza dal World Trade Center. A New York siamo ancora
in lutto dopo l’11 settembre. Vogliamo arrestare e punire i colpevoli,
smantellare la rete dei terroristi e impedire nuovi attentati. Ma le
misure adottate dal governo per combattere il terrorismo limitano in modo
allarmante la libertà e i diritti civili. (…) Diritti che credevamo
sanciti dalla Costituzione e tutelati dal diritto internazionale sono in
grave pericolo o sono già stati cancellati.
Non è
esagerato affermare che stiamo andando verso uno Stato di polizia. (…)
Ma neanche uno Stato di polizia potrebbe fermare i terroristi. L’illusione
della Fortezza americana ci impedisce di analizzare le cause di fondo del
terrorismo e le conseguenze di decenni di politica estera statunitense in
Medio Oriente, in Afghanistan e in altri paesi. Se le accuse mosse agli
Stati Uniti non verranno studiate e affrontate, il terrorismo continuerà».
Michael
Ratner, articolo ripreso dal settimanale «Internazionale» del 30 novembre
2001;
l’autore, avvocato esperto in diritti umani, insegna alla «Columbia Law
School» di New York
«LE MARCE COSIDDETTE DELLA PACE»
«Gli
orfani di Stalin si sono aggregati al carro del terrorismo musulmano,
sperando che dalle piaghe e dalle pieghe della storia esca un po’ di pus
per nutrirli nuovamente. (…)
Il
clima persecutorio verso le forze di polizia cominciato a Genova, la
connivenza tra terrorismo islamico e le stesse frange che andarono in
soccorso delle Br, le marce cosiddette della pace ma, nei fatti, a favore
della guerra altrui, sono segnali da non sottovalutare».
Piero
Laporta, sul quotidiano «Libero» del 25 novembre 2001
«IL CHIODO FISSO DELL’AMERIKA»
«Trent’anni
fa, vent’anni fa, i democratici e i pacifisti avevano un chiodo fisso: il
Cile di Pinochet. (…) E adesso? Trent’anni dopo, vent’anni dopo, i nuovi
cortei hanno ancora il chiodo fisso dell’Amerika e dell’imperialismo
malvagio (…). Ma stranamente sono evasivi ed evanescenti sui Pinochet
dei tempi d’oggi: loro, i talebani. Si respira nelle piazze una strana
aria: se non di giustificazione, quanto meno di superficialità. Eppure,
siamo di fronte a un regime decisamente più crudele e disumano del pur
crudele regime di Pinochet. Niente, è secondario: il problema è
l’interventismo amerikano».
Cristiano Gatti, sul quotidiano «il Gioale» dell’11 ottobre 2001
«QUESTA GUERRA GIUSTISSIMA»
«La
gente si è abituata e la tragedia dell’11 settembre sembra ormai passata.
Ci vorrebbe forse un missile talebano sul Vaticano per far ricordare alla
gente che il mondo giusto sta cercando di mandare all’inferno per sempre
la nuova minaccia musulmana? (…)
Non è
una critica a Voi, che oggi dedicate 4 pagine a questa guerra giustissima,
bensì ai nuovi giovanissimi presuntuosi che si fanno abbindolare dai
teorici della pace sempre e per forza».
Lettera
firmata pubblicata dal quotidiano «Libero» del 25 novembre 2001
CATTOLICI, MARXISTI E BUONI SENTIMENTI
«Le
culture ideologiche, di fronte alla guerra contro il terrorismo, si sono
preoccupate più di mobilitare la piazza su temi generici come la pace e le
ingiustizie nel mondo che di suggerire cosa fare in concreto, subito, qui,
ora. (…)
In
tutta la sua storia, il pacifismo non è riuscito a evitare una sola guerra
e i buoni sentimenti non hanno mai risolto i problemi del mondo. (…)
Da Gesù
Cristo, attraverso quel buon sentimento che è la fede, a Karl Marx,
attraverso quelle buone intenzioni che è la socializzazione dei mezzi di
produzione, c’è chi ha auspicato un cambiamento della natura umana. Gesù
Cristo è finito sulla croce, Marx in soffitta. E l’uomo è rimasto quello
di sempre: lupo dell’uomo. (…)
Ho
l’impressione che le culture ideologiche, cattolica e marxista e
collaterali, abbiano prodotto danni irreparabili alla nostra cultura
politica nazionale».
Piero
Ostellino, sul quotidiano «Corriere della Sera» del 24 novembre 2001
«NOI SIAMO IL BENE»
«Visto
che sono un leale cittadino americano, non dovrei dirvi perché è accaduto
tutto ciò: del resto non è nostra abitudine indagare sul perché qualcosa –
qualsiasi cosa – accada. Preferiamo accusare gli altri di malvagità
immotivata. “Noi siamo il bene”, ha dichiarato un profondo pensatore alla
Tv americana, “loro sono il male”: e il pacchetto è pronto. A metterci,
per così dire, il fiocco è stato poi Bush in persona con il suo discorso
davanti alle Camere riunite, occasione in cui il presidente ha elargito ai
parlamentari – e in qualche modo a tutti noi della cerchia – la sua
profonda conoscenza delle astuzie e delle usanze dell’islam: “Odiano ciò
che vedono in quest’aula”».
Gore
Vidal, sul quotidiano «la Repubblica» del 16 novembre 2001
«NON IN NOSTRO NOME»
«Gli
italiani che combatteranno in Afghanistan non lo faranno in nostro nome.
Noi non siamo in guerra. (…) È facile parlare di necessità della guerra
in un’aula di Parlamento o in una piazza tra lo sventolio delle bandiere.
Un po’ meno se la si vede da vicino, se gli “effetti collaterali” hanno un
nome, un’identità, un lavoro, degli affetti.
Se le
macerie che vediamo sono quelle di una casa o di un ospedale, se il
bambino mutilato ha un volto. Se, dietro i discorsi retorici, scorgiamo i
listini di borsa in cui le azioni delle fabbriche delle armi aumentano di
valore, o seguiamo le vie del petrolio. Se scopriamo che i buoni di oggi
erano i cattivi di ieri, e viceversa, e che le donne, con o senza burqa,
continuano ad essere usate, magari per la propaganda».
Redazionale di «Dialogo in Valle», periodico cattolico di Condove (Torino),
dicembre 2001
Bibliografia essenziale
–
Chalmers Johnson, «Gli ultimi giorni dell’impero americano. I contraccolpi
della politica estera ed economica dell’ultima grande potenza», Garzanti,
Milano 2001 (l’autore è un professore statunitense)
–
Franco Foari, «Psicoanalisi e cultura della pace», Edizioni Cultura
della pace, Fiesole (l’autore è uno psicanalista italiano, scomparso
qualche anno fa)
–
Samuel P. Huntington, «Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale»,
Garzanti, Milano 2001 (il libro sostiene la diversità tra la cultura
occidentale e quella islamica, nonché l’inevitabilità dello scontro)
– Noam
Chomsky, «Egemonia americana e "stati fuorilegge"», Edizioni Dedalo 2001 (l’autore
è un professore statunitense del M.I.T. di Boston)
– Noam
Chomsky, «11 settembre. Le ragioni di chi?», Marco Tropea Editore 2001
– Gore
Vidal, «La fine della libertà», Fazzi Editore 2001 (l’autore è uno
scrittore statunitense)
–
Ahmed Rashid, «Talebani», Feltrinelli, Milano 2001
–
Giulietto Chiesa/Vauro, «Afghanistan anno zero», Guerini e Associati,
Milano 2001
– Ana
Tortajada, «Il grido invisibile. La vita negata delle donne afghane»,
Sperling & Kupfer, Milano 2001
–
AA.VV., «No Global. Gli inganni della globalizzazione sulla povertà,
sull’ambiente e sul debito», Zelig Editore, Milano 2001
– Gino
Strada, «Pappagalli verdi», Feltrinelli, Milano 1999
(un
medico davanti ai disastri della guerra).
Cliccando su
… siti
inteazionali:
–
www.rawa.org
è il
sito dell’«Associazione rivoluzionaria delle donne afghane», nata a Kabul
nel 1977
–
www.9-11peace.org
è un
sito pacifista statunitense; 9-11 stanno ad indicare la data dell’11
settembre 2001
–
www.thenation.com
sito
dell’omonima rivista, per trovare un’informazione statunitense meno
schierata con il potere
–
www.amnesty.org
il sito
di Amnesty inteational
–
www.landmineaction.org
il sito
delle organizzazioni che si battono contro la produzione delle mine
antiuomo
–
www.un.org
il sito
delle Nazioni Unite.
Siti
italiani:
–
www.emergency.it
il sito
dell’organizzazione umanitaria italiana fondata nel 1994 dal chirurgo Gino
Strada
–
www.unimondo.org
sito di
Trento, con moltissime informazioni sulle principali tematiche mondiali,
dal debito alla globalizzazione
–
www.waews.it
sito
che informa sui conflitti nei vari paesi del mondo, molto facile da
utilizzare
–
www.peacelink.it
storico
sito italiano sulle tematiche della pace
–
www.nonluoghi.it
sito
per un giornalismo critico, tra fatti, idee e utopia
–
www.lunaria.org
sito su
volontariato internazionale, immigrazione, razzismo.
MAI PIU’
poesia di Meena (*)
Sono
una donna che si è destata.
Mi sono
alzata e sono diventata una tempesta,
che
soffia sulle ceneri
dei
miei bambini bruciati.
Dai
flutti di sangue del mio fratello morto sono nata.
L’ira
della mia nazione me ne ha dato la forza.
I miei
villaggi distrutti e bruciati mi riempiono
di odio
contro il nemico.
Sono
una donna che si è destata,
la mia
via ho trovato e più non toerò indietro.
Le
porte chiuse dell’ignoranza ho aperto.
Addio
ho detto a tutti i bracciali d’oro.
Oh
compatriota, io non sono ciò che ero.
Sono
una donna che si è destata,
la mia
via ho trovato e più non toerò indietro.
Ho
visto bambini a piedi nudi, smarriti e senza casa,
ho
visto spose con mani dipinte di henna
indossare abiti di lutto,
ho
visto gli enormi muri delle prigioni inghiottire
la
libertà nel loro insaziabile stomaco.
Sono
rinata tra storie di resistenza, di coraggio.
La
canzone della libertà ho imparato negli ultimi respiri,
nei
flutti di sangue e nella vittoria.
Oh
compatriota, oh fratello, non considerarmi
più
debole e incapace.
Sono
con te con tutta la mia forza sulla via
di
liberazione della mia terra.
La mia
voce si è mischiata alla voce di migliaia
di
donne rinate, i miei pugni si sono chiusi insieme
ai
pugni di migliaia di compatrioti.
Insieme
a voi ho camminato sulla strada della mia nazione,
per
rompere tutte queste sofferenze,
tutte
queste catene di schiavitù.
Oh
compatriota, oh fratello, non sono ciò che ero.
Sono
una donna che si è destata,
la mia
via ho trovato e più non toerò indietro.
Sono la
donna che si è svegliata.
Mi sono
alzata e sono diventata tempesta
fra le
ceneri dei miei figli bruciati.
I miei
villaggi in rovina e in cenere mi riempiono
di
rabbia contro il nemico.
Oh
compatriota, non mi guardare più debole e incapace.
La mia
voce si mescola con migliaia di donne in piedi,
per
rompere tutte insieme tutte queste sofferenze e queste catene.
Sono la
donna che si è svegliata,
ho
trovato la mia strada e non toerò mai indietro.
(*)
Meena, nata a Kabul nel 1957, fondatrice dell’«Associazione rivoluzionaria
delle donne dell’Afghanistan» (RAWA), fu assassinata da agenti segreti
russi e afghani a Quetta, in Pakistan, il 4 febbraio 1987.
(*)
Davide
Casali
è nato a Torino nel 1974. Fotografo freelance, ha fatto reportages su
Sudan, Kenya, Kosovo, Perù, Colombia, Messico, Pakistan, Afghanistan,
pubblicati da varie testate (la Repubblica, L’Unità, il Manifesto,
Liberazione, La Stampa, Nigrizia, Missione Oggi, Missioni Consolata ecc.).
Ogni tanto, come dimostra questo dossier, si cimenta anche con la
scrittura, ma alla penna e ai tasti del computer dice di preferire la
macchina fotografica.
Davide Casali