MACAO (CINA): segni di speranza per la chiesa. PRENDERE IL LARGO

 

Qualcosa si muove
nel continente cinese: a Macao, colonia portoghese da poco passata sotto la sovranità
cinese, la consacrazione del vescovo coadiutore si è svolta senza interferenze di
Pechino; nelle province settentrionali della Cina fioriscono le comunità religiose
femminili.

 

Sono le nove del mattino. Nella cattedrale di Macao, edificio
barocco neoclassico, una cinquantina di persone, in prevalenza anziane, recitano
devotamente il rosario davanti alla Vergine del Perpetuo Soccorso, tradizione sabbatica
fin dai tempi passati. Accanto all’altare, una statua della Madonna di Fatima con
l’iscrizione "Regina del mondo, madre del Portogallo e rifugio di Macao"
rivela una traccia evidente di secoli di storia portoghese.

Dal dicembre del 1999 l’ex possedimento portoghese è passato
sotto la sovranità e agli ordini di Pechino. Conoscendo la situazione di precarietà
della chiesa cinese e dei rapporti tra governo comunista e Vaticano, si temeva che tale
tensione si sarebbe riflessa anche sulla chiesa di Macao. Invece la diocesi sta vivendo un
momento unico: José Lai Hong-Seng è stato nominato e consacrato vescovo coadiutore
secondo i dettami del Vaticano, senza alcun intervento da parte del governo cinese.

È la prima volta, da oltre mezzo secolo, che succede una cosa del
genere in territorio cinese. Nella vicina Hong Kong, due nuovi vescovi sono stati
consacrati un anno prima del cambiamento di sovranità. È stata, senza dubbio, una prova
del fuoco, per verificare la tenuta dell’accordo politico tra Portogallo e Cina:
accordo in cui, secondo lo slogan "un paese, due sistemi", la legge
basilare garantisce le libertà e il sistema che Macao ha goduto in passato.

Non solo non vi è stata alcuna interferenza nella nomina episcopale da
parte del governo, ma lo stesso capo esecutivo di Macao, Ho Hau Wa, ha seguito la
consacrazione episcopale, avvenuta il 2 giugno scorso nella cattedrale. Il fatto che né
il governo né l’Associazione dei cattolici patrioti abbiano interferito implica un
tacito riconoscimento dell’autorità del papa su questo territorio cinese.

In una diocesi ancorata, negli ultimi 13 anni, a incarichi
amministrativi, economici e giuridici, ma poco pastorali, la nomina del nuovo vescovo
coadiutore segna anche un cambiamento di rotta per la chiesa di Macao. In una breve
intervista, mons. José Lai ha tracciato le linee pastorali e spirituali che orienteranno
il rinnovamento della vita della chiesa a lui affidata.

Quali sono le priorità della diocesi di Macao?

C’è bisogno di una maggiore collaborazione fra clero e laicato,
per costruire assieme il regno di Dio. È necessario creare un’associazione che
impegni i laici, secondo le loro forze e capacità, nei compiti pastorali della diocesi e
nel settore educativo, sociale, caritativo, sanitario, catechetico e pastorale. Sono molte
le attività che essi possono e devono portare avanti. Per poterlo fare, è necessaria una
profonda spiritualità, che sostenga e ispiri il loro operato e vada al di là del
"fare perché mi piace".

D’altra parte, è necessario favorire la pastorale vocazionale
nella diocesi. È il momento di riflettere e prendere iniziative fra la gioventù e i
cattolici battezzati recentemente, poiché il clero di Macao è in prevalenza anziano e il
seminario è vuoto da 7 anni.

A livello pastorale, quali problemi la diocesi deve
affrontare?

A parte le priorità già menzionate, bisogna impegnarsi in tre
settori: con gli immigrati cinesi del continente, che rappresentano la metà della
popolazione di Macao; con la comunità filippina, composta di circa 6 mila persone; con i
milioni di turisti che ogni anno visitano la città: si deve andare incontro anche alle
loro necessità religiose. Questo potrebbe essere fatto nella Igreja da Penha, luogo di
visita obbligato. Ma bisognerà adattare gli impianti, creare una zona per la preghiera e
presentare la storia della diocesi di Macao, attraverso materiale audiovisivo: di ciò
potrebbero occuparsi i laici.

Qual è il significato dello stemma episcopale da lei
scelto?

Quando seppi dell’elezione a vescovo, passai un momento difficile;
l’ho superato mediante la preghiera, meditando un brano del vangelo di Luca, dove
Gesù invitava i discepoli a remare, spingendosi in alto mare e confidando in lui. Allo
stesso modo ho sentito la sua chiamata che mi invitava a prendere il largo, credendo nella
sua parola; da qui ho ricavato il motto del mio episcopato, con un tema eminentemente
pastorale e missionario: "Prendi il largo".

Esso significa lasciare la parrocchia e andare in diocesi. Gesù mi
invita a gettare le reti non solo nel mare di Macao, ma anche in quello della Cina, dove
in passato molti missionari hanno seguito la stessa chiamata di Cristo. La stella dello
stemma simboleggia Maria, alla cui protezione affido la mia missione; il fiore di loto
rappresenta la città di Macao; tutto questo sullo sfondo di quell’alba in cui Gesù
disse ai discepoli di gettare le reti per pescare.

Qualche parola ai cattolici di Macao…

Innanzitutto rendo grazie a Dio, alla mia famiglia, a quanti mi hanno
aiutato in seminario e nelle parrocchie in cui ho lavorato. E poi ho bisogno di imparare e
ascoltare, per conoscere il parere dei laici e del clero e poter così camminare insieme.
Dovremo anche formare un direttivo che pianifichi e cornordini le attività diocesane.

Come vede le relazioni fra la chiesa di Macao e
l’amministrazione cinese?

Sono relazioni di rispetto e apprezzamento reciproco; non credo che ci
saranno problemi in futuro. Il 17 maggio scorso mi sono incontrato con il capo esecutivo
di Macao: l’ho invitato alla cerimonia di consacrazione ed ha accettato con piacere.

Come si sente a pochi giorni dalla consacrazione
episcopale?

Ho grande fiducia nello Spirito Santo: non per caso ho scelto la
domenica di pentecoste per l’ordinazione. Spero che mi dia la forza necessaria per
realizzare i compiti episcopali, secondo il disegno di Dio e per servire la chiesa e
società di Macao.

Come vede le relazioni fra la diocesi di Macao e la
chiesa in Cina?

La diocesi di Macao aveva relazioni ufficiali con la chiesa in Cina fin
dal 1949. Da quell’epoca i contatti sono diminuiti; ma consideriamo i cattolici
cinesi nostri fratelli: sono sempre nel nostro cuore. Sebbene nessun vescovo del
continente sia stato presente alla mia consacrazione, più di uno mi ha inviato le proprie
felicitazioni. È auspicabile che un giorno il governo cinese e il Vaticano giungano a
stabilire relazioni diplomatiche, in modo che si possano avere maggiori rapporti con la
chiesa in Cina.

 

 

Nel deserto della Cina fiorisce la vita religiosa

 

Nella provincia Shanxi, a est del Fiume Giallo, nella Cina
settentrionale, in parte desertica, stanno fiorendo delle comunità di vita religiosa,
anche se molti dei loro membri, in maggioranza giovani, sono ancora in fase formativa. In
alcune diocesi, come quella di Taiyuan, sono presenti alcune missionarie anziane del
periodo precedente alla rivoluzione comunista. In molti dei nuovi conventi sono state
proprio queste suore anziane a ricominciare la vita religiosa. Ma la maggior parte delle
comunità sono formate da sole giovani. Quelle di Datong, con 40 religiose, di Hong Dong e
Changzhi, con oltre 60, sono casi esemplari della rinascita, al di là della cortina di
bambù comunista, di una vita religiosa femminile ricca di entusiasmo, spirito di fede e
sacrificio.

Il fatto di essere comunità giovani dà luogo a nuove forme di
espressione liturgica, vita comunitaria e forme di preghiera. Cambiamenti e riforme
introdotte dal Vaticano II stanno penetrando a poco a poco, come una fresca brezza che
ogni tanto arriva da fuori, tra le giovani suore assetate di conoscere e attualizzare la
vita religiosa.

Le giovani religiose sono consapevoli di una mancanza di formazione
adeguata alle necessità, poiché non hanno né i mezzi né le opportunità, ma vi pongono
rimedio con zelo e interesse nel ricercare nuove forme che possano colmare questo vuoto.
Di solito, utilizzano qualche libro che è giunto loro da fuori, cassette che ascoltano
attentamente e ripetutamente, o si fanno aiutare da qualche religioso o religiosa
proveniente dall’estero che, in occasione di una visita, possa condividere la sua
esperienza di vita religiosa.

L’orario comunitario dà ampio spazio alla riflessione e studio
della bibbia: un’ora al mattino e una al pomeriggio. E anche durante la celebrazione
eucaristica nel convento, le suore condividono la parola di Dio con il sacerdote. Ciò che
colpisce maggiormente è l’austerità dello stile di vita. In uno di questi conventi,
il vescovo diocesano, piuttosto anziano e con scarsi mezzi economici, può dare loro
soltanto 60 renminbi al mese (circa 13 mila lire italiane) per portare avanti il convento.
Di conseguenza, esse devono fare un po’ di tutto: lavorare nell’orto, preparare
i pasti e altri lavori manuali che consentano loro di sopravvivere.

È curioso osservare che il governo comunista cinese, con la sua
politica di oppressione, ha fatto sì che la chiesa sviluppasse delle caratteristiche in
consonanza con il vangelo di Gesù. I 50 anni di persecuzione comunista e di apparente
distruzione di qualsiasi traccia di vita religiosa, hanno portato a un tipo di chiesa e di
vita religiosa che possiamo definire:

1) indigena: durante mezzo secolo di comunismo, la chiesa in
Cina è stata ed è guidata da una gerarchia e da un clero esclusivamente cinesi;

2) povera: espropriata di tutti i beni dal saccheggio e
vandalismo del governo, la chiesa si è ritrovata con una povertà assoluta di strutture
e, in parte, di personale. La ricostruzione dei conventi e la creazione di nuove comunità
religiose risente degli effetti di questa usurpazione. Le residenze dei vescovi, in Cina,
sono molto dimesse; sulle pareti dei "palazzi" sono ben visibili crepe e
umidità e, all’interno, l’unico mezzo consentito dalle scarse risorse per
ripararsi dalle fredde temperature invernali sono piccole stufe a legna;

3) martiriale: nel rifiutare di sottomettersi alle imposizioni
del sistema maoista, la chiesa ha pagato attraverso molti dei suoi membri, che hanno
patito condizioni disumane: nelle prigioni e carceri sono stati sottoposti a torture e
interrogatori estenuanti. Non essendosi rassegnata e non avendo ceduto alle imposizioni
del governo, la chiesa in Cina ha una lunga lista di martiri, molti dei quali ancora in
vita.

Nonostante le austere condizioni di vita, le difficoltà e il controllo
costante da parte del governo, la chiesa in Cina è fortemente radicata nella fede.
Gradualmente la corrente si sta formando il proprio alveo, si stanno aprendo le porte
all’evangelizzazione, compito nel quale le religiose sono attivamente impegnate. I
credenti, d’altra parte, possiedono una fede saldamente fondata su quella dei loro
antenati, e sia essi che il clero e le religiose sono molto orgogliosi nel portare in alto
il nome di cristiani. Perciò non hanno paura del rischio, quando si tratta di continuare
a ricercare i modi di essere presenti nella società con le loro posizioni di fede. Si
tratta di una chiesa che fiorisce nel deserto: un deserto reale, dato che la zona
settentrionale della Cina è in parte desertica, e morale, perché nella società cinese
la vita religiosa è minacciata dalla persecuzione comunista, dal materialismo e sete di
denaro, che fanno della Cina di oggi un vero e proprio deserto di valori morali.

Anche se alcune delle comunità religiose della provincia vivono in
zone molto povere, i vescovi, che hanno affrontato sacrifici e persecuzioni con santa
semplicità, rispondono con un certo senso di umorismo alla domanda se sia sintomatico
vedere che nel deserto continuino a fiorire più che mai le vocazioni femminili alla vita
religiosa. Sono un motivo di speranza per la chiesa in Cina: come diceva Tertulliano, il
sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani e, senza alcun dubbio, di nuove vocazioni
alla vita religiosa. I martiri dell’epoca comunista, sia quelli ancora vivi oggi, in
Cina, sia quelli canonizzati il primo ottobre 2001, saranno fonte di ispirazione per
fortificare la vita nei conventi che continuano a sorgere con forza sempre maggiore in
molte diocesi della Cina.
D.C.R.

Daniel Cerezo Ruiz

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