ARGENTINA: impressioni da un paese nella bufera
UN «MATE» INDIGESTO
Povertà e ricchezza, tristezza e gioia, speranza e paura
del futuro… Un intreccio che colpisce chi visita il «gigante buono»
sudamericano. Ma la miseria può diventare «cattiveria».
Il Boeing
747 della Aerolineas Argentinas mi depone sull’aeroporto Ezeiza di Buenos
Aires. Sono le 7 del mattino e ho l’impressione di atterrare sul mare. Una
coltre di nebbia, infatti, ricopre tutta l’estensione della pista. Non fa
freddo, perché l’inverno non è ancora iniziato. Immenso paese, 35 milioni
di abitanti. Incontro una società nuova, uscita da un lungo periodo di
dittatura e totalitarismo, in marcia verso un ideale di democrazia che
fatica (come ovunque) a stabilizzarsi. La struttura della società è
chiaramente diversificata.
Buenos
Aires, la capitale, è abitata dai «portenos» (immigrati europei e i loro
discendenti) mediamente borghesi, ma essa è anche accerchiata da tante «villas
miseria», vere baraccopoli costruite con lamiere e cartoni. Vi trovano
rifugio i più disgraziati, provenienti da ogni parte, alla ricerca di un
benessere sempre lontano. L’interno, disseminato di aborigeni e creoli, è
completamente differente: nati da questa terra, conservano la loro cultura
tradizionale che fa fatica a coabitare con quella dei «gringos» originari
dell’Europa.
Sentirsi a
casa
Nell’interno del paese impressiona la povertà. Ma la fierezza di poter
diventare efficaci compagni nella costruzione della nuova società appare
evidente. Le persone, appena vi vedono, sorridono, vi abbracciano, anche
se non vi conoscono.
Rimango
colpito da questa manifestazione di affetto. Si direbbe che ogni sforzo
viene messo in atto per farti sentire a tuo agio, come a casa. Jorje mi
offre immediatamente un recipiente di mate: una bevanda calda, una specie
di tè proveniente dalla provincia di Misiones. Rifiutarla sarebbe un gesto
di scortesia. La si beve insieme, dalla stessa cannuccia, simbolo della
vita condivisa, trasmissione di una filosofia dell’esistenza fondata su
valori duraturi che non devono assolutamente perdersi.
La loro
casa diventa la tua casa e mai, come in Argentina, ho avuto l’impressione
di sentirmi a casa. I bambini che sorridono, i cani che dormono ai tuoi
piedi, le galline che beccano, i genitori che si danno da fare per
servirti. Non esiste formalismo: la gente si manifesta per quello che è,
del tutto indifferente della povertà o disordine che potrebbe esserci. Ciò
che è importante è che tu possa mangiucchiare qualcosa, riposarti dal
caldo opprimente, assaporare un po’ della loro vita.
Una vita a
dimensione umana, capace di integrare nella relazione che si stabilisce la
bellezza dell’amore, della natura, degli animali, senza dimenticare di
soddisfare i tuoi bisogni personali. Sì, la semplicità è la loro
ricchezza.
Uscendo da
un lungo periodo di oscurità drammatica, vissuta sotto la dittatura, il
paese si ritrova come un neonato nei confronti della democrazia.
La
mancanza di lavoro, il tasso di disoccupazione (tra i più alti
dell’America Latina), i miseri salari, l’abbandono delle campagne e
l’immigrazione verso le città, sono i principali problemi. Le difficoltà
della vita quotidiana, dovute alla mancanza di denaro e lavoro, pesano
oltremodo sui «neonati». Quale futuro avrà il giovane che non ha la
possibilità di studiare adeguatamente, che è disoccupato e, sovente, si
lascia trasportare dall’alcornol o dalla droga per dimenticare una
situazione insopportabile? La mancanza di speranza nel futuro può
diventare il cancro di un popolo così buono.
Anche la
famiglia, una volta forte e solida, oggi scoppia. L’autorità dei genitori
è diminuita, la stabilità è messa a dura prova, la fedeltà coniugale
sovente è diventata un sogno. I bambini che hanno un solo genitore
aumentano e mancano i punti di riferimento per crescere in armonia.
Sposati troppo giovani, sovente prima dei 18 anni, i genitori si accorgono
di aver preso strade che a loro non vanno più bene e se ne vanno.
I
luoghi della miseria
Villa
Pompeya è un quartiere di Merlo, alla periferia di Buenos Aires. I
missionari della Consolata vi lavorano da molto tempo, si occupano della
parrocchia e di numerosi «villaggi della miseria», che nascono come funghi
in questa periferia sempre più grande. Lavorando in équipe con le suore
missionarie della Consolata e con laici impegnati, si cerca di rispondere,
giorno dopo giorno, ai bisogni dei nuovi arrivati, destinati a morire
nella miseria.
La «villa
miseria» si trova in tutte le periferie delle città argentine: un insieme
di catapecchie di legno riciclato o di cartone, senz’acqua né elettricità,
senza servizi igienici. Numerose persone si ammucchiano in piccole camere,
dormendo per terra in una promiscuità impressionante. Le famiglie vere
sono rare.
Si
trovano, piuttosto, delle persone che vivono situazioni particolari: donne
abbandonate dai mariti, banditi che vengono a nascondersi, giovani
sbandati, drogati e alcornolizzati e molti bambini senza genitori. Un
universo che sopravvive senza lavorare, senza istruzione, senza servizi,
senza relazioni, al margine delle grandi città che le ignora e li teme. La
violenza e l’istupidimento si impongono.
Visito
questi luoghi con padre Ermenegildo Crespi. I sentimenti che si provano
sono indescrivibili: un miscuglio di disgusto, compassione, paura… ma
anche un desiderio di essere loro vicini e amici. Il cuore di queste
persone non è diverso dal nostro e, se non hanno avuto la possibilità di
svilupparsi, restano pur sempre delle persone che Dio ama. La loro storia
inizia lontano. La maggior parte viene dal Nord. Fuggendo dal Chaco e
Formosa, loro terre d’origine, alla ricerca di un lavoro e di un avvenire
migliore, si ritrovano qui più poveri di quanto lo fossero prima, soli,
senza alcun legame con le famiglie che hanno lasciato, incapaci di pagarsi
il biglietto di ritorno verso il paese natale.
In questo
luogo di miseria e delinquenza, non trovano aiuti per crescere;
sovente, per sopravvivere, iniziano a rubare, si danno alla violenza,
all’alcornol, alla droga per dimenticare. La storia dei Miserabili, persone
sfortunate dal cuore pieno di bontà descritte da Victor Hugo, non è ancora
terminata.
Vedo suor
Annapiera avvicinarsi alle persone come un’amica. Cerca di soddisfare una
quantità infinita di bisogni primari: cibo, abiti, medicinali, bimbi
abbandonati, morti. Ha organizzato una presenza e un lavoro veramente
notevoli in questo quartiere, anche se i soldi non sono mai sufficienti.
Vedo
sfilare tutta una serie di visi, dagli occhi spenti e dai cuori spezzati.
Più che di aiuto materiale (anche se indispensabile), hanno bisogno di
amicizia, comprensione, sostegno morale, parole di conforto. È triste
vivere in solitudine, senza potersi confidare con nessuno, racchiudendo in
se stessi tutte le difficoltà e le ferite.
I
missionari lo sanno bene. Sono là come amici, compagni di strada, dando
segni concreti di umanità e di carità. Qui il vangelo passa attraverso le
azioni più che la parola e padre Crespi lo conferma: «Troppe atrocità e
violenze, nascondono loro il viso di Dio. È la nostra amicizia che
aspettano: un’amicizia che faccia loro intravvedere di essere amati da Dio
e salvati da Gesù. Un lavoro non facile da compiere.
L’eterna
domanda mi ritorna in mente: perché loro e non io? Non ho risposta, ma so
che, al loro posto, io non farei meglio. Rendono visibile ai miei occhi
una parte di me stesso segreta, nascosta. Sovente si è troppo severi con i
poveri, scaricando facilmente le nostre responsabilità nei loro confronti.
Le parole di sant’Ambrogio “o ricchi, voi donate troppo poco della vostra
ricchezza e siete troppo esigenti verso i poveri!” sono di un’attualità
sconcertante».
Il rischio
dei «dinosauri»
Il futuro
dell’Argentina è nelle mani dei giovani. Tutti i missionari lo sanno e la
loro formazione è un punto prioritario nel programma di evangelizzazione.
È
impossibile qui presentare, in breve, i tratti che caratterizzano i
giovani argentini. Città e campagne producono modelli diversi, dovuti a
problemi particolari, legati all’ambiente in cui vivono, all’essere senza
radici, alla mancanza di identità che, a volte, li conduce al suicidio. A
San Francisco è nato un istituto diocesano (Ceas) per aiutare i giovani
che nutrono delle aspettative. Quello che li scoraggia maggiormente è la
mancanza di speranza, a causa della situazione economica e sociale.
Attività a
tutti i livelli sono state «inventate» nelle parrocchie per animare i
giovani sbandati. Un po’ ovunque si vedono club, movimenti, gruppi di
spiritualità o sportivi per giovani, ma lo sforzo principale resta quello
della scolarizzazione. A San Francisco e Mendoza, i missionari della
Consolata si sono impegnati nella scuola elementare e superiore. La
serietà e la competenza di questi istituti sono evidenti ai visitatori.
I signori
Miguel Alessi, direttore della scuola «Paolo VI» a San Francisco,
Gabrielle Panero de Romero e Tito Lopez, direttori della scuola secondaria
di Mendoza, mi mostrano la loro programmazione: precisa negli obiettivi e
metodi di lavoro, chiara nell’organigramma degli insegnanti e discipline;
un documento che si propone di portare i giovani ad una formazione
completa, umana e scientifica, capace di avviare ad un lavoro competente,
sorgente di felicità.
Gli sforzi
per integrare nella comunità argentina i numerosi boliviani immigrati sono
notevoli e questo esempio di apertura verso diverse culture è da imitare.
Una
caratteristica di questi istituti è lo spirito di famiglia e
collaborazione che vi regna. Ho l’impressione di essere in una comunità
molto interessata a migliorarsi, convinta d’avere in mano la chiave per
trasformare il futuro dell’Argentina. Ancora una volta si può toccare
direttamente l’efficacia dell’animazione fatta dai padri José Luis Pereira
e Silvio Lorenzini. Questi missionari sono attenti nel trasmettere i
valori del vangelo, convinti che non vi sarà una formazione completa,
senza quella spirituale. Non si devono ripetere gli errori dell’era «jurassica»,
quando i dinosauri avevano una struttura fisica enorme, ma con una massa
cerebrale molto piccola, incapace di controllare e soddisfare le esigenze
somatiche; per cui si estinsero!
Personalità armoniosa e società, scienza e fede illuminata, economia equa
e politica coscienziosa: ecco gli estremi di una formazione modea,
necessaria in Argentina. E sono lieto di sapere che i miei confratelli
missionari vedono nella scuola un luogo privilegiato per plasmare uomini e
donne del futuro.
Adelante,
padres!, sempre avanti! In attesa, domani, di impegnarsi più a fondo,
anche nell’università.
L’ultima
sera del mio soggiorno a Buenos Aires, nella cappella della casa
provinciale, bruciava un cero davanti all’immagine della Consolata. La
fiammella tremolante mi ha spinto a una riflessione, un augurio per questa
gente affascinante:
«Non
temere, Argentina! Le tue mani non cedano, perché il Signore, tuo Dio, è
in mezzo a te. Egli sarà tuo salvatore, esulterà per te di gioia e ti farà
nuova con il suo amore» (Sof 3, 16-17).
Il «peso»
diventa… leggero
Il
fallimento socioeconomico argentino è da ascriversi pure allo stesso De la
Rua e al ministro dell’economia Domingo Cavallo, sostenitore della
globalizzazione-privatizzazione delle imprese, che ha creato numerosi
disoccupati.
Nuovo
presidente (il quinto in 20 giorni) è Eduardo Duhalde. Questi ha bloccato
il pagamento dell’enorme debito estero (132 miliardi di dollari) e ha
sospeso la parità tra peso (moneta argentina) e dollaro, con una
svalutazione del 30%. L’inflazione è dietro l’angolo. Le tensioni non sono
finite: La crisi argentina preoccupa anche Stati Uniti, Messico, Cile,
Uruguay, Spagna, Italia.
La
crisi è sociale, ma non solo. «Va tenuto presente – ha detto l’arcivescovo
Estanislao Karlic, presidente della Conferenza episcopale – che
l’Argentina vive una crisi profondamente morale, una crisi che coinvolge
tutti, non solo i leader. Le “mazzette” non le prendono solo i politici,
ma anche altri cittadini».
Jean Paré