Signor direttore,
sono stupefatto nel leggere, oltre ad ascoltare, di tante persone che descrivono Berlusconi come un alfiere della libertà e del progresso. Costoro alimentano una confusione terribile tra «liberalismo» e «neoliberalismo».
Innanzitutto una precisazione doverosa, per evitare ulteriori confusioni e distinguere in maniera chiara in quali «acque stiamo nuotando».
Il liberalismo nasce come un fenomeno di emancipazione (della borghesia), con un senso di libertà e progresso di fronte alla monarchia assoluta e al feudalesimo. Invece il neoliberalismo non si afferma contro un governo reazionario, ma ha un forte sentimento di conservazione, rifiuta la politica come qualcosa di sporco e, soprattutto, domina il grande capitale.
Anche il tratto psicologico è diverso: rispetto alla società del liberalismo, in quella del neoliberalismo c’è ansietà, paura di quelli che vivono in «basso» e si difende la propria nicchia di benessere. A tale proposito, lo studioso tedesco E. Fromm diceva che esistono solo due grandi partiti nella storia: quello della speranza e quello della paura. Nel primo le persone lottano per un futuro migliore dell’umanità, rifiutano lo status quo e il sistema vigente perché non lo considerano umano. Le persone del partito della paura, invece, cercano rifugio nel passato, nelle nicchie dove possono proteggersi di fronte ad un futuro che non conoscono.
A mio avviso, stiamo vivendo in un periodo di oscurantismo culturale, sociale ed economico chiamato neoliberalismo, che ha ereditato troppo poco dal liberalismo. Questo sistema è capeggiato a livello internazionale dalla Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione mondiale per il commercio. In Italia il suo degno rappresentante politico si chiama Silvio Berlusconi, leader del «partito della paura».
Intendiamoci: non considero Berlusconi un’appendice nazionale delle organizzazioni mondiali menzionate, bensì il prodotto della loro cultura e, in particolare, di coloro che danno dignità e rappresentanza al partito della paura descritto da Fromm. Perché?
Perché si auspica che la competizione di mercato possa regolare tutti i rapporti economico-sociali, escludendo ogni forma di mediazione che metta in contrasto con il «Dio denaro» e il «Dio successo».
In Perù ho assistito all’instaurazione del regime neoliberalista di Alberto Fujimori, che della paura fece il partito della farsa e dell’inganno. Ho anche visto, a causa delle privatizzazioni selvagge, le scuole trasformarsi in privilegio per pochi e gli ospedali diventare un business per i più facoltosi, anziché rappresentare un diritto e un patrimonio sociale collettivo. Infine ho costatato che la precarietà di ogni giorno può, nei soggetti deboli, cambiare i rapporti fra le persone, la cui regola di vita diventa il peggiore individualismo, sinonimo di paura.
Personalmente mi considero un tesserato del «partito della speranza» e spero di essere in numerosa compagnia con tanti lettori di Missioni Consolata, affinché i «partiti della paura» siano sconfitti nelle prossime elezioni.
Gabriele Vaccaro
Comiso (RG)
Ai vincitori delle ultime elezioni ci permettiamo, con il signor Gabriele Vaccaro, di rivolgere un invito.
«Per vincere “il partito della paura”, si deve rompere con l’individualismo neoliberalista, e cioè: aprirsi alla solidarietà, passare da un mondo che ha il suo epicentro nell’“io” ad uno che parta dall’“altro”. Un “io” che si riscopra di fronte all’altro, dando priorità a una relazione che permetta di rivendicare la propria libertà, ma che non esiga la subordinazione degli altri».
Gabriele Vaccaro