MEDICINA INDIGENA: un intreccio misterioso di pratiche

MALATTIA E MORTE,


I numeri
magici

Il popolo
africano, senza distinzione alcuna, è fondamentalmente legato alla terra:
non sono tanto gli elaborati sofismi di pensiero a occupare le menti delle
persone quanto i risvolti vitali che la realtà quotidiana può avere nella
loro esistenza. Ogni minerale, ogni pianta, ogni animale racchiude in sé
un potere, una forza capace d’influenzare in bene e, spesso, anche in male
la vita di un individuo.

Da qui una
nozione di medicina, che per noi è ormai indissolubilmente legata al
freddo e preciso concetto di scienza, mentre per l’africano indica un
insieme di norme spirituali e morali, oltreché di rimedi e cure. Non per
niente il personaggio più carismatico del villaggio africano è
l’«operatore magico» o sciamano, che unisce poteri divinatori-spirituali a
quelli curativi-geomantici.

La
medicina è considerata una pratica misteriosa, nella quale rientrano
normalmente la chiaroveggenza, la demonologia, la necromanzia,
parallelamente alla diagnosi, all’eziologia e alla terapia di una certa
malattia. Se dunque dalla e nella terra si manifestano gli spiriti e le
anime dei defunti, fondamentale diventa la conoscenza delle erbe
(fitoterapia) e del loro uso spesso combinato con sostanze di origine
minerale (talco, argilla, sale, ecc.), come pure la conoscenza di sostanze
di origine animale (teste di lucertola, polvere di scorpione, lingua di
serpente, ecc.).

L’utilizzo
di erbe, radici e foglie è determinato non solo da osservazioni e scoperte
empiriche sulle loro proprietà curative, ma dal «modo», dal «numero» e da
altri parametri.


Importante, ad esempio, è la magia che riveste il numero. Il numero 1,
numero singolo e fondamentale; il 4, numero sacro che rappresenta i 4
punti cardinali a simboleggiare la totalità del potere curativo. Se ad
esso si aggiungono le due direzioni, alto e basso, ecco che anche il 6
diventa un numero di grande importanza. C’è il 7, rappresentante del ciclo
ebdomadarico del tempo.

Da qui
l’attenzione ad assumere i rimedi e a celebrare i rituali in date
«numericamente» propizie dei calendari solari o dei quarti lunari e, per
le donne, del ciclo mestruale.

Quando,
come, dove

Se la
posologia (l’aspetto che regola la quantità e la modalità di assunzione di
un farmaco) è una questione di occhio o di mano, in cui la quantità degli
ingredienti delle varie pozioni viene misurata in maniera un po’
approssimativa (si va dal pizzico, alla manciata o a «qualche goccia»),
per l’africano ha invece molta importanza la determinazione precisa sul
come e dove le pozioni debbano essere assunte.

Ebbene,
come disporsi con il corpo rispetto al sole o alla luna? Come celebrare il
rito seguendo una precisa successione di gesti e invocazioni. E dove? Nel
centro del villaggio, davanti a tutti, o piuttosto nel fitto della
foresta, da soli o con lo stregone?


Medicina
senza limiti o confini

Il
concetto di medicina per gli africani è, quindi, molto variabile e assai
più ampio di quello inteso da noi. La medicina in Africa non è solo la
sostanza capace di far passare un dolore, una malattia, ma è anche la
pozione che placa gli spiriti cattivi che impediscono a una madre di avere
figli, che portano un marito o una moglie all’adulterio. Medicine sono i
filtri d’amore che fanno conquistare la donna o l’uomo di cui si è
segretamente innamorati; sono anche le offerte di distillati o impiastri
per il feticcio del villaggio, affinché propizi un buon raccolto o
protegga dalle calamità.

Sì, perché
di fatto, in Africa, non esiste una separazione tra le cosiddette «piante
officinali» e quelle normali o alimentari come il mais, il peperoncino o
la patata. Tutto può essere medicina per l’africano, perché egli si sente
al centro tra quel cosmo animato da spiriti e creature, che è aldilà, e
quella natura, benefica o terribile secondo le circostanze, che è la terra
con i suoi elementi viventi o inanimati.

Qualcosa
da imparare?

In una
società come quella occidentale, in cui si eleggono a modello soprattutto
gli aspetti esteriori della vita (bellezza, forza, imponenza), l’Africa
insegna a non perdere il senso interiore e spirituale dell’esistenza
umana, di ogni suo momento: in particolare di quelle fasi critiche, come
la malattia e la morte, con cui tutti ci troviamo a fare i conti.

La
medicina modea si trova ormai ad affrontare con grande disagio la
quotidiana lotta contro la malattia e un frustrante senso di impotenza
verso la morte. Si sta giungendo a un pericoloso bivio: da una parte, c’è
il rischio di eccedere in attenzione verso un modello di freddo e
tecnologico efficientismo e, dall’altra, c’è la chiusura a riccio in una
corazza di superficialità e cinismo di fronte alla malattia e alla morte,
al punto da farle diventare tabù.

In
entrambi i casi il risultato è una spersonalizzazione del rapporto tra
malato e medico ed una estraneazione al coinvolgimento e a quella empatia
che sono gli elementi basilari del rapporto umano.

La scienza
medica e la farmacopea occidentali sono di enorme aiuto nella cura di
tante malattie che affliggono il continente africano e nel superamento di
numerosi pregiudizi che, spesso, ne sono la causa: per esempio certe forme
di mutilazioni neonatali o femminili, le malnutrizioni infantili…

Ma
altrettanto importante è il messaggio di umanità e riappropriamento di
valori umani che l’antica saggezza africana può ancora offrire a noi.

Gianni Martinetto

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