GRAZIE, MR. BUSH!

Il surriscaldamento della terra e le scelte miopi del nuovo presidente statunitense. Si accoderà anche l’Italia di Berlusconi?

L’uso
indiscriminato dei combustibili fossili e il conseguente aumento della
temperatura del pianeta costituiscono un vero pericolo. I modelli al
calcolatore e le simulazioni, effettuate da centri di ricerca, concordano
nel prevedere aumenti della temperatura media che variano, secondo i
laboratori, da 1,5 a 4,5 gradi centigradi in questo secolo. A queste
conclusioni sono giunti gli scienziati dell’Hadley Centre dello Uk
Meternorological Office, quelli dell’Ufficio svizzero dell’ambiente e l’Intergovemental
Panel on Climate Change dell’ONU.

La
valutazione sugli incrementi di temperatura deriva dall’ipotesi di un
raddoppio del consumo di combustibili fossili nel corso del secolo: una
proiezione ragionevole, difficilmente smentibile, se non grazie a scelte
politiche coraggiose che coinvolgano tutte le nazioni. L’aumento di
temperatura avrebbe conseguenze molto gravi: crescerebbe il livello del
mare (con una drastica riduzione delle aree agricole), sparirebbero boschi
e foreste dalle zone temperate, si scioglierebbero i ghiacci perenni delle
regioni polari, si intensificherebbero le precipitazioni e assisteremmo a
violente manifestazioni meternorologiche.

 

A fronte
di scenari così inquietanti, l’amministrazione Bush si è opposta al
trattato internazionale di Kyoto (dicembre 1997), il protocollo secondo
cui i paesi industrializzati (tra cui l’Italia) dovrebbero diminuire
l’emissione dei gas che, come il biossido di carbonio, intrappolano il
calore realizzando l’effetto serra. Nonostante gli Stati Uniti siano
firmatari del protocollo, il presidente George W. Bush non lo ha
sottoposto al senato per la ratifica. Il trattato, secondo la Casa Bianca,
danneggerebbe l’economia degli Usa.

La signora
Christie Whitman, dell’Agenzia statunitense per la protezione
dell’ambiente, ha cercato invano di avere dall’amministrazione istruzioni
sulle risposte da dare agli alleati occidentali sulla nuova politica
statunitense circa l’uso incontrollato dei combustibili fossili. E, dato
il silenzio, al meeting di Montreal sulla politica ambientale Whitman ha
dichiarato che sarebbe stato più saggio, da parte della Casa Bianca,
esprimere la presa di posizione contro il trattato di Kyoto solo dopo aver
elaborato una strategia alternativa. Non aveva torto Whitman. Ora infatti
l’amministrazione Bush  cerca suggerimenti, consultando scienziati,
economisti e imprenditori in una trafelata azione di recupero.


All’imbarazzo seguito a scelte ambientali discutibili, si aggiunge il
problema della crescita dei prezzi dell’energia. La questione è grave in
Califoia (sesta potenza industriale del mondo), dove il governatore
Davis e l’opinione pubblica accusano l’ex petroliere Bush di favorire una
deregulation (liberalizzazione) del mercato che arricchisce i produttori
del Texas, il suo stato.

Per far
fronte alle crescenti richieste di energia, l’amministrazione Bush ha
pensato di dare il via alla costruzione di nuovi impianti nucleari.
Ebbene, secondo riviste americane conservatrici (quali Forbes), nel
passato gli investimenti statunitensi nel nucleare avrebbero causato solo
perdite. I costi di costruzione e gestione sono stati assai superiori alle
aspettative: e questo sia per errori sia per ragioni tecnologiche. Il vero
problema – si sa – è quello delle scorie. Il loro esaurimento richiede 500
anni! Dove conservarle nel frattempo?

 

La
questione, in realtà, non è affatto controversa: ben 5 laboratori
americani hanno dimostrato che il risparmio e l’efficienza, più che nuove
centrali nucleari, potrebbero rappresentare la vera soluzione alla crisi
energetica. Nuove tecnologie sul risparmio potrebbero ridurre il
fabbisogno statunitense dal 20 al 47%: una diminuzione corrispondente a
265 centrali da 300 megawatt.


All’osservatore imparziale risulta poco chiaro che cosa impedisca
all’amministrazione statunitense di percorrere quella che, agli occhi di
tutti, è la strada più ragionevole. Soprattutto quando scopre che gli
Stati Uniti, con una popolazione pari al 5% del totale, sono responsabili
del 24% dell’emissioni inquinanti mondiali e che il consumo medio annuo di
energia di uno statunitense è doppio di quello di un europeo e pari a
quello di 16 africani.

 

(*)
Fisico, Maurizio Dapor lavora a Trento. Oltre a numerosi articoli
pubblicati su riviste scientifiche inteazionali, è autore di due libri
usciti per «La Stampa»: «L’orologio di Albert» (1998) e «Sfere di
cristallo» (1999).

Maurizio Dapor

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