REPORTER DI STRADA
Minute sacerdotesse e corpulenti ragazzoni
emigrati a Miami. Donne gravide e contadini. Colorati ministri di riti
misteriosi. Ogni anno a metà luglio un piccolo villaggio nel centro
dell’isola rigurgita di pellegrini. È la festa della beata Vergine del
Carmelo e degli spiriti dell’acqua.
Quel
giorno, a bordo di un potente fuoristrada, cercavo di raggiungere la
località di Sodò nel cuore di Haiti. In creolo, la lingua del paese,
significa «salto d’acqua» e avrei presto capito il significato di quel
nome.
Da
Mirbalais, sul plateau centrale, mi diressi verso ovest. La strada era
diventata poco più che un sentirnero, l’erba ai lati era alta e la
vegetazione intorno lussureggiante: strano per un paese in cui la foresta
tropicale è stata quasi interamente distrutta. Ogni tanto lo sterrato si
faceva pantano e l’automobile rischiava di restare bloccata nel fango.
Guadato un grosso fiume, grazie alle quattro ruote motrici e alla dovuta
rincorsa, arrivai a Ville Bonheur (letteralmente la città della felicità),
il secondo nome di Sodò. È un villaggio sperduto, non troppo grande e
neppure bello, ma occupa un posto centrale nella «spiritualità haitiana».
Con questo termine intendo quella complessa mescolanza di credenze e fede
che fanno, al tempo stesso, sentirsi cristiani e praticanti del vudù (vuduizanti),
in un sincretismo religioso che solo gli haitiani sanno capire.
Il miracolo e il vudù
Siamo a
metà luglio. Sodò è già piena di pellegrini e con essi mercanti, musici e
prostitute. Nella settimana che precede il 16 arrivano da tutto il paese e
anche dall’estero, per partecipare alla festa della Vyèj mirak (Vergine
del miracolo), Nostra signora del Carmelo.
Era il 16
luglio del 1843 quando apparve la Vergine Maria in cima a una palma. Ma la
chiesa locale negò il miracolo e la pianta fu tagliata. La gente del
popolo però incominciò a venire in quel luogo per pregare e chiedere
miracoli. Il curato decise allora di far sradicare il ceppo rimasto e si
dice che in seguito ebbe un incidente in cui perse le gambe. Nel 1881,
sempre il 16 di luglio, ci fu una seconda apparizione e da allora nessuno
cercò più di impedire il pellegrinaggio.
Ma la Vyèj
mirak è anche, nella religione vudù, il loà Erzuli-freda (Ezili), allo
stesso tempo spirito dell’amore e madre. La mitologia vudù è complessa.
Trae le sue origini da alcuni riti africani (radà, petrò, kongò), ma ha
aggiunto nel corso dei secoli ingredienti tipici haitiani ed è in continuo
divenire. I loà del pantheon vudù sono un’eterogenea schiera di divinità e
spiriti o geni. Vi sono quelli superiori, di origine africana,
riconosciuti da tutti, accompagnati da un’infinità di loà creoli, più
recenti e in continua evoluzione. I loà sono il legame tra il visibile e
l’invisibile e possono entrare nel corpo di un individuo per possederlo.
Sono gli intermediari tra Dio e l’uomo e sono capaci del bene e del male.
I fedeli cercano di propiziarseli per ottenere protezione e i favori più
diversi. Sono comunque tutti creati da Gran Mèt (il grande maestro, ovvero
Dio), per venire in aiuto agli uomini e qualcuno li definisce come angeli
un po’ ribelli. Alcuni, più maligni, vengono chiamati diab, diavoli.
Erzuli-freda è uno dei loà principali. Rappresentata come una bella
mulatta, appartiene al gruppo degli spiriti del mare e impersonifica la
bellezza e la grazia femminili. È civetta, sensuale e ama lusso e piacere.
La chiesa
bianca nel centro di Ville Bonheur è straripante di fedeli, che entrano,
pregano ed escono in un flusso continuo. È difficile riuscire a inserirsi.
Ma questi uomini e donne, ancor prima di venire qui sono stati a
purificarsi nel vero posto magico di Sodò: la grande cascata, il salto
d’acqua, poco lontano dal villaggio.
Verso il salto d’acqua
È la
vigilia della festa. Fin dalle prime ore dell’alba un colorato fiume di
gente crea un continuo andirivieni lungo la stradina sterrata che si
inerpica verso lo splendido santuario naturale. I colori forti degli
houngan e delle mambo – preti e sacerdotesse vudù – in smaglianti abiti
blu e rossi, bianchi e blu, verdi si mischiano a quelli dei contadini,
piedi nudi e cappello di paglia e della diaspora (haitiani che vivono
all’estero), con i loro pesanti braccialetti dorati, occhiali scuri e
vestiti americani. Le persone che vengono in pellegrinaggio a Sodò sono di
tutte le classi sociali e si ritrovano nella stessa settimana in questo
splendido angolo di Haiti.
«Bét sur
bét» (bestia su bestia) urla qualcuno per farsi largo nella folla
cavalcando goffamente un asinello. «Veniamo per pregare la Vyèj mirak,
affinché ci dia salute e fortuna negli affari».
Eddy e
Mariette sono una giovane coppia di Port-au-Prince, capitale di Haiti. Lui
è muratore, mentre lei lavora a casa. Hanno pochi vestiti addosso, ma
portano una borsa di plastica con nuovi indumenti. «Butteremo via questi
abiti durante la preghiera, per metterci quelli nuovi» dice Eddy. È una
purificazione che passa anche attraverso gli oggetti. Raoul Deorcely è di
Leogane, una cittadina a sud est della capitale. Dice di aver diciott’anni
ma sembra più giovane. Va alla preghiera per chiedere la possibilità (o il
miracolo) di poter partire all’estero e trovare un buon lavoro: «In questo
modo sarei in grado di aiutare la mia famiglia qui» ci dice.
Vicino,
una giovane donna urla a squarciagola: «Sto chiedendo alla vergine di
avere un bambino! Sono sposata, ma sto ancora aspettando». «Chiederò di
avere gioia e felicità per tutto l’anno» risponde un uomo di mezza età.
Saturazione dei sensi
Lungo la
strada, in alcuni luoghi, per noi casuali, piccole candele colorate sono
accese e piantate nella terra dalla gente in lenta marcia verso la
cascata. Qui si fermano a pregare un momento, legano un cordino colorato,
accendono il loro lumicino. Poi continuano. L’atmosfera spirituale è molto
forte. I nostri sensi sono tutti sollecitati, quasi saturati. Gli odori
sono intensi e i colori vivaci, quasi aggressivi. C’è chi sta in silenzio
con gli occhi chiusi e chi urla allargando le braccia. Come una striscia
di formiche in movimento verso il formicaio, anche noi immersi nel mezzo,
arriviamo nei pressi del luogo sacro.
In un
piccolo spiazzo dove l’erba è più brillante e l’aria si è fatta umida,
troviamo dei piccoli banchetti di legno, ricolmi di strana mercanzia. Sono
i venditori di oggetti sacri, essenziali nei diversi riti. A fianco dei
biscotti espongono candele di cera colorata: rossa, gialla, nera, cordini
blu e rossi o bianchi e rossi. Sono le offerte delle giovani donne a
Erzuli, la vera regina della festa, o agli altri spiriti dell’acqua. Ci
sono poi bottiglie che contengono strani liquidi ed erbe medicinali.
Talvolta immagini di santi e simboli di loà sono incollati come etichetta.
Speciali frasche sono vendute in gran quantità ai pellegrini di passaggio.
In un cantuccio, sopra a un ceppo, ancora candele accese e alcune anziane
mambo intorno.
Il bagno nella fortuna
La
splendida cascata naturale appare all’improvviso in fondo a una stretta
gola. È incoiciata da giganteschi alberi dalle lunghe fronde, in passato
comuni sull’isola caraibica, oggi una rarità.
Tutto è
immerso in un vapore di goccioline minuscole, che ti avvolge e ti bagna
senza che tu possa accorgertene. Un po’ ovunque si formano i colori
dell’arcobaleno quando un raggio spunta dalla sommità della montagna.
L’acqua spumeggia e poi scorre in piccole conche alla base della cascata,
fino a ridiventare un fiume. La gente sembra ora concentrarsi, cercando un
percorso per arrivare sotto i flutti. Uomini, donne, bambini si spogliano
di tutto, o quasi – mentre la gente della diaspora si riconosce dai
variopinti costumi da bagno – si spingono sotto la potenza dell’acqua che
cade da oltre trenta metri di altezza. Pregano, urlano, si lavano uno con
l’altro. Una donna strofina con le frasche il ventre gonfio dell’amica
gravida. Qualcuno cade in trance e si rotola nell’acqua, sulle rocce
muschiose presenti ovunque. È posseduto da uno spirito. Nella cascata
infatti abitano tutti i loa legati all’acqua. Damballah, il potente
dio-serpente associato ora con l’arcobaleno ora al lampo, a lui sono
dedicati alcuni grossi alberi – anch’essi, come è noto, rifugio dei
serpenti – sui quali i fedeli legano le cordicelle colorate, dopo averle
portate ai fianchi, accendono candele sul tronco e pregano. Con lui Aida,
sua moglie, e gli altri spiriti acquatici. Condividono il luogo di culto
con la vergine del Carmelo in un perfetto sincretismo.
Qui i
fedeli cercano il bagno di chance, una sorta di purificazione (lavaggio
dai problemi) ma anche un’immersione di forza spirituale che fortifica
contro i nemici e le avversità della vita. Si può fare a casa o in un
tempio vudù, ma funziona molto meglio in questi particolari luoghi sacri,
residenze dei loà. Si utilizzano erbe, piante e profumi che piacciono allo
spirito e si chiede la sua protezione. Tutto intorno a noi la gente si
lava con piccoli pezzi di sapone che poi abbandona su una roccia.
«Attenzione: non bisogna portarsi a casa il sapone – spiega una mambo –
lasciarlo sotto la cascata vuol dire lasciare tutto ciò che è male e di
cui volete liberarvi. Se un pellegrino non ha il sapone è meglio che si
lavi senza: se ne raccoglie un pezzo rischia di prendersi tutti i problemi
di chi lo ha lasciato lì!».
Per una
vita migliore
«Prendiamo
un po’ d’acqua in un bidone per mia madre – dice Etienne, un bambino
venuto qui dalla capitale con il suo cuginetto – è a casa malata e noi
siamo venuti qui per pregare per lei». Marie-Jò, una giovane donna dell’Artiboinite
(l’unica ampia pianura del paese, zona di contadini e di riso), viene qui
ogni anno e prega la Vergine (o Erzuli) di allontanare da lei tutti i
problemi. «Chiediamo una nuova casa – sostiene Marie-Héléne, con la sua
amica Louise che ha in braccio un bimbo – siamo di Cité Soleil (la più
grande bidonville di Port-au-Prince, ndr) e abbiamo perso la nostra casa.
Abbiamo tre bambini ognuna e i nostri mariti ci hanno lasciate. Cosa
possiamo fare?».
Mentre
qualcuno si sta rotolando nell’acqua, urlando e piangendo, un’anziana
cerca di uscire dalla folla sotto i flutti. Ha un mucchietto di terra
coperto di muschio nella mano sinistra, «La porto a una malata del mio
villaggio. Penso che la aiuterà». Dietro di lei un uomo corpulento ride e
dice in misto creolo-inglese, tipico della diaspora: «Sono di Okap (grande
città del nord, ndr), ma vivo a Miami. Mi piace venire a questa festa ogni
volta che posso». Va via con un grosso stereo portatile sulla spalla.
Tutt’intorno
luoghi di culto, pieni di candele e gente in preghiera. Sotto la cascata
lo spettacolo è impressionante: una massa di persone, quasi nude, assieme
senza distinzione di classe sociale e luogo di origine, ma ognuno con la
sua preghiera o qualcuno solo per divertirsi. E anche noi, che vuduizanti
non siamo, restiamo rapiti da un’atmosfera di sacralità profonda, che
ancora non riusciamo a capire.
Audétte ha
tre figli da tre papà diversi. Fa la commerciante di strada in capitale ed
è partita da Port-au-Prince con due amiche. Hanno affrontato il viaggio
nel cassone di un camion per raggiungere Sodò e pregare la vergine-loà.
«Mamma Vyèj mirak è una donna, conosce il dolore dei bambini e i problemi
delle donne come lei» ci racconta sotto un rovescio.
Alla
cascata cerca una vita migliore. Mentre si bagna elenca tutte le
difficoltà che l’acqua deve portarsi via: malattie, usura, affitto della
baracca, un marito che ha abbandonato i figli, i problemi con i vicini.
Quando ha finito lascia una moneta per lo spirito dell’acqua. Ora il suo
volto è sereno. Pensa che i suoi problemi siano svaniti ed è tornata a
riempirsi di speranza. In un certo senso, il miracolo la Vergine del
Carmelo, Erzuli e i loà acquatici – in una parola la Vyèj mirak – lo hanno
già fatto.
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Breve vademecum vudù
Vudù (o
vodù): religione sincretica che trae le sue origini dalla spiritualità
africana e si evolve ad Haiti. Da non confondere con il vudù praticato in
paesi come Benin (Dahomey) e Nigeria, da cui si origina, ma si differenzia
per l’evoluzione creola e i legami con i santi cristiani.
Loà: sono
le divinità e gli spiriti del vudù e fanno parte del pantheon vudù. Ne
esistono un’infinità e sono in continua evoluzione. I principali,
riconosciuti da tutti, hanno origini africane; gli altri sono creoli, meno
potenti, ma fondamentali. Gli uomini chiedono ai loà protezione e questi
li «posseggono» durante i riti. I loà sono capaci del bene e del male e
collegano il visibile con l’invisibile. I diab sono gli spiriti cattivi.
Molti loà sono associati a santi cristiani.
Radà,
petrò, kongò e gli altri: i primi due sono i riti principali del vudù
haitiano secondo i quali si classificano i loà. Nel radà si ritrovano
alcuni spiriti del Dahomey; il petrò ha spiriti più vendicativi e
utilizzati nella magia. Il kongò ha origini bantu, prevede sacrifici e
riti più violenti. Esistono altre innumerevoli classificazioni, ma nessuna
universale. Ogni categoria ha ritmi di tamburo, strumenti, danze, profumi
e saluti propri.
Mambo e
hungan: sacerdotessa e prete vudù (questo chiamato anche boko) sono i
maestri dei riti.
Erzuli-freda: spirito della bellezza e della sensualità, ma anche
dell’amore materno. È uno spirito del mare e delle acque. Ha tutte le
caratteristiche di una bella donna ed è associato alla Madonna. Esistono
altre Erzuli, sempre femminili ma con caratteristiche diverse.
Damballah-redo: è il dio-serpente, vive sugli alberi e nei corsi d’acqua.
È una delle divinità più popolari del vudù haitiano. Il colore bianco è
suo simbolo ed è padrone dell’argento. È lui che dà la ricchezza. Sua
moglie Aida-redo: è anch’essa uno spirito acquatico.
Bains de
chance: sono i bagni della fortuna che i fedeli del vudù fanno per
propiziarsi i loà e ricevere grazie e protezione.
Vévé: è il
disegno simbolico che raffigura tutti gli attributi del loà. Viene
tracciato durante le cerimonie per richiamare lo spirito.
Potò-mitan:
oggetto sacro è il palo situato al centro del peristilio e la via dei loà
per scendere, durante i riti, dal cielo alla terra.
Ma.Be.
Marco Bello