Erano i
giorni tragici dell’esodo dal Rwanda, luglio 1994. Ricordo una donna con
un cesto in testa, un fagotto sotto il braccio destro e sul sinistro un
bimbo di pochi mesi, che tentava di succhiare qualche goccia di latte dal
seno vuoto. Accanto, un bambino di tre anni sorreggeva con la manina il
fagotto della mamma: un po’ di farina, una coperta per proteggere tutti e
tre di notte…
In Etiopia
rivedo quella manina nei piccoli malati di Aids: ogni giorno mi tendono le
mani nel saluto mattutino. Avverto in loro il bisogno di essere
accarezzati, e lo faccio. È bello sentire le loro braccia sul collo. Mi
sento come Gesù, che coccolava i piccoli.
Mi sento
quasi un po’ Dio. Un Dio che prende per mano gli ultimi, ma che non riesce
a cancellare la loro condanna a morte.
Mentre li
stringo con tenerezza, interrogo con lo sguardo la missionaria infermiera:
manca qualcuno? «Lui è morto stanotte» mormora la suora. La frase mi
trafigge come un coltello tagliente.
Ebbene
Tzehaie (che significa «mio sole») non apparirà più in mezzo al gruppetto
giornioso dei compagni, che mi ricevono festanti sul cortile.
Entro in
chiesa (un vecchio container, adibito a cappella) e interpello il mio Dio:
«Mi stai prendendo in giro? Mi fai sentire come se fossi tu stesso ad
accarezzarli, e poi… Sono un giocattolo nelle tue mani?». E risento la
bruciante risposta: «Il rimedio per l’Aids c’è. Ma non è colpa mia se non
viene distribuito a tutti equamente». «È vero, Signore – commento -. Tu
hai fatto tutti gli uomini uguali. Ma è anche vero ciò che si legge ne La
fattoria degli animali di George Orwell: “Tutti gli animali sono uguali,
ma alcuni sono più uguali degli altri”. Siamo stati noi a rendere alcuni
“più uguali” degli altri?».
Inizio la
messa e invito: «Riconosciamo i nostri peccati». Poi guardo i bambini
colpiti da Aids. Nessuno di loro ha peccato, ma stanno pagando per i
peccati altrui. Mi viene in mente il profeta Amos: «Odio le vostre feste,
non gradisco le vostre riunioni, né i vostri doni. Piuttosto, scorra come
acqua la giustizia, come un torrente perenne» (cfr. Am 5, 21-24).
Penso ai
cristiani che vanno in chiesa senza capire che il popolo di Dio è formato
da «poveri in spirito», che sopravvivono anche nella miseria. E, mentre
continuo l’eucaristia, risento l’impotenza di rimediare allo scandalo di
troppi cristiani: orgogliosi di essere figli di Dio, ma fratelli solo a
parole. Mi affido alla preghiera.
p.
Salvador Del Molino
Post scriptum. Ho appreso che,
nel dicembre scorso, il parlamento italiano ha votato all’unanimità un
aumento mensile di stipendio per gli onorevoli, pari a 1.162 euro
(2.250.000 lire). Così essi percepiscono 4.648 euro di indennità, 3.873 di
diaria, 4.028 per i portaborse (spesso familiari), 774 per spese-viaggio.
Totale: 13.323 euro (arrotondando per difetto), pari a 26 milioni di lire
al mese.
Ma è
proprio vero?… Dopo 35 mesi di parlamento, l’onorevole ha diritto alla
pensione, mentre il cittadino vi accede (se vi accede) dopo 35 anni.
Inoltre per lor signori sono gratis telefono cellulare, cinema e teatro,
viaggi in treno e aereo (nazionali), circolazione su autostrade, piscine,
palestre…
Nemmeno
Bertinotti e Pannella hanno protestato?
E non è
finita, perché pure il ristorante è gratuito. Nel 1999 gli onorevoli hanno
mangiato e bevuto per 2.850 milioni di lire, a spese del popolo.
Cari
amici, ditemi che sono tutte balle. Altrimenti… Buona quaresima!
Salvador Del Molino