Genova (2): cosa ha lasciato l’assise del “G8”. QUEGLI OTTO NANI MIOPI E PREPOTENTI

 

Nonostante la propaganda governativa parli di uno storico successo,
il vertice dei G8 si è concluso con un fallimento. Sui temi caldi del debito,
dell’ambiente e della finanza non si è deciso nulla, mentre l’insistenza
attorno alla bontà della ricetta economica neoliberista appare decisamente stonata. Il
Fondo globale per la salute (l’unica decisione operativa) ha una portata da elemosina
e una struttura molto ambigua. Nel frattempo, questo novembre l’Organizzazione
mondiale del commercio (Omc-Wto) discute un’ulteriore riduzione delle barriere
commerciali. La riunione si tiene a Doha, nell’emirato del Qatar, dove i
"cattivi" contestatori non potranno mai arrivare.

 

IL NULLA, NERO SU BIANCO

Sono passati quasi 3 mesi dal vertice di Genova, che ha
riunito i rappresentanti degli 8 paesi più industrializzati del mondo (i cosiddetti
"G8"). Premesso che sulla legittimità di questo organismo ci sono dubbi forti e
condivisibili, alla fine un dato è certo: il vertice si è concluso con un fallimento
epocale.

Gli 8 (più Prodi, che rappresentava l’Unione europea) signori del
mondo hanno messo nero su bianco il nulla uscito dai loro tre giorni di colloqui. I 36
punti della dichiarazione finale non sono altro che un inno stonato e ripetitivo alla
retorica del mercato che tutto sistema e tutto sana.

 

ELEMOSINA

Era stata annunciata come una grande iniziativa. In realtà, il Fondo
globale (Global Health Found) contro Aids, malaria e tubercolosi è
un’elemosina: si tratta di 1,3 miliardi di dollari, circa 3.000 miliardi di lire.
Questi fondi corrispondono alle risorse che i paesi indebitati spendono in poche settimane
a causa del debito.

Per comprendere il reale significato dei 3.000 miliardi stanziati,
ricordiamo che il deficit della sanità della regione Piemonte (con solo 4,5 milioni di
abitanti) per l’anno 2000 è stato stimato in 1.200 miliardi di lire.

Come ciò non bastasse, al punto 17 si legge: "Esprimiamo
apprezzamento per le misure prese dall’industria farmaceutica al fine di rendere
economicamente più accessibili i farmaci. Nel contesto del nuovo Fondo globale,
lavoreremo d’intesa con l’industria farmaceutica". Insomma, nonostante la
figuraccia mondiale rimediata in Sudafrica (dove hanno dovuto abbandonare la causa
intentata contro il governo nazionale), per gli 8 le multinazionali dei farmaci diventano
associazioni filantropiche.

Prima dell’inizio del vertice, Medici senza frontiere aveva
espresso forte preoccupazione per la tendenza dei governi ad abdicare a favore delle
imprese del business mondiale le responsabilità politiche della salute.

Dopo il vertice, l’organizzazione si è mantenuta coerente,
dichiarando che non parteciperà al consiglio direttivo del Global Health Found, in
quanto questo sarà aperto anche alle multinazionali farmaceutiche. Queste infatti
potranno guadagnarsi il loro posto nel consiglio attraverso una donazione al fondo. Come
non concordare allora con chi parla di "carità pelosa" e di "conflitto di
interessi"?

Inoltre, con un tono che sa molto di monito, gli 8 ribadiscono la
volontà di difendere i "diritti di proprietà intellettuale, come necessario
incentivo per la ricerca e lo sviluppo di farmaci salvavita". Questo significa che la
vicenda sudafricana (cioè la sconfitta delle multinazionali sui medicinali anti-Hiv)
viene considerata soltanto un episodio che non dovrà avere seguito.

 

DEBITO

"L’alleggerimento del debito è un valido contributo alla
lotta contro la povertà" (punto 7). Già il termine utilizzato,
"alleggerimento", fa capire che neppure questa volta sul problema del debito ci
sarà una svolta decisiva.

L’iniziativa a favore dei paesi poveri maggiormente indebitati (Heavily
Indebted Poor Countries
, Hipc), citata nel documento, è stata finora deludente. Non
solo perché soltanto 23 paesi poveri sono stati ammessi al programma di alleggerimento,
ma anche perché la stessa Banca mondiale ha messo in dubbio l’efficacia
dell’iniziativa Hipc nel lungo periodo.

I responsabili di Sdebitarsi e di Drop the Debt (le
organizzazioni italiana e internazionale che si battono per la cancellazione del debito)
non nascondono la loro delusione: i leaders dei G8 hanno perso una grande occasione
per affrontare in modo efficace la crisi del debito.

 

PROBLEMI? PIÙ LIBERISMO!

Tutto il documento finale è una ossessiva esaltazione della crescita,
senza una parola per i concetti di uguaglianza, giustizia, redistribuzione. Punto 10:
"Libero commercio e investimenti alimentano la crescita globale e la riduzione della
povertà". Il punto 11 ribadisce il concetto: "Appoggiamo gli sforzi compiuti
dai paesi meno avanzati per accedere al sistema commerciale globale e per approfittare
delle opportunità offerte da una crescita basata sul commercio".

Dunque, la risposta degli 8 grandi ai problemi del mondo è chiara ed
univoca: essi additano la via del libero scambio e dei commerci. Per abbattere la
miseria strutturale e lo squilibrio della ricchezza serve più liberismo, la nuova
ideologia che – come ci viene continuamente ricordato – non si può mettere in discussione
perché è l’unica possibile.

Questo novembre ci sarà la quarta riunione dell’Organizzazione
mondiale del commercio
(Omc-Wto), la prima dopo il fallimento di Seattle (novembre
1999). Poiché quanti si oppongono e si mobilitano per manifestare il dissenso sono
considerati violenti o criminali, la riunione si terrà nell’emirato arabo del Qatar,
paese praticamente irraggiungibile. Insomma, finalmente il Wto potrà decidere in tutta
tranquillità cosa è bene per gli abitanti della terra. E poco importa se i delegati dei
49 paesi più poveri del pianeta, che si sono riuniti a Zanzibar (24 e 25 luglio), hanno
espresso forti preoccupazioni per le pressioni continue all’apertura dei loro mercati
quando questi sono ancora troppo deboli per competere con quelli dell’Occidente.

Se il Wto riuscisse a realizzare il suo disegno di liberalizzazione
completa dei mercati, sarebbe il primo organismo in grado di imporre le sue decisioni al
mondo intero. L’organizzazione – ha spiegato Susan George – è "un tavolo
permanente i cui membri si impegnano a negoziare per sempre in una sola direzione".
È quella del pensiero unico neoliberista, che elabora le giustificazioni teoriche
per la consegna delle economie nelle mani delle grandi imprese multinazionali.

"Il nostro modo di vivere e di pensare – ha scritto il premio
Nobel Rita Levi Montalcini -, il nostro modo di produrre, di consumare e di sprecare non
sono più compatibili con i diritti dei popoli dell’intero globo. I meccanismi
perversi dell’attuale modello di sviluppo provocano l’impoverimento, il
depredamento degli ecosistemi, la negazione delle soggettività e delle differenze".

 

GLI SPECULATORI? LIBERI DI ARRICCHIRSI

Al vertice di Genova si è parlato molto di economia, ma si sono
coscientemente tralasciate le variabili dell’economia finanziaria.

Attualmente sui mercati valutari si scambiano ogni giorno 1.800
miliardi di dollari; il 95% di tale entità riguarda transazioni di breve o brevissimo
periodo, la maggior parte delle quali riveste un carattere meramente speculativo. Se sulle
transazioni valutarie si applicasse la Tobin tax, si limiterebbero le speculazioni
finanziarie (che mettono continuamente in pericolo la stabilità degli stati più deboli e
l’equilibrio dell’intero sistema) e al tempo stesso si raccoglierebbero cospicui
fondi (si parla di 100 – 400 miliardi di dollari) per porre rimedio allo sviluppo
diseguale. Ma di tutto ciò, al summit di Genova, non si è parlato. Per banchieri
e speculatori non è mai difficile convincere i governi!

"Globali – ha scritto recentemente Oskar Lafontaine, ex ministro
delle finanze della Germania – sono solo i mercati finanziari -. La possibilità di
trovare in pochi secondi la migliore collocazione del capitale in tutto il mondo. Le crisi
finanziarie in Messico, Asia, Russia, Brasile e Argentina hanno rivelato
l’instabilità dei mercati finanziari inteazionali. Non ci sono dubbi che le crisi
hanno provocato un aumento considerevole della disoccupazione e dell’impoverimento
sociale".

 

LA TERRA PUÒ ATTENDERE

Non hanno potuto mentire. Al punto 24 i grandi affermano: "Al
momento non siamo d’accordo sul protocollo di Kyoto e sulla sua ratifica".

Su questo tema è stata determinante l’opposizione di George W.
Bush. Il protocollo di Kyoto (che prevede una blanda riduzione dei gas a effetto serra)
era stato firmato (1997), ma mai ratificato dagli Usa.

È qui che diventa palese una delle conseguenze più inquietanti della
globalizzazione: l’americanizzazione del mondo, ovvero la sua subordinazione
agli interessi della superpotenza statunitense. Finché si tratta di favorire il business
delle imprese multinazionali va tutto bene; ma quando si tratta di imporre regole
nell’interesse collettivo dell’umanità gli Usa si tirano indietro.

Vale la pena di ricordare che gli Stati Uniti sono di gran lunga il
paese più inquinante del pianeta (leggere box). Insomma, gli Usa guidano la fila
di coloro che si rifiutano di pagare quell’enorme debito ecologico e sociale
che le loro politiche hanno prodotto nei paesi del Sud, pur guardandosi bene dal
contabilizzarlo. Come ha ricordato l’ecuadoriana Aurora Donoso (di Acciòn
ecologica
), i paesi ricchi hanno operato un sistematico saccheggio delle risorse del
Sud (petrolio, minerali, foreste, biodiversità), lasciando in eredità distruzione
ambientale e sociale, mutamenti climatici e biopirateria di cui ora non vogliono farsi
carico.

"Le catastrofi ecologiche – scrive Lafontaine -, come
l’incidente al reattore di Cheobyl, il buco dell’ozono e le perdite delle
petroliere, hanno ricordato al mondo intero che anche la distruzione della natura fa parte
della globalizzazione. Gli interessi dell’ecologia si scontrano con lo spirito
neoliberale".

Molta più attenzione gli 8 grandi hanno mostrato nei confronti della tecnologia,
vista come panacea di tutti i mali. "Le tecnologie informatiche e delle comunicazioni
– recita il punto 22 della dichiarazione finale – rappresentano un enorme potenziale per
aiutare i paesi in via di sviluppo ad accelerare la crescita, elevare il tenore di vita e
soddisfare altre priorità dello sviluppo". Né è mancata (punto 20) la professione
di fede per le biotecnologie, nonostante il dibattito nella comunità scientifica e
nella società civile consigli molta prudenza.

Verso la fine del documento (punto 33) si parla di criminalità
transnazionale. Ma non si fa alcun cenno né al commercio delle armi né ai paradisi
fiscali e finanziari.
Evidentemente, per gli 8 "grandi" questi non sono
crimini.

 

LA PROMESSA

 

Silvio Berlusconi, non smentendo la sua fama di immodesto, ha
parlato di un vertice di portata storica. Come abbiamo visto, di storico c’è
soltanto il suo fallimento. Senza dire delle incredibili violenze che lo hanno circondato.
I 36 punti della dichiarazione finale di Genova si chiudono con "il nostro lavoro
continuerà". Più che una promessa, sembra una minaccia.

 

 

Il commento di Maurizio Pagliassotti e Silvia
Battaglia

TRA LIMONI DI PLASTICA E COPPE DI CHAMPAGNE

 

Quali commenti si possono fare sui contenuti del vertice genovese tra
gli 8 grandi della terra? Pochi. I risultati sono talmente striminziti che si finisce per
fare una critica al sistema stesso.

Certo, il tutto è stato ricoperto abbondantemente di demagogia,
spalmata da media pronti ad enfatizzare il nulla per nascondere parole che negli anni si
dimostrano sempre uguali, sempre più superficiali e banali.

"Il G8 della speranza", così è stata definita l’ultima
riunione dell’Internazionale del Conservatorismo Compassionevole. Mentre nelle
strade di Genova imperversava la guerra, all’interno di Palazzo Ducale, tra limoni di
plastica e coppe di champagne, i grandi 8 bollavano i manifestanti come "nemici dei
poveri" e, con unanimità di vedute, sproloquiavano le solite frasi, i soliti
ritoelli.

Il G8 svoltosi in Giappone, nel 2000, ebbe almeno un risvolto comico.
Allora la montagna riuscì a partorire lo slogan "Inteet per tutti",
come panacea mondiale della fame e del sottosviluppo. Anche per quei 2 miliardi di persone
che non hanno la più pallida idea di cosa sia il telefono?

D’altronde il grottesco in politica sembra seguire le leggi
dell’entropia nella fisica: tende all’infinito. Il ministro degli Esteri
italiano Renato Ruggiero, nominato direttamente dall’ex segretario di Stato
americano Henry Kissinger, ha detto, durante una trasmissione televisiva la sera
del 20 luglio, sostenendo l’importanza delle nuove tecnologie per il terzo mondo:
"Oggi un telefonino può salvare vite umane" (*).

Non si salverebbero molte più vite umane con una semplice riforma
agraria che favorisca le necessità intee anziché l’esportazione di monocolture?
Oppure evitando la crescente desertificazione di gran parte dei paesi poveri dovuta agli
effetti degli stili di vita consumistici del nord?

Niente di tutto questo. Gli 8 si sono mossi esclusivamente nel
ristretto ambito del progetto neoliberista. E in questo quadro devono essere viste le
piccole decisioni, poi definite "storiche", prese durante le "cene di
lavoro".

Allargamento del G8 – Dal prossimo anno dovrebbe essere presente
stabilmente una rappresentanza dei paesi poveri durante il pre-vertice. Demagogia. Molte
nazioni del terzo e quarto mondo sono "protettorati" degli Stati Uniti. Si
pensi, ad esempio, a molti paesi dell’America Latina.

È una realtà, invece, che i promessi aiuti allo sviluppo da anni non
facciano alcun progresso. I paesi industrializzati si impegnarono a destinare lo 0,7% del
PIL al sud del mondo. Escluse poche eccezioni scandinave, nessuno lo ha fatto. Tale
mancanza non è stata oggetto di discussioni.

Debito – È stata confermata la volontà di
"alleggerire" i debiti delle nazioni più povere. Restano in piedi quelli con il
Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale…

Curiosità: cosa si domanda in cambio
dell’"alleggerimento"? Si chiede un ulteriore taglio della già miserevole
previdenza sociale? Oppure un’ennesima apertura dei mercati, affinché possano
arrivare capitali stranieri ansiosi di trovare paesi finalmente liberi da basilari
normative sindacali ed ambientali?

Aids – È prevista l’istituzione di un fondo di 1,3
miliardi di dollari per combattere l’epidemia in Africa. Una bazzecola. Per lo scudo
spaziale statunitense sono previsti investimenti per 100 miliardi di dollari. Si è
parlato di far cadere il brevetto ventennale che copre i farmaci e li rende
scandalosamente cari?

Clima – Nessun accordo sul protocollo di Kyoto. Gli Stati Uniti,
ostaggi della stagnazione economica, si rifiutano di rinunciare al proprio stile di vita
iperconsumista, facendone anzi una bandiera. Un trattato totalmente insufficiente trova
ostacoli insormontabili.

Scudo spaziale – Preoccupanti le aperture russe verso lo scudo
spaziale voluto dagli Stati Uniti.

Tobin Tax – Tutti sono scoppiati a ridere.

E poi tanti altri bla bla su Medio Oriente, Macedonia, Africa
etc.

 

Nulla di nuovo quindi. Passa il messaggio che la soluzione dei problemi
globali vada ricercata attraverso una politica commerciale neoliberista, la stessa che
quotidianamente crea distruzione e morte. La ricetta proposta dagli 8 fa della
competizione commerciale un dogma. Bisognerebbe anche aggiungere che trattasi di
competizione al ribasso sui costi, intesi come umani ed ambientali, pena appunto
l’esclusione dal mercato. Questo meccanismo diabolico è ben dimostrato da paesi come
Cina e Messico, luoghi in cui le commesse di prodotti volti al consumatore occidentale
hanno prodotto piccole élites ultraricche e masse enormi di disperati, esattamente coloro
sui quali si scarica la "flessibilità competitiva globale". È giusta una
politica che lascia ai paesi poveri, come uniche scelte, la disoccupazione se si rifiutano
le regole di questo mercato oppure lo sfruttamento e la distruzione delle risorse naturali
se invece si accettano? A noi sembra paradossale.

Forse proprio questo messaggio, non più sussurrato subdolamente,
bensì urlato a gran voce, è il risultato più imbarazzante e pericoloso di questo
summit: la pretesa che la globalizzazione, e quindi la scienza ed il pensiero occidentale,
siano gli unici mezzi per diminuire la povertà del sud del mondo. Evidentemente non è a
tutti chiaro che la conoscenza occidentale è semplicemente il risultato
dell’evoluzione storico-culturale del popolo occidentale. Altre conoscenze ed altre
scienze hanno lo stesso diritto di esistere e di dare le proprie interpretazioni di ciò
che noi intendiamo per sviluppo e progresso.

Un carrozzone inutile, quindi, il G8, megafono di decisioni che vengono
prese altrove. Decisioni volte al mantenimento di un capitalismo che oramai è
impazzito, sfuggito di mano e che sembra quasi vivere di vita propria, ingovernabile. Un
macro-organismo che, brandendo la spada della tecnologia, necessita per mantenersi in vita
di sempre nuovi consumi, nuovi uomini da sfruttare per tagliare i costi, nuovi ambienti da
distruggere per trovare materia prima.

Quegli 8 uomini avrebbero dovuto ammettere che la soluzione ai problemi
dell’ambiente e delle popolazioni povere passa attraverso una drastica redistribuzione
della ricchezza.
Traduzione: fine dei patrimoni personali pari al PIL di interi
continenti, delle flotte di aviogetti privati, delle automobili da 1.000.000 di dollari, e
di moltissimi altri scandali. E, molto probabilmente, fine anche di molte altre minori
comodità che oramai noi consideriamo un diritto, ma che tali non sono.

Meglio rimandare fino al momento del collasso totale, meglio correre
spensierati verso una comodissima catastrofe.

(*) Speciale Porta a Porta, venerdì 20 luglio 2001, Rai 1.

 

 

Dopo l’11 settembre

SIAMO TUTTI AMERICANI, MA…

 

… anche serbi, palestinesi, kurdi, rwandesi, iracheni. Il terrorismo
è inciviltà. La guerra lo è ancora di più.

 

Nella peggiore delle ipotesi, quando leggerete queste pagine, George W.
Bush avrà già scatenato la vendetta. E altre persone innocenti, proprio come le migliaia
morte negli attentati di New York e Washington, pagheranno con la vita l’incapacità
umana di risolvere i problemi senza ricorrere alla violenza.

 

Il seme dell’odio

– Chi ha seminato il seme dell’odio? Perché è accaduto quel che
è accaduto? Non basta il fanatismo di Osama Bin Laden e dei talebani afghani per spiegare
la rabbia di una gran parte del mondo verso l’Occidente in generale e gli Stati Uniti
in particolare.

Tutti condanniamo il terrorismo, ma dobbiamo anche porci delle domande,
senza dividere il mondo tra "buoni" e "cattivi", tra
"civiltà" e "inciviltà", come ci suggeriscono molti politici e molti
media. Finché sul nostro pianeta ci saranno moltitudini affette da fame, miseria,
ingiustizia, ci saranno la disperazione e personaggi come Osama Bin Laden (o chi per lui)
pronti ad usarla per i loro fini.

 

Il fondamentalismo – Dei danni prodotti dal sentire
fondamentalista (che non accetta interpretazioni della vita diverse dalla propria) sono
pieni i libri di storia. Al giorno d’oggi, il fondamentalismo islamico è sicuramente
tra i più pericolosi. Innanzitutto, per la forza dei numeri: i musulmani sono oltre un
miliardo, in grande maggioranza nei paesi poveri. Poi perché, attraverso
un’interpretazione distorta dei testi coranici, leaders (chiamiamoli così) islamici
senza scrupoli cercano di alimentare il risentimento di popoli (afghani, iracheni,
yemeniti, pakistani, egiziani, sudanesi ecc.) costretti a vivere in condizioni di grande
privazione.

Ma non possiamo dimenticare tutti gli altri fondamentalismi, quelli che
si sono sviluppati nel Nord del mondo, nei ricchi paesi occidentali. Per esempio,
c’è del fondamentalismo nella dottrina neoliberista che non accetta obiezioni alle
leggi del mercato e del profitto, per le quali non ci sarebbe alternativa nonostante gli
squilibri dell’economia globale siano sotto gli occhi di tutti. "Ciò che è
avvenuto – ha scritto la Rete di Lilliput – è in stretta relazione con la fragilità e
l’intrinseca insicurezza dell’attuale sistema economico e politico dominante che
non riesce a risolvere i problemi che continuano ad affliggere gran parte
dell’umanità. Un mondo che viene rapinato nella ricerca esasperata di profitti a
breve termine e in cui il divario tra i più poveri e i più ricchi aumenta di anno in
anno non può che diventare un invivibile focolaio di tensioni e conflitti".

Ancora: come giudicare l’atteggiamento di George W. Bush e della
sua amministrazione? In pochi mesi di governo, questi signori sono riusciti a rendersi
invisi a una buona parte del mondo per aver stracciato i più importanti trattati
inteazionali: da quello di Kyoto sull’ambiente a quello sulle armi batteriologiche,
da quello sulla regolamentazione delle armi leggere a quello sui missili antibalistici.

Per non dire dell’idea di sviluppare un costosissimo sistema di
"scudo stellare", che rischia di riaprire la corsa agli armamenti. Gli attentati
dell’11 settembre hanno dimostrato la follia e inutilità di quel progetto. I nemici,
invece di utilizzare ordigni lanciati da altri paesi, hanno dirottato quattro voli interni
e li hanno usati come missili. Eppure, ne possiamo essere certi, Bush e altri
riaffermeranno con forza l’indispensabilità dello scudo stellare, che servirà
soltanto a svuotare le casse pubbliche e a riempire quelle delle industrie belliche.

E che pensare dello strano silenzio statunitense circa il conflitto
medio-orientale? Dalla guerra tra Israele e palestinesi nascono tensioni che si riflettono
su tutto il mondo. La soluzione equa di quel problema è un atto che riavvicinerebbe il
mondo islamico all’Occidente. Invece, approfittando della "distrazione
generale", il premier israeliano Ariel Sharon proprio nei giorni degli attentati ha
sferrato sanguinosi attacchi sui territori palestinesi di Gaza e Cisgiordania.

D’altra parte, è evidente che George W. Bush è (almeno fino ad
oggi) un presidente totalmente inadeguato per guidare la superpotenza americana. Tanto che
il grande scrittore messicano Carlos Fuentes non ha esitato a definirlo "un
energumeno ignorante". Prima delle stragi, Bush junior era solito ripetere il motto
"the United States of America first", gli Stati Uniti innanzitutto. Speriamo che
qualcuno lo consigli di anteporre gli interessi dell’umanità, magari facendo
riferimento alle Nazioni Unite, un’istituzione che da anni gli americani tentano
(riuscendovi, purtroppo) di mettere in disparte.

L’eventuale risposta bellica di Bush ed alleati non potrà che
radicalizzare il conflitto tra Occidente e mondo islamico, aumentando l’odio e
accrescendo le fila degli aspiranti kamikaze, pronti a sacrificare la propria vita al
primo cenno del mullah di tuo.

 

Lacrime vere e lacrime false? – In Italia gran parte dei
mass media tenta di far passare la tesi "chi non è con gli Stati Uniti, favorisce i
terroristi e tutti i nemici dell’Occidente". Questa semplificazione è una
vergognosa strumentalizzazione della tragedia e tende ad escludere ogni posizione diversa.
Come avvenne per la guerra del Golfo (1991) e per quella del Kosovo (1999). Che i contrari
alla guerra avessero ragione oggi è sotto gli occhi di tutti: l’Iraq è un paese con
una popolazione alla fame e un Saddam Hussein saldamente al potere, il Kossovo e tutta la
ex Jugoslavia sono una polveriera colma di cadaveri e d’odio.

Da tutte le parti, ci dicono che occorre parteggiare, schierarsi,
scegliere, escludendo ogni posizione diversa. Addirittura, c’è chi parla di morale,
di etica: non essere d’accordo con Bush e la Nato significherebbe mancare di rispetto
alle migliaia di morti sepolti sotto le macerie delle torri del "World Trade
Center" e del Pentagono. Le lacrime di chi vuole applicare la legge del taglione
("occhio per occhio, dente per dente") sarebbero più vere di quelle di coloro
che vogliono ragionare da uomini, declinando parole diverse (dialogo, giustizia, pace,
tolleranza, comprensione) da quelle dei governi e dei potenti (guerra, vendetta, rivalsa,
dominio)?

 

Le due facce della medaglia – Ero a New
York nei giorni attorno a ferragosto. Ovviamente sono andato ad ammirare il panorama dal
110.mo piano delle Torri gemelle. Da quell’altezza, come tutti ho goduto della
splendida vista di Manhattan, uno dei luoghi più fotografati del pianeta. Proprio sotto
c’era il distretto finanziario e la famosa Wall Street. A vedere il mondo di lassù,
tutto sembra (sembrava) all’insegna dell’ottimismo e della ricchezza. Ecco il
punto: in Occidente, in troppi vedono (o vogliono vedere) soltanto una faccia della
medaglia.

Per chiedere un mondo diverso e più giusto, sono stato a protestare
lungo le vie di Genova e, nonostante quanto dicano Silvio Berlusconi, il suo governo e i
suoi giornali, non solo ne sono orgoglioso, ma non avrei dubbi a rifare le stesse scelte.
Per gli stessi motivi, non avrò tentennamenti a scendere in piazza per protestare contro
la follia della guerra, per gridare che un’altra strada esiste.

Pa.Mo.

Paolo Moiola

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