Russia: la testimonianza di un missionario italiano. Chi sogna le cipolle del comunismo?

 

La metropoli di San Pietroburgo
consente anche di incontrare dei missionari: don Pietro Scalini, per esempio. Aspri gli
scogli religioso-ecumenici. Lo sa pure Giovanni Paolo II, che ha cercato di dialogare con
i leader cristiano-ortodossi di un ex paese sovietico: Ucraina (23-27 giugno). Acute e
complesse sono soprattutto le difficoltà politico-sociali. Emerge costante la domanda:
perché la Russia, fino a ieri superpotenza, oggi annaspa nella povertà? Mentre la
libertà…

 

A San Pietroburgo
  si parla anche…italiano

San Pietroburgo. Alloggiamo davanti al "monumento della
liberazione": un complesso mastodontico, non bello, enfaticamente nazionalista, che
tuttavia rimanda ad una tragedia immane: l’assedio della città da parte
dell’esercito nazista dall’8 settembre 1941 al 27 gennaio 1945. Nei 900 giorni
di accerchiamento morirono di fame e stenti 470 mila civili. Si dice che rappresenti il
"record mondiale" degli assedi. Una vergogna…

Un italiano a San Pietroburgo si trova quasi a casa. Idioma a parte
(ostico anche per i caratteri cirillici), numerosi e splendidi palazzi "parlano
italiano". Sono le opere degli architetti Domenico Trezzini (1670-1734), Francesco
Rastrelli (1700-1771), Giacomo Quarenghi (1744-1817), nonché Carlo Rossi (1775-1849). Lo
zar Pietro il Grande e la zarina Caterina II erano innamorati di questi artisti, quasi
sconosciuti in Italia, ma celebri in Russia. E non furono gli unici.

C’è poi l’Ermitage, il museo mozzafiato in cinque vasti e
sontuosi padiglioni, di fama mondiale anche per i dipinti di Leonardo e Tiziano o le
sculture di Michelangelo e Canova. Per non parlare dei capolavori di Simone Martini,
Filippo e Filippino Lippi, Giorgione. San Pietroburgo è l’"Atene russa"
anche per la letteratura: si pensi a Puskin, Tolstoj, Dostoevskij, Gogol. Capitale della
cultura, dunque. E capitale della politica per oltre 300 anni, fino alla rivoluzione di
ottobre del 1917, allorché fu rimpiazzata da Mosca. L’ex capitale si chiamò
"Leningrado", in onore del padre della rivoluzione comunista. Ma nel 1991, con
lo sfascio dell’Unione Sovietica, ritoò ad essere San Pietroburgo…

È il 27 maggio. La metropoli festeggia il suo compleanno (è nata nel
1703 da Pietro I) con rievocazioni in costume e spettacoli di prosa e musica. Ma piove
quest’anno a San Pietroburgo, tra raffiche gelide di vento e persino qualche spruzzo
di nevischio. Il termometro segna 2 gradi, mentre in Italia scavalca i 30. Verso sera
bussiamo alla porta di Pietro Scalini, un giovane prete della diocesi di Cesena, da
quattro anni missionario fidei donum in Russia. Attraverso corridoi polverosi, scale
dissestate e portici scrostati, tra sacchi di cemento, mattoni, piastrelle, carriole,
secchi e cazzuole, il missionario ci introduce nell’unico locale in grado di offrire
un po’ di accoglienza. È una modesta chiesetta.

 

Da atei a seminaristi

San Pietroburgo, nella giurisdizione ecclesiastica cattolica, fa parte
della diocesi di Mosca: non perché la metropoli non ne meriti il titolo, ma perché i
cattolici sono "mosche bianche". Tuttavia anche a Mosca si contano quasi sulle
dita. "L’intera Russia, che comprende territori europei e asiatici (cioè la
sterminata Siberia, fino a Vladivostock e al Mare di Bering), è divisa in appena quattro
diocesi, con altrettanti vescovi, proprio perché i cattolici sono scarsissimi: in media
lo 0,3, su 150 milioni di abitanti". È don Pietro che spiega, dall’altare della
cappella, e prosegue: "Questo è il seminario cattolico; vi si preparano a diventare
sacerdoti giovani di tutta la nazione. Inoltre ci sono ragazzi della Georgia, della
Moldavia e del Kazakistan. Complessivamente 44 seminaristi, che studiano filosofia e
teologia. I futuri preti saranno di rito latino".

Il seminario di San Pietroburgo riaprì (timidamente) i battenti nel
1993, dopo il lento disgelo religioso avviato nel 1991. Ma era operante già nel 1850. Nel
1918 fu requisito dallo stato, subito dopo l’avvento dei bolscevichi. Al primo piano
si installò una banca con vari uffici. Nei locali adiacenti si montavano motori o si
costruivano pezzi di ricambio… Al presente resistono una officina meccanica e
un’azienda che fa esperimenti chimici. "Dal seminario, riaperto, partiranno i
nuovi annunciatori del vangelo nell’ex impero sovietico, esclusa Bielorussia e
Ucraina". Ma con gravi difficoltà. "Entrando nel seminario – continua don
Pietro – avete notato il disordine: polvere e calcinacci ovunque. Stiamo ristrutturando il
complesso, incamerato a suo tempo e ora restituito (dietro nostra richiesta) in pessime
condizioni. Nel 1993 la prima sede del seminario furono dei containers, piazzati sul
sagrato della chiesa dell’Immacolata".

Fino al 1917 a San Pietroburgo operavano 18 chiese cattoliche, di cui
10 parrocchiali. Ora se ne contano cinque, tutte malandate: quindi in ristrutturazione.
Durante l’era sovietica nella Russia europea rimasero aperte soltanto due chiese
cattoliche (la "Madonna di Lourdes" a San Pietroburgo e la "San Luigi"
a Mosca), solo perché sotto la protezione dell’ambasciata di Francia. Quanto ai
sacerdoti, se esistevano, erano pochissimi e clandestini; per cui quasi nessuno sapeva di
loro.

I 44 seminaristi di San Pietroburgo sono in maggioranza adulti di 25
-30 anni, con una minoranza sui 20 anni. È interessante la storia della loro vocazione,
che dipende dall’incontro con un prete, dall’entrata casuale in una chiesa, dal
fascino della liturgia. Pochi sono cresciuti in una famiglia credente, ma senza ricevere
il battesimo; altri sono stati battezzati secondo il rito ortodosso. Molti provengono da
un ambiente ateo. "Ma il buon Dio – commenta don Pietro – ha voluto che incontrassero
ugualmente la chiesa".

 

Proselitismo, ricchezza,
missione

Don Pietro, la chiesa cattolica in Russia è un’esigua
minoranza. Eppure è molto temuta dai cristiani ortodossi per un presunto proselitismo.
Voi, come vi sentite di fronte a tale accusa? È rimbalzata anche in Italia con vasta eco.

"L’accusa non coglie per niente la realtà. San Pietroburgo,
ad esempio, conta 5 milioni di abitanti, di cui 2.500-3.000 cattolici. Che proselitismo
può fare tale infimo gruppo?".

Chi sono gli accusatori?

"L’accusa è dell’alta gerarchia ortodossa. Però la
gente non vede nei cattolici un pericolo, anzi! Noi abbiamo molti amici ortodossi anche
fra i preti; qualche sacerdote insegna persino nel nostro seminario. Ripeto: i russi,
nella grande maggioranza, non ci sono ostili, anche perché non sanno chi sia Gesù
Cristo, né cosa sia la chiesa cattolica".

In Russia, parlando di chiesa, si intende quella ortodossa. Perché?

"Perché, se sei cristiano, devi per forza appartenere alla chiesa
ortodossa. C’è una identificazione etnica tra la nazionalità russa e
l’appartenenza alla religione ortodossa. Così si perde di vista la missione
universale della chiesa. E (fatto non meno grave) la gente resta priva di punti di
riferimento: non sa quale sia il senso della vita. In compenso, si offre una predicazione
moralistica, avulsa dalla realtà. La chiesa ortodossa, invece di accusare quella
cattolica di proselitismo, dovrebbe aiutare la popolazione ad incontrare Cristo salvatore.
Qualche prete cattolico può anche avere una mentalità di occupazione. Ma non è la
regola".

Si dice che le gerarchie ortodosse temano i cattolici, perché
dispongono di notevoli mezzi economici. È vero che siete ricchi?

"Disponiamo dei mezzi che ci offrono. E lei ha l’esempio del
nostro seminario. Abbiamo anche mezzi, perché i giovani arrivano qui senza un rublo e
ricevono tutto, dalle scarpe al cibo, dai libri ai vestiti. Per la ristrutturazione del
seminario, facciamo dei progetti, che vengono finanziati dalle organizzazioni Renovabis, Aiuto
alla chiesa che soffre,
ecc. Ma dire che siamo ricchi…

Quasi tutti i parroci cattolici in Russia sono polacchi, assai modesti
economicamente. Io posso contare sul "sostentamento del clero" in vigore in
Italia, ho degli amici che mi aiutano. I polacchi, invece, si mantengono recandosi
d’estate in patria: sostituiscono qualche prete in vacanza e, così, raccolgono i
soldi per vivere, ricostruire la chiesa, la canonica o la casa delle suore.

Ho in mente don Celestino, parroco a Kharovsk. Due anni fa ha avuto
l’incarico di recarsi in questa cittadina, a circa 350 chilometri da San Pietroburgo:
non avendo un’abitazione, ha dormito per un mese in stazione. Durante il giorno,
indossata la veste e la croce, girava lungo le strade per far vedere che esisteva un prete
cattolico. A poco a poco ha conosciuto qualche fedele. Oggi, di sabato, affitta una chiesa
ortodossa per cinque ore e vi celebra la messa, fa catechismo o l’unzione degli
infermi. Non è certamente ricco.

Chi invece ha parecchi denari sono i Testimoni di Geova: organizzano
incontri negli stadi e a chi entra danno un dollaro, che è abbastanza in Russia. Questo
sì che è proselitismo!".

Un’altra accusa che gli ortodossi rivolgono ai cattolici è:
"Voi in occidente siete tutti materialisti, avete perso la fede, mentre noi
l’abbiamo conservata!".

"Se l’occidente ha perso la fede, la Russia è sulla stessa
barca, o peggio. L’amoralità è a livelli altissimi: l’assenza della famiglia,
per esempio, fa paura. Molti nostri seminaristi non hanno il papà: o perché è stato
cacciato dalla mamma (essendo sempre ubriaco), o perché la madre stessa vive con un altro
uomo. Per una donna russa l’importante è avere figli; con chi, è secondario".

Se per le gerarchie ortodosse voi, cattolici, siete come il fumo
negli occhi, come venite giudicati dall’autorità politica?

"Molto dipende dai rapporti personali che si instaurano. Noi
stranieri, ad esempio, incominciamo ad avere difficoltà per il visto, cioè il permesso
di soggiorno; soprattutto i preti polacchi hanno grossi problemi. Le parrocchie possono
invitare qualche sacerdote, ma solo per "affari religiosi"; il visto viene
rilasciato per tre mesi, alla scadenza dei quali bisogna lasciare il paese; poi magari si
ritorna, se il visto è rinnovato. La situazione, però, sta diventando psicologicamente
pesante, oltre che costosa. Io, come insegnante, sono più fortunato, perché il mio visto
dura un anno. Ma il mio telefono è sotto controllo".

Don Pietro, prescindendo dal suo lavoro in seminario, che significa
essere missionario in Russia?

"Essere presente, servire, testimoniare la fede in Gesù Cristo
quasi in un… deserto. Quest’anno la pasqua è stata celebrata da tutti nella stessa
data. A Mosca, fra ortodossi, cattolici e protestanti, ha fatto il 4% della popolazione.
Davvero poche gocce in un oceano".

Giovanni Paolo II, il provocatore

Il 23-27 giugno (pochi giorni dopo il nostro viaggio) Giovanni Paolo II
era in Ucraina. Il pellegrinaggio è stato duramente criticato sia dalle gerarchie
ortodosse ucraine sia da quelle russe. Pomo della discordia, anche gli "uniati"
(termine dispregiativo) o "uniti". Si tratta dei cristiani dell’Ucraina
(separatisi dal pontefice di Roma con lo scisma del 1054), la cui gerarchia nel 1595, a
Brest-Litovsk, decise di ritornare alla comunione con il papa, conservando però la
liturgia orientale e l’identità etnica e culturale. Ma non tutti aderirono
all’"unione". E tuttora, fra "uniti" e "non uniti"
permangono aspri contrasti. Inoltre, per la gerarchia ortodossa di Mosca, gli
"uniti" sono dei traditori e rinnegati. D’altro canto, sono stati pure un
po’ emarginati dalla gerarchia cattolica di rito latino, perché non sarebbero né
carne né pesce. Giovanni Paolo II è andato in Ucraina per porgere a tutti la mano di
padre e fratello. Però in Russia la gerarchia ortodossa ha ritenuto la visita una
provocazione e ha minacciato di rompere ogni dialogo ecumenico. Ancora una volta, il
problema investe i gerarchi, non l’uomo della strada. In vista del pellegrinaggio del
papa in Ucraina, si è svolto a Mosca un incontro tra ortodossi, cattolici e protestanti.
Durante il dibattito un giovane ha dichiarato: "Io sono fedele alla chiesa ortodossa
e al patriarcato di Mosca. Tuttavia al rappresentante della mia comunità domando: circa
la visita del papa, mi è lecito pensarla diversamente dal patriarca?". Un silenzio
tombale è calato sull’assemblea. Muto e imbarazzato è apparso, soprattutto, il
rappresentante del patriarca di Mosca. "Nonostante le difficoltà in corso – commenta
don Pietro -, io nutro speranza, a patto che i leader cristiani superino le gelosie, non
cerchino il privilegio, bensì vengano incontro alle vere esigenze della popolazione, che
è disponibile ad un messaggio nuovo. Tuttavia, dopo oltre 70 anni di propaganda
materialista, gli individui sono distrutti nell’anima. Quasi tutti sono cresciuti con
il ritornello "Dio è un nemico". Anche in famiglia erano sottoposti a severi
controlli. E questo non è facile da dimenticare. Lo si può fare con il vangelo di
Cristo, e non solo con le prescrizioni e i riti (pur affascinanti) degli ortodossi".

Neppure l’oro conta

Un breve soggiorno in Russia è sufficiente per sollevare un quesito
cruciale: perché la nazione, fino al 1991 superpotenza militare, politica e tecnologica
(in grado di lanciare il primo uomo nello spazio) oggi è povera? "Probabilmente già
nel 1991 la Russia era allo sfascio – risponde un po’ titubante don Pietro -. Inoltre
il cambiamento è avvenuto troppo in fretta: ha abbattuto tutto, senza costruire nulla.
Ecco perché la gente non stima Gorbaciov. Fino al 1991 l’economia era organizzata…
e molti d’estate potevano prendere l’aereo e trascorrere le vacanze sul Mar
Nero, perché costava poco. Lo stato garantiva l’indispensabile: un tipo di
salsiccia, un tipo di farina, e ognuno riceveva la sua parte, pur facendo pazientemente
lunghe code davanti ai negozi.

Di colpo ogni cosa muta, per una decisione presa a tavolino. Lo scontro
di mercato trova tutti impreparati… Nell’agosto 1998 la svalutazione del rublo è
pazzesca: dalla sera alla mattina si bloccano tutti i conti in banca, impedendo alla gente
di ritirare i propri soldi. E se uno ieri aveva i denari per comprarsi un alloggio, oggi
la stessa somma basta solo per un salame. Subito la mafia entra nell’economia: dilaga
la grande criminalità, mentre ad alto livello imperversa la corruzione… In seminario
abbiamo un ragazzo siberiano; nel suo paese gli stipendi si pagano tuttora in oro; ma non
se ne fa nulla, perché non è commerciabile…".

Oggi in Russia le strutture produttive sono in coma. La gente continua
a lavorare, ma spesso senza stipendio. "A San Pietroburgo un docente universitario di
fisica, dopo l’insegnamento, non ricevendo più alcun salario, raccoglie bottiglie
vuote di birra sui marciapiedi; le vende e ricava qualche rublo". In tale situazione,
c’è rimpianto per il comunismo? "Forse sì, specie fra i giovani – mormora
sottovoce il nostro interlocutore -, anche se non per quello di Stalin o Breznev…".
Intanto fra gli oligarchi le lotte di potere sono tante e spietate. Quanto a libertà, lo
"zar" Putin oggi chiude un giornale, domani una televisione e dopodomani… La
scusa è: non ci sono soldi. Ma la libertà è denaro?

Ci congediamo da don Pietro. Sono le 22.30, ed è ancora crepuscolo a
San Pietroburgo, perché è prossimo il fenomeno delle "notti bianche",
allorché il sole quasi non tramonta, ma si adagia un po’ sotto l’orizzonte.

Per ritornare al "monumento della liberazione", prendiamo la
metropolitana. Sulle lunghe, ripide e velocissime scale mobili non mancano ragazzi e
ragazze con bottiglie di birra. All’uscita, forse, abbandoneranno i vuoti sul
marciapiede, che saranno raccattati dal professore di fisica al verde.

Rimpiangono anch’essi il comunismo? Come gli ebrei nel deserto
che, stanchi della fatica di essere liberi, sognavano le cipolle e l’aglio della
schiavitù in Egitto? (cfr. Num 11, 5).

 

(*) L’articolista è in Russia con l’associazione "Amici
Missioni Consolata" di Torino e la guida Delfina Boero (della fondazione "Russia
Cristiana").

 

Il "Va’ pensiero" per Maria

Il "Museo etnografico" di San Pietroburgo raccoglie alcuni
reperti sui popoli dell’ex Unione Sovietica. Si tratta, soprattutto, di reperti
attinenti alla vita tradizionale nei villaggi: strumenti agricoli, reti per la pesca,
arredi di casa, borracce, candelieri ed anche altarini domestici ortodossi, con
l’immancabile icona di un santo o della Madre di Dio, oati di drappi ricamati e
multicolori. Il museo fu allestito in epoca sovietica.

Al termine della visita, ci si imbatte in una gigantografia stilizzata,
che raccoglie in forma circolare (quasi attorno ad una mensa) tutti i rappresentanti delle
varie popolazioni. È evidente la propaganda della presunta armonia fra le 15 nazioni che
costituivano l’impero sovietico. Un ideale smentito dalla realtà.

Un tardo pomeriggio entriamo nel "Museo etnografico" in
gruppo, costituito dagli "Amici Missioni Consolata", guidato da Delfina Boero.
Il tempo a disposizione non è molto, perché la chiusura è prossima. In compenso, non
c’è ressa e la visita è più tranquilla. Tra i sorveglianti del museo, una signora
ci avvicina: si chiama Maria. Ha intuito che siamo italiani e, avvalendosi della nostra
interprete, non lesina apprezzamenti per il patrimonio artistico italiano. Maria è sulla
sessantina e veste in modo dimesso. Interrogata, accetta di rispondere a qualche domanda.
È di San Pietroburgo e ricorda benissimo l’assedio della città da parte dei
tedeschi durante il secondo conflitto mondiale, avendo allora 16 anni. "Sono stati
mesi e anni terribili – dichiara -. Noi pietroburghesi resistevamo al nemico con tutte le
nostre forze, sopportando i bombardamenti, la fame e il freddo. Voi non potete immaginare
cosa sia l’inverno nelle case russe, senza riscaldamento, specialmente in tempo di
guerra. Ho visto anche morire mio padre e un fratello minore". Lo sguardo di Maria è
dolce, ma un po’ inquieto, e il tono della voce pacato ed affannato ad un tempo.

"Signora Maria, com’è la vita oggi in Russia?".
"Economicamente stavamo meglio ieri" risponde guardandosi intorno, dopo un
istante d’imbarazzo.

"Dobryj vjecir, udaci! (buona sera e buona fortuna!)" la
salutiamo con un sorriso, ostentando il nostro russo striminzito. Stiamo per allontanarci.
Ma Maria prende la mano di Delfina, la trattiene e dice: "Stasera, dopo il lavoro,
andrò ad un concerto. Amo la musica classica, compresa quella italiana. Per piacere,
cantatemi "Va’ pensiero" di Verdi!". L’attacco del famoso pezzo
del Nabucco è molto artigianale, perché nessuno di noi è un Pavarotti. E (sorpresa!),
all’acuto "arpa d’or dei fatidici vati", si intromette con forza una
donna, più giovane di Maria e certamente con maggiore potere. Con accenti sibilanti
apostrofa la collega: "Ma sei impazzita? Non sai quello che ti può succedere?".

Sul volto spettrale di Maria scorrono le lacrime.

Quel "volto spettrale" ci ha riportati all’impietoso
sistema di intimidazione psicologica in vigore nell’Unione Sovietica, magistralmente
analizzato dallo scrittore Solzenicyn, che annientava la persona prima ancora di finire in
un gulag. Chi sospettava il proprio arresto viveva per settimane e settimane
nell’incubo; ne era così stremato che, quando finalmente scattava l’ora del
prelievo, "il sentimento dominante era il sollievo e addirittura… la gioia!"
(1).

Anche se il peggio doveva ancora venire.

F.   B.

 

1) Aleksandr Solzenicyn, Arcipelago Gulag, vol. I, Mondadori,
Milano 1978, p. 30. Il "maiuscolo" è dell’autore russo.

Francesco Beardi

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