Lettere: cari missionari

Era…

extra-comunitario!

Cari missionari,

ho 16 anni. Scrivo a voi perché non so a chi altro manifestare il mio sconforto e la
mia rabbia. Missioni Consolata è un mensile che si occupa di popoli stranieri, delle loro
situazioni complicate e spesso drammatiche.

Vi parlo del mio disagio nei confronti degli extra-comunitari in Italia, sperando che
pubblichiate il mio e-mail.

Stasera mi è capitata una vicenda, forse banale, ma che mi ha veramente sconvolta. Ero
uscita con gli amici e, al ritorno, i genitori sono venuti a prendermi. Camminavamo per
raggiungere la macchina: dovevamo attraversare una strada abbastanza trafficata e nessuno
ci lasciava passare. Mio padre ha fatto cenno a un’auto di fermarsi, ma questa ha
tirato dritto; allora si è "buttato" in strada. La macchina ha frenato
bruscamente: l’autista (un extra-comunitario) è sceso, ha cominciato ad insultarci e
stava per fare a botte. Io tremavo di paura. Ma avrei voluto dire: "Lo sa anche la
mia sorellina che ci si deve fermare e lasciar passare i pedoni!".

Come possiamo fidarci degli extra-comunitari? La scena ricordata è solo una delle
tante dimostrazioni della loro stupidità. Con ciò non voglio dire che noi italiani siamo
perfetti, anzi! Ma loro sono un pericolo in più.

Anna Turatello

Selvazzano (PD)

Tutti possiamo essere un pericolo in più, ma anche una ricchezza! Intanto non
lasciamoci plagiare da "luoghi comuni discriminatori"… Anna, data la tua
giovane età, forse ti può aiutare la seguente riflessione di Adriana, che titoliamo…

 

Ritrovare

i sentimenti

Quando ci viene chiesto di raccontare un’esperienza, ci si limita spesso a fatti
di cronaca. Per me "esperienza" è ciò che rimane come patrimonio nel cuore,
ciò che modifica il mio modo di pensare e vivere.

L’"esperienza-risurrezione" ha cambiato la vita degli apostoli. Come
loro, sulle vie del mondo, operano i "missionari": persone che devono essere
povere e libere per stare con la gente e condividee il cammino.

"Fuori sulla strada Gesù è esposto, malconcio, malato…", ed è
l’amore che risolverà ogni dubbio: il dubbio soprattutto che "tutto è
inutile". Proprio perché mi manca l’esperienza del Risorto, "tutto è
inutile". Ma con Lui, la mia vita cambia, come quella dei fratelli poveri,
emarginati, sfortunati.

Devo dare quel poco che ho a chi ha meno di me. Il non avere ciò che è essenziale per
la vita è una sofferenza non per chi lo possiede, quanto invece per chi vuole amare… e
nulla può donare!

Quando penso che ho l’indispensabile, non posso nascondere il mio disagio; esso
diventa più grande allorché mi rendo conto che, purtroppo, poche volte ci penso a
questo. Ma il povero, l’umile, il semplice lo si trova sempre… ed è lui a far
rifiorire in me sentimenti annebbiati: accettazione, rispetto, condivisione, tenerezza.
Quando sento di possederli, ringrazio il Padre Nostro… E lo può chiamare così chi non
mi fa odiare i nemici, ma mi sprona ad amare tutti gli esseri creati e mi fa desiderare la
giustizia e carità.

Vorrei che fossero sempre questi i sentimenti a determinare le mie azioni.

sr. Adriana Prevedello

Mazara del Vallo (TP)

Adriana, missionaria francescana di santa Elisabetta in Kenya e poi in Sicilia tra
mafia, prostituzione e immigrati clandestini, è ripartita per il paese africano.

 

Lacrime

e quisquiglie

Spettabile redazione,

avevo visto a suo tempo la foto della donna sulla copertina di Missioni Consolata,
gennaio 2001, e già allora volevo scrivervi che la didascalia non era giusta.
Naturalmente avevo indovinato che la foto era stata fatta al funerale di padre Andeni.

Non conosco personalmente la donna della foto, ma penso che sia farle torto definirla
"musulmana", semplicemente perché ha il velo in testa. Ritengo che sia una
delle nostre cristiane, con molta probabilità una kikuyu, non una samburu o una turkana.
In Kenya la maggioranza delle donne nelle nostre missioni usa il velo e, a Maralal, i veli
più belli nei negozi sono di foggia musulmana, anche perché diversi negozianti sono
musulmani.

Tenendo conto che la donna sta piangendo, è naturale che cerchi di nascondere la
faccia. Però non facciamo dire alla foto quello che non dice, cioè partecipazione
musulmana al dolore cattolico…

Non sono d’accordo con la lettera che vi hanno scritto, specie con
l’offensiva parte finale.

p. Gigi Anataloni

Nairobi (Kenya)

Caro direttore,

ha suscitato in me molta indignazione la lettera "Lacrime di una musulmana",
apparsa su Missioni Consolata di maggio, non per il titolo, ma per il contenuto. Da quanto
ho potuto leggere, trovo la lettera grossolana e poco rispettosa sia del vostro lavoro sia
del personale che opera in redazione.

Il discordare da un articolo o una foto è legittimo, ma non dà diritto ad illazioni o
supposizioni sul direttore della rivista, anche perché le sue scelte sono dettate da
sensibilità professionale… che non tutti i lettori posseggono.

Gli autori della lettera hanno tentato di "classificare e bocciare" una
persona solo perché è "musulmana". Questo è razzismo o, meglio,
fondamentalismo religioso, che pian piano sta penetrando anche nei nostri ambienti
cattolici.

Invito gli autori della lettera a rispettare le persone, anche se non sono
d’accordo con il loro pensiero, perché, solo rispettando l’altro, si è degni
di rispetto.

p. Gianfranco Graziola

Roraima (Brasile)

Ecco i precedenti della piccola polemica.

In Missioni Consolata di gennaio 2001 pubblica in copertina una donna che piange, con
la didascalia "lacrime samburu (Kenya)". Nient’altro.

n La rivista di maggio ospita una lettera dal Kenya, secondo la quale la donna in
questione non è samburu, ma musulmana. Sorge spontanea la domanda: i samburu non possono
essere musulmani?

n Oggi, ancora dal Kenya, si replica: la donna non è musulmana, ma probabilmente
kikuyu.

E i kikuyu non possono essere musulmani?

Chiudiamo la querelle con dati certi: la foto fu scattata il 18 settembre 1998 a
Maralal (Kenya) durante i funerali di padre Luigi Andeni, quattro giorni dopo la sua
uccisione; l’immagine mostra una donna con il velo che piange, senza nascondersi.

Quelle lacrime ci hanno impressionato. Non il resto.

 

La forza del perdono

Cari missionari,

ho 17 anni. Sentendo il telegiornale o ascoltando le notizie di cronaca, vengo a
conoscenza di eventi che sconvolgono il mio mondo ristretto. L’interrogativo più
frequente che mi pongo è se le azioni-reazioni dell’uomo siano serene o furiose, non
pensate o dettate dalla ragione…

Si potrebbe tracciare un percorso storico circa fatti ed eventi, generati da quel senso
di vendetta che acceca, senza lasciare uno spiraglio di luce e razionalità. È il buio
dovuto alla mancanza di raziocinio a renderci simili agli animali.

A partire da Abele e Caino fino ai nostri giorni, passando attraverso gli scontri di
religione, le guerre mondiali e locali, la pace è sempre stata un tormento. A livello
personale, i casi peggiori sono quelli in cui il sopruso diventa stile di vita, il modo di
prevaricare la giustizia per difendersi dal mondo esterno e celare le proprie debolezze. E
si diventa vendicativi.

A volte, quando la parola "punizione" diviene sinonimo di istituzione
pubblica e politica, neanche le maggiori organizzazioni umanitarie sono in grado di
fermare lo scempio. L’esempio più lampante è, oggi, rappresentato dalla pena di
morte. Questa sanzione, così primitiva, è praticata in molti stati, e non solo dai più
sottosviluppati. Non esiste ragione, difesa, possibilità di riscatto per un errore
compiuto, ma solo la vendetta.

Faccio un ragionamento: se lo stato stesso pratica la pena di morte, pratica pure la
vendetta; perché che cos’è la pena di morte se non una vendetta? In tal caso, molti
omicidi sarebbero giustificabili.

Nel corso dei secoli anche la religione è divenuta causa di conflitti scoppiati tra
fazioni opposte, che, gridando il nome del proprio Dio, si uccidevano a vicenda. Ma,
certo, nessun Dio ha mai voluto né vorrà che i suoi fedeli ne uccidano altri per
dimostrare la superiorità di un credo.

I kamikaze che si fanno esplodere con carichi di tritolo, dopo aver indossato il
sudario bianco, dovrebbero farci riflettere sulle parole che un profeta ha lasciato in
eredità… ma anche non bombardare la nazione di coloro che credono di meritare il
paradiso, morendo per la propria fede.

Potrebbe rivelarsi un ottimo spunto di riflessione l’"essere o non
essere" di Amleto. Con altre parole: ha più valore una vita in cui non mi lascio
prevaricare dai soprusi altrui, o sono più forte nel momento in cui riesco a reprimere le
passioni i sentimenti violenti che mi turbano l’animo?

Federica Medda

Roma

Cara Federica, le tue considerazioni ci fanno venire in mente le parole di Giovanni, il
battezzatore e precursore della Salvezza: "Dopo di me verrà uno più grande, al
quale io non sono degno neppure di portargli i sandali (cfr. Mt 3, 11). È essenziale
credere in un "dopo" diverso dal presente, che però incomincia ora.

Inoltre, Federica, ti auguriamo di non scordare queste tue parole: "Il perdono non
è una debolezza di molti, ma una forza di pochi". Specialmente quando non avrai più
17 anni.

 

"Noi"

e le altre religioni

Egregio direttore,

sono un cristiano-cattolico e seguo fin dalla nascita la religione che nostro Signore
Gesù Cristo ha rivelato a tutto il mondo.

Ci sono però altre religioni, quali l’islam, l’induismo, lo scintornismo…
con il loro Dio e un programma di vita etico-religioso. Chiedo: quale religione vera ed
autentica dobbiamo seguire per ottenere la vita eterna? Dobbiamo accettare solo la
religione cristiano-cattolica, la legge di Mosè, la fede di Abramo, Isacco e Giacobbe che
credono in un solo Dio?

Giuseppe Monno

Bari

Anche a Gesù fu chiesto: "Che devo fare per avere la vita eterna?". E il
Maestro rispose confermando la legge di Mosè e attualizzandola con la parabola del
"buon samaritano" (cfr. Lc 10, 25-37).

Circa la salvezza nelle religioni non cristiane, il Concilio ecumenico Vaticano II è
esplicito: "Quelli che senza colpa ignorano il vangelo di Cristo e la sua Chiesa e,
tuttavia, cercano sinceramente Dio e con l’aiuto della grazia si sforzano di compiere
le opere e la volontà di Lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono
conseguire la salvezza eterna" (Lumen gentium, 16).

Su tale argomento si rilegga il dossier "L’alta teologia e il buon
senso" (Missioni Consolata, gennaio 2001).

 

Super-impegnati, ma…

Cari missionari,

da anni riceviamo Missioni Consolata, indirizzata ai figli Giorgio ed Elena: erano
ragazzini quando l’abbiamo ricevuta per la prima volta. Ora sono adulti e
super-impegnati. Io, che ho sempre letto la rivista con grande interesse, oggi per
problemi agli occhi mi devo limitare solo ai titoli. Ne sono dispiaciuta. Oltretutto, non
sono riuscita a trovare qualcuno che voglia leggerla.

Pertanto vi chiedo di sospendere l’invio del giornale. Ma non dimenticheremo i
missionari della Consolata, anche perché abbiamo un ricordo vivissimo di padre Domenico
Zordan.

Vi ringrazio perché, leggendo la vostra rivista, in questi anni mi sono
"arricchita" molto.

Giuseppina Kral

Zugliano (VI)

Carissima signora Giuseppina, faccia ancora un tentativo! Se i figli Giorgio ed Elena
sono veramente impegnati, non possono non seguire l’esempio della mamma e… leggere
anche Missioni Consolata.

 

"Yanomami"

e "macuxí"

Carissimi padres italianos Giorgio Dal Ben, Giacomo Mena e amigos indios yanomami e
macuxí, dalle rive del Sinni di Potenza a quelle del Rio Blanco di Boa Vista (Brasile) si
ode un solo grido: "Tenete duro!".

Franco Mele

Francavilla (PZ)

In altri termini: a luta continúa. Con speranza. Ne abbiamo parlato pure nel dossier
di luglio "Anche gli angeli perdono le ali".

 

I figli missionari?

Che gioia sarebbe!

Carissimi missionari,

siamo una famiglia con due bambini di nove e due anni e uno di quattro mesi. Il Signore
ci ha donato queste creature che, pur nella fatica del quotidiano, rappresentano la nostra
gioia.

Da tempo condividiamo le nostre povere cose con chi è più sfortunato di noi, con
coloro che hanno avuto solo la "colpa" di nascere con un colore diverso dal
nostro o in paesi piagati da guerre, fame e miseria.

Abbiamo anche sostenuto un’iniziativa di "adozione a distanza" con
un’organizzazione umanitaria, portata avanti fino a quando le nostre condizioni
economiche ce l’hanno consentito. L’interruzione, necessaria quanto dolorosa, di
questo tipo di aiuto non ha però spento in noi il desiderio di riprendere al più presto
il sostegno nei confronti di bambini in difficoltà.

Ed ecco il motivo della nostra lettera: ci rivolgiamo a voi, missionari, per avere
indicazioni e ragguagli al fine di iniziare nuovamente un sostegno a distanza,
possibilmente in un paese dell’Africa. Riteniamo che non esista modo migliore di
impiegare le proprie risorse economiche, in tempi in cui molti (troppi) ricercano sistemi
più o meno leciti per arricchirsi in una forma sempre maggiore.

A costoro vorrei umilmente ricordare che solo Gesù Cristo ha promesso interessi
esorbitanti: addirittura il centuplo! Sfido qualunque banca a promettere di più.

Una cosa ci farebbe particolarmente piacere, se rientra nelle normative che regolano le
adozioni a distanza: intrattenere con il bambino o la bambina adottati un rapporto
epistolare. Tale rapporto con i bimbi di un altro paese contribuirà a creare in famiglia,
soprattutto nei nostri figli, un’atmosfera di aspettazione e gioia, nonché la
consapevolezza che in un posto lontano c’è "un altro fratellino", che ha
bisogno delle medesime cose di cui hanno bisogno loro, con le loro stesse aspirazioni e
desideri.

E chissà! Forse un giorno i nostri figli potrebbero "farsi prossimo" in modo
ancora più concreto, non solo con aiuti economici, ma donando interamente se stessi ai
poveri e agli afflitti partendo come missionari.

Che gioia sarebbe!

Ultima richiesta: visto che non siamo ancora abbonati a Missioni Consolata
(l’abbiamo conosciuta in parrocchia), vi preghiamo di inviarci tutto il materiale per
riceverla regolarmente.

Mario Manescotto

Revello (CN)

Di tanto in tanto, attraverso la rubrica "provocazioni missionarie" della
rivista, lanciamo qualche invito esplicito alla missione. Ma il signor Mario ci ha
nettamente superati.

AAVV

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