RUSSIA – La fabbrica dei barboni

Secondo il Ministero del lavoro e dello sviluppo, sono una massa grigia di vagabondi maleodoranti, ubriaconi ed accattoni, con un’innata renitenza al lavoro e una spiccata tendenza a delinquere. Così certamente «appaiono». Ma si scopre pure
che sono stati «fabbricati» da eventi non casuali: quando si sottrae loro la casa
o vengono truffati «legalmente», quando si impongono leggi da servitù della gleba…
E non è tutto. Qualcuno rema a favore dei barboni, per fortuna.

UNA BRUTTA PAROLA

Se ne cominciò a parlare all’inizio degli anni Novanta. Fu allora che nel vocabolario dei russi entrò un nuovo termine, alquanto goffo, come tutte le parole-sigla di cui è pieno il linguaggio sovietico:
BOMZH, Bez Opredelennogo Mesta Zhitel’stva, ovvero «senza fissa dimora». In breve, barbone.
Il termine riflette nel suono, così tristemente burocratico, le caratteristiche di un fenomeno presente in tutti i paesi del mondo. Ma in Russia, per molta parte, bomzh non si diventa a seguito di disavventure familiari, rovesci finanziari, immigrazioni da paesi stranieri, oppure di scelte di vita. Il bomzh è sovente il prodotto delle leggi statali, dell’incuria e dell’arbitrio di funzionari governativi e pubblici ufficiali.
Dunque, all’inizio degli anni Novanta, con la fine del comunismo, il fenomeno dei senzatetto s’impose all’attenzione generale. Si collegava il fatto alla privatizzazione degli appartamenti, fino allora proprietà statale o di cornoperative. Era questo un atto quasi formale: le persone si vedevano riconoscere, dopo il pagamento di pochi rubli, la proprietà dell’appartamento o delle stanze in cui abitavano.
Con il ritorno della proprietà privata, fiorì un aggressivo mercato del mattone. E cominciarono a circolare per Mosca storie cui si stentava a credere: storie di alcolizzati che, in un momento di coscienza obnubilata, vendevano per un pugno di rubli il proprio appartamento e quello dei loro figli, buttati sul pianerottolo di casa; storie di anziani che d’improvviso morivano, lasciando così libera la propria stanza; storie di famiglie indotte, dietro regolare contratto di permuta, a trasferirsi in un altro alloggio che… non esisteva.
Pareva che l’origine dei bomzhi fosse da attribuire alla spregiudicatezza di un capitalismo senza regole, da Far West, che stava aggredendo tutti i settori dell’economia nazionale. Però, man mano che il tempo passava e il popolo dei barboni cresceva, diventava sempre più difficile credere che quella fosse l’unica causa di un fenomeno che assumeva proporzioni gigantesche.
Secondo dati ufficiali, nella sola Mosca erano 30 mila nel 1992; 100 mila nel 1995. Oggi superano i 4 milioni in Russia.

I «bomzhi» da prigione

A leggere i documenti del Ministero del lavoro e dello sviluppo sociale o le disposizioni emanate dalle autorità dello stato, i bomzhi sono una grigia massa di vagabondi maleodoranti, ubriaconi e accattoni per un’innata renitenza al lavoro e una spiccata tendenza a delinquere. Ma è proprio vero?
Giacché lo stato per lo più finge di ignorare il problema, per capire chi sono i senzatetto bisogna rivolgersi alle organizzazioni umanitarie. Grazie ai loro sforzi e ai dati di cui dispongono, possiamo farci un’idea meno approssimativa del fenomeno.
Sono diversi i motivi per cui ci si ritrova su una strada: problemi familiari; la chiusura di imprese e la conseguente perdita dell’alloggio aziendale; perché si è vittime di truffe immobiliari; perché dalle repubbliche ex-sovietiche si viene in Russia a cercare lavoro; perché si perde il documento d’identità; perché si esce di prigione.
Da questo elenco già s’intuisce che, per capire il problema dei senzatetto in Russia, è necessario riferirsi alla realtà del paese, in cui pesa ancora molto il recente passato sovietico. Esiste un dato che può sembrare sorprendente: il 35% (40% dopo l’amnistia di maggio 2000) dei senzatetto in Russia è costituito da ex detenuti. E, per spiegarlo, bisogna fare un passo indietro.
Nell’ex Unione Sovietica tutte le abitazioni appartenevano allo stato; quando, per motivi di lavoro, servizio militare o lunghe detenzioni, ci si trasferiva altrove, si perdeva la residenza e il diritto all’alloggio; in caso di ritorno, se ne sarebbe ricevuto un altro. Già allora il sistema funzionava a corrente alternata: bene in un senso e meno bene in quello opposto.
Se l’URSS ha cessato di esistere nel 1991, la sua macchina amministrativa ha però continuato a funzionare oltre questa data, alimentata da mentalità e abitudini radicate. Solo nel 1995 è stata abolita la legge che privava del diritto all’alloggio una persona che restasse assente da casa oltre sei mesi. Ciononostante, nei confronti dei condannati a più di sei mesi di reclusione, ancora oggi si applica arbitrariamente la vecchia disposizione. L’ex detenuto che ritorna, se non ha una famiglia che lo accoglie, si ritrova su una strada.
Nella sola Pietroburgo ogni anno ritornano dal carcere 8-10 mila individui. E molti non sanno dove andare. Non rimane che mettersi in lista per l’assegnazione di un alloggio in quanto nullatenente. La legge, infatti, ne riconosce il diritto a tutti, sebbene, non fissando i tempi di esecuzione, lo neghi in pratica.
Vale da esempio il caso di Valerij, classe 1958, pietroburghese. Nel 1993, mentre era in carcere e i genitori morivano, il suo appartamento è tornato all’amministrazione rionale. Rientrato in città, Valerij ha chiesto un’altra abitazione. «È impossibile – si è giustificata la commissione-case -, data la grande carenza di alloggi nel quartiere». Con chi se la poteva prendere Valerij? Non certo contro l’amministrazione, che ha accolto la sua richiesta, ma cui la legge non impone un termine entro cui esaudirla.
Non sono solo gli ex detenuti a restare senza un tetto a causa di assurdi meccanismi legislativi. Nella medesima situazione si trovano i russi che tornano a casa dopo una residenza in altre regioni del paese. Un altro esempio.
Tempo fa una famiglia di Mosca partiva per le ingrate regioni del nord, dove il lavoro era ancora ben remunerato. Ha lasciato a casa il nonno, che però è morto senza aver privatizzato l’appartamento, passato così all’amministrazione cittadina. La famiglia, quando quattro anni fa è tornata, non ha trovato più niente. Ora i genitori hanno un letto al dormitorio pubblico e i figli vivono all’orfanotrofio.
Per non parlare di truffe
Ci sono altri motivi per cui una persona può perdere la casa. Ho già accennato al fatto che con la privatizzazione degli appartamenti sono iniziate pure le truffe immobiliari. Secondo dati di Medici senza frontiere e Caritas, ne è vittima circa il 15% dei senzatetto. È un tipico postumo del periodo sovietico.
In un paese dove per decenni l’unica proprietà possibile era statale e le istituzioni erano infallibili per postulato, i cittadini hanno perso completamente il «senso giuridico» della proprietà privata e acquisito, nel contempo, la convinzione che tutto ciò che ha apparenza istituzionale (un pezzo di carta con timbro e bollo) sia di per sé degno di fede. Così la gente si è lasciata raggirare facilmente.
Le truffe rimangono spesso impunite. Polizia e procura non dimostrano un particolare zelo nello smascherare e perseguire i colpevoli, anche perché vi sono spesso coinvolti colleghi e funzionari del Ministero degli interni o dell’amministrazione statale. È difficile per le vittime raccogliere le prove sufficienti a dimostrare la truffa. Inoltre, data l’ignoranza delle leggi, è indispensabile l’assistenza di un avvocato, per molti un onere troppo costoso.
Per aiutare le persone in tali condizioni, è nata nel 1994 l’associazione Novyj dom («Una nuova casa»), che offre assistenza legale gratuita a chi non se la può permettere. È costituita da professionisti che vi dedicano le ore della sera, al termine della giornata di lavoro. «Altrimenti non potremmo sostentarci – spiega uno di loro, Aleksandr Kotov -, perché non riceviamo quasi finanziamenti dall’esterno».
Nessuna targa sulla strada indica la sede: si trova al piano terra di un appartamento e gli inquilini del palazzo mal sopportano Novyj dom, con quel viavai di gente di ogni tipo. «Lo stato non ci aiuta in alcun modo, non ci accorda nemmeno le esenzioni fiscali che spettano alle organizzazioni benefiche. Per essere ufficialmente riconosciuti come tali, avremmo dovuto dare una tangente, ma ci siamo rifiutati. Per ben tre volte abbiamo provato ad avviare la pratica, ma abbiamo sempre dovuto rinunciarvi».
Aleksandr mi racconta uno dei tanti inverosimili casi capitati.
Un uomo viene fermato per strada con un pretesto e condotto al comando di polizia, dove è trattenuto per un mese. Nel frattempo gli tolgono il documento d’identità, che non gli verrà più restituito. Quando viene rilasciato, l’uomo corre a casa e trova la porta sbarrata: la chiave non entra più nella serratura. Ritorna alla polizia, ma trova altre persone. Quando dichiara le proprie generalità (che ora senza documento non può più provare), gli dicono che lui non è lui, che la persona per cui si «spaccia» ha venduto il proprio appartamento un paio di settimane prima e si è trasferita altrove… Adesso il gioco era chiaro: mentre si trovava sequestrato dalla polizia, qualcuno ha venduto il suo appartamento servendosi del suo documento.
Grazie a Novyj dom, quell’uomo ricupererà la casa. Ma questo è solo uno dei pochi episodi a lieto fine. Anche quando si arriva al processo, l’iter è lungo e difficile, perché bisogna rompere le reti di connivenze. Si può farcela, ma nel frattempo l’interessato può sparire chissà dove, nel tentativo di sopravvivere senza una casa, travolto dalla vita randagia cui è stato costretto.
imprese e orfani
Una discreta percentuale di senzatetto (15%) perde la casa in seguito alla perdita del lavoro. Però non è solo un problema di disoccupazione.
In Russia la mancanza di case è sempre stata cronica. Per tale motivo, nel tempo sovietico diverse imprese statali mettevano a disposizione dei dipendenti un alloggio in un pensionato aziendale: anche solo una stanza o un letto. Per i lavoratori, oggi, una delle conseguenze più gravi del fallimento o della privatizzazione delle imprese è essere privati di un tetto, che è molto difficile rimpiazzare.
In Russia c’è parecchia gente che vive in appartamenti di «coabitazione», dove le stanze sono occupate da vari nuclei famigliari, mentre bagno e cucina sono in comune. Si aggiunga che, negli ultimi anni (specie a Mosca), i prezzi degli affitti sono al di sopra delle possibilità di una famiglia media. Ciò spiega perché tanta gente perda la casa.
Molte giovani coppie si vedono costrette a convivere con genitori o suoceri. E accade che, quando uno della famiglia se ne va per dissidi o perché si divorzia o (peggio ancora) perché si è minacciati da estranei introdottisi in casa (la convivente del figlio, il convivente della madre o della moglie), l’individuo abbia serie difficoltà a trovare un’altra sistemazione. Così finisce facilmente sulla strada.
Poi ci sono coloro che non hanno quasi mai avuto una casa. Sono i tanti bambini che crescono negli orfanotrofi.
In questi ultimi anni la Russia è diventata uno dei paesi cui maggiormente ci si rivolge per adozioni inteazionali. Dove vanno i bimbi che escono dagli orfanotrofi? Chi vi è giunto direttamente dal reparto mateità di un ospedale, non avendo mai avuto un alloggio, non ha neanche diritto ad essee reintegrato (la logica non fa una grinza); gli altri dovrebbero ricevee uno, ma sovente non accade.
Un tempo questi ragazzi venivano mandati a lavorare in fabbrica, e ricevevano pure un letto. Oggi passano direttamente dall’orfanotrofio alla strada. Date le condizioni precarie in cui si trovano, finiscono prima o poi per commettere un reato; e in poco tempo si ritrovano in prigione o in una colonia di rieducazione. Per lo stato è meglio tenerli lì che procurare loro un alloggio.
Il problema si ripresenta quando devono uscire dalla prigione. «Non vogliono andarsene – afferma Aleksandr di Novyj dom, che sta cercando di aiutare le ragazze detenute in una colonia penale nei pressi di Rjazan’. Chiedono di rimanere a lavorare in carcere. Il direttore, che è un brav’uomo, fa di tutto per aiutarle, ma egli stesso ha grossi problemi a mandare avanti la colonia… con le magre dotazioni statali».
Come marziani dal cielo
La Caritas usa una strana espressione: «vittime di furto». Il problema non è economico: sarebbe troppo comprensibile. I soldi questa volta non c’entrano.
Ebbene, basta poco per entrare nella grande «famiglia» dei senzatetto: basta, ad esempio, perdere il documento di identità lontano da casa.
Molte sono le persone che vengono in Russia da altre repubbliche ex sovietiche in cerca di lavoro. Lasciano la loro casa in Ucraina, Moldavia, Bielorussia, Armenia… sperando di farvi ritorno dopo qualche mese con un po’ di soldi. Arrivano e, tanto per cominciare, passano le prime notti in una stazione. Per 25 rubli viene data loro una cuccetta in un vagone parcheggiato su un binario morto. Qui i furti sono all’ordine del giorno.
Qualcuno nota gli sprovveduti novellini e ruba loro la borsa con soldi e documenti. Che fare? Ritornare a casa senza un soldo sarebbe una vergogna; né potrebbero farlo, anche se avessero il denaro sufficiente per acquistare un biglietto: senza documento non glielo vendono. Se decidessero di farsi mandare dei soldi da casa, non potrebbero poi ritirarli alla posta senza la carta di identità. Per ottenere un nuovo documento occorrono mesi, se non anni: bisogna aspettare che arrivi il fascicolo personale, custodito all’ufficio passaporti del luogo di residenza. I rapporti tra le istituzioni russe e quelle delle altre repubbliche sono poco collaborativi, per non dire ostili. Inoltre gli stessi uffici passaporti russi non sono modelli di efficienza.
In identiche condizioni si possono trovare i russi, venuti a Mosca dalle lontane province in cerca di lavoro, o per sbrigare una pratica o per cure mediche. Se perdono il documento, si ritrovano nel proprio paese come marziani piombati dal cielo.
Nel frattempo bisogna vivere: ottenere un lavoro regolare senza documenti è impossibile. Rimangono i lavori neri, sottopagati e rischiosi, perché invece della paga puoi ricevere una manica di botte. È un’esperienza quotidiana. Tanto, senza documenti, sei nessuno: non puoi andare in tribunale né rivolgerti ad un pronto soccorso o un ambulatorio, se ti succede qualcosa.
È difficile anche trovare un alloggio. Per legge è vietato ospitare persone prive di documenti o senza registrazione. Chi lo fa viene multato. A Mosca i dormitori pubblici accettano solo moscoviti o ex moscoviti, naturalmente in possesso di documenti.
Infine, se ti fermano per strada per un controllo (cosa molto probabile, perché il tuo aspetto non passa inosservato all’occhio attento dei tutori dell’ordine), trovandoti senza documenti finisci quasi certamente in un luogo chiamato «Centro raccolta e smistamento».
Proprio come un pacco.
(Continua nel prossimo numero).

IL CERCHIO SI CHIUDE SEMPRE

A nno 1917. Dopo la rivoluzione d’ottobre il nuovo regime, tra le varie istituzioni considerate borghesi, abolì anche il sistema dei passaporti interni, l’equivalente delle nostre carte d’identità. In seguito questo sistema non solo fu reintrodotto, ma il rilascio del documento fu condizionato al luogo di residenza: si proibiva ai cittadini sovietici di risiedere in un luogo diverso da quello registrato. La registrazione si chiamava propiska.
Veniva così risuscitato un istituto della servitù della gleba, quando il contadino non aveva il diritto di abbandonare la terra su cui viveva.
L’obbligo della «propiska» aveva in URSS un fine analogo: impedire al contadino di abbandonare le campagne collettivizzate. La legge vietava di trasferirsi da un luogo all’altro senza avere prima il permesso di soggiorno. Tale permesso si otteneva solo se si contraeva il matrimonio con persona già residente o se si aveva un lavoro; ma nessun lavoro veniva offerto senza un permesso di soggiorno. E il cerchio si chiudeva.
Con la fine dell’URSS, il concetto di «propiska» è formalmente decaduto, ma nella pratica è più vegeto che mai (oggi si chiama «registrazione»), in aperto contrasto con le libertà garantite dalla nuova costituzione. Il caso di Mosca è il più eclatante.
Ogni cittadino della Federazione Russa che arrivi nella capitale per qualsiasi motivo (turismo, visita a parenti, cure, rientro temporaneo dall’estero) è tenuto a registrarsi presso la questura. È come se un italiano, in visita a Roma, dovesse segnalare il suo arrivo alla polizia, che può a propria discrezione negargli il permesso di soggioare in città… La registrazione è una disposizione (anticostituzionale) del sindaco di Mosca, Luzhkov, che viene puntualmente fatta rispettare in barba a tutto e a tutti.
Due poliziotti fermano un passante d’aspetto caucasico, o dall’aria provinciale o male in aese (probabilmente un bomzh) e controllano i suoi documenti. Controlli illegali, ma per essere lasciati in pace bisogna «sganciare»… Scene del genere si vedono in continuazione per le vie di Mosca: nei punti di maggior traffico, nei mercati, davanti agli ingressi della metropolitana.
La prassi ha anche il piacevole (per le autorità) effetto di creare nel cittadino un sentimento d’insicurezza. Davanti al poliziotto, il rappresentante della legge, ci si sente sempre nel torto.
D unque, senza un luogo di dimora fisso, è molto difficile ottenere il documento d’identità. E, senza il documento d’identità, non sei nessuno: sei un non-uomo. E il cerchio si chiude un’altra volta.
Come s’è visto, senza un documento non puoi avere un alloggio regolare, e non solo. Non puoi avere un lavoro: il datore sarebbe multato. Senza un documento e relativa registrazione, ti vedi rifiutare l’assistenza ambulatoriale (è prestata secondo la residenza), non puoi votare (gli elenchi elettorali sono formati con riferimento ai residenti), né puoi rivolgerti al tribunale o acquistare un biglietto aereo o ferroviario; non puoi ottenere la pensione o altri sussidi statali (si ricevono in base alla residenza), né puoi usufruire di strutture pubbliche quali ospizi, pensionati per invalidi (è richiesto un certificato medico che per te è impossibile ottenere); non puoi essere iscritto sulle liste di disoccupazione (gli uffici di collocamento accettano solo i residenti nel territorio).
In compenso, puoi essere fermato per la strada dalla polizia e trattenuto (illegalmente) fino a 30 giorni.
Ecco il potere dei documenti d’identità e «propiska» in Russia. E si capisce quale terribile fatalità sia rimanee senza.
Una fatalità che agli ex detenuti tocca quasi sempre affrontare. All’uscita del carcere essi dovrebbero, per legge, ricevere un nuovo documento d’identità. Ciò avviene nel 5% dei casi. Per il resto viene consegnato solo il certificato di rilascio dalla prigione, che al primo controllo per strada può venire stracciato da qualche poliziotto arrogante. Sì, perché la polizia spesso straccia o requisisce certificati e documenti d’identità.
Molti scontano il periodo di detenzione lontano dalle loro case; per tornarvi devono fare parecchia strada e, in breve, i pochi soldi finiscono. Allora vengono a Mosca in cerca di un lavoro per proseguire. Ma non ce la fanno, perché si ritrovano senza documenti, cioè senza diritti.
Il cerchio si chiude sempre.
Bi.Ba.

Biancamaria Balestra