Ma la violenza e le bugie non fermeranno i sognatori

Genova, 21 luglio.
"Vedrete, domani saremo tutti dei criminali". Sul pullman che ci riporterà a
casa si respira un’atmosfera pesante. Delusione, sconcerto, malinconia sono i
sentimenti più diffusi. Qualcuno è più ottimista: "Ma no. Sapranno distinguere. Le
violenze di certe multinazionali non fanno dimenticare che altre imprese lavorano con
coscienza. Le esecuzioni capitali degli Usa non fanno dire che tutti gli statunitensi sono
dei barbari. I teppisti degli stadi non vengono confusi con i tifosi veri. Sì, sapranno
dividere chi è venuto per contestare con una maglietta colorata, uno striscione, uno
zainetto pieno soltanto di acqua e panini".

Alcuni di noi sono stati in cima al corteo dei duecentomila (o più) manifestanti,
venuti da ogni regione d’Italia e da decine di altri paesi (Francia, Grecia, Spagna,
Inghilterra, ecc.). "Il corteo si è trovato spezzato in due tronconi. Piovevano
candelotti lacrimogeni sulla gente. Molti, impauriti, indietreggiavano, incrementando il
panico. Altri riuscivano a mantenere il controllo, alzando le mani imbiancate e gridando
"Calmi, calmi. Non scappate". Abbiamo visto gruppetti di tute nere, sbucati
all’improvviso da chissà dove, dare l’assalto a banche e negozi. Con sassi,
spranghe, bastoni, calci. Chi doveva fermare questi teppisti scatenati? Dove erano le
forze dell’ordine?".

"A tirare i loro lacrimogeni sui pacifisti", grida qualcuno dal fondo del
bus; "a difendere George il texano", aggiunge un altro; "ad ammirarci
dall’alto", ironizza amara una signora, riferendosi agli elicotteri che, per
tutto il giorno, hanno volteggiato sulle teste dei manifestanti.

Il pullman entra a Torino poco dopo la mezzanotte. I saluti sono veloci. Stremati nel
fisico e nello spirito, tutti vogliono tornare a casa. Ma – questo è certo – nessuno si
è pentito della scelta operata, né smetterà di sognare un mondo diverso
dall’attuale.

Domenica, 22 luglio. Le previsioni si stanno avverando. Alcuni
quotidiani e diverse televisioni si scatenano in un impudico travisamento dei fatti. Che
tristezza leggere: "Vogliono cambiare il mondo. Così hanno cambiato Genova"
(prima pagina de il Gioale). E Libero di Vittorio Feltri rincara la dosa: "Sono
solo dei criminali. I pacifisti devastano e incendiano Genova". Si dà fondo al
dizionario degli insulti: lanzichenecchi, nazi-comunisti, terroristi, rivoluzionari
deliranti, mandria allo sbando, catto-comunisti, turisti della violenza, pessimi alunni di
cattivi maestri. Chissà come si sentirà la ragazza di Mani Tese, l’ambientalista
del Wwf, l’iscritto della Fiom, la signora francese di Attac, il comunista greco o il
missionario della Consolata?

Sui canali televisivi scorrono le devastazioni del "popolo di Seattle" e i
sorrisi di circostanza degli otto cosiddetti "grandi" che, nei palazzi della
città proibita (la famigerata "zona rossa"), raccontano alla stampa mondiale
cosa hanno deciso in questa tre giorni di discussioni. "Abbiamo lavorato per il bene
dell’umanità". Ci sarà un fondo per la lotta all’Aids, alla malaria, alla
tubercolosi (3 mila miliardi di lire, poco più di un’elemosina). Per ridurre la
povertà (e aumentare i profitti delle multinazionali), i commerci saranno ancora più
liberi. C’è l’ennesima promessa di aiutare l’Africa. Nessun accordo,
invece, sul trattato di Kyoto, sullo sviluppo diseguale, sulle energie rinnovabili, sullo
scudo stellare di George il texano, sulla cancellazione totale del debito. Della finanza
speculativa e della "Tobin Tax" non si è parlato perché, come si dice, non
erano temi in agenda. Insomma, ancora una volta, tante chiacchiere, ma pochissimi
risultati. Ma che importa? I cattivi sono gli altri. Le banche devastate, le vetrine
infrante, le auto bruciate, la città messa a ferro e fuoco sono lì a dimostrarlo. Il
mondo può andare avanti così.

Paolo Moiola