Urgenti e scottanti
Inculturazione
Prima di parlare di inculturazione (radicare il messaggio evangelico nella cultura locale), serve avere una buona comprensione del cristianesimo; poi si può scegliere ciò che nel costume non ne travisa le regole. L’inculturazione va fatta con coscienza. Poiché nella cultura africana la fede cristiana ha una storia breve, penso che la gente non sia pronta per tale discorso, che comunque va attuato passo dopo passo.
Oggi l’esistenza di molti cristiani in Tanzania è caratterizzata da una profonda dicotomia tra la professione della fede cristiana e il concreto vivere quotidiano. Mentre teoricamente la fede può essere espressa in modo ortodosso, la vita contraddice spesso la fede: si rimane meravigliati dalla coesistenza di atteggiamenti antitetici in un individuo. Una duplicità a livelli così fondamentali necessariamente causa sofferenze: a livello psicologico e socio-relazionale.
La situazione che ne consegue è paragonabile a quella dell’indemoniato di Gerasa, descritta dall’evangelista Marco al capitolo 5. Il pover’uomo, da una parte si sente attratto dalla persona di Cristo e, dall’altra, chiede che il Maestro lo lasci solo… La condizione in cui si trovano molti cristiani necessita del messaggio salvifico di Cristo. Bisogna attuare un’inculturazione autentica del messaggio evangelico nella vita del popolo. In questo processo, Cristo ed il suo vangelo devono avere precedenza assoluta.
Se non ci si basa solidamente su questo principio, si finirà solo con il «battezzare» istituzioni culturali che hanno causato sofferenza e paura, intromettendosi nella concezione tradizionale di vita della gente. In questo modo priveremmo il messaggio evangelico del suo potere salvifico e liberatorio.
Polycarp Pengo
arcivescovo di Dar es Salaam
Musulmani
Il rapporto tra cristiani e musulmani è la questione più rilevante in Africa. In generale abbiamo sempre mantenuto buone relazioni; ma negli ultimi 15 anni alcuni gruppi di fondamentalisti islamici hanno creato problemi. Il governo sostiene che i movimenti sono sotto controllo. Ma, durante le ultime elezioni, abbiamo sperimentato che il fondamentalismo islamico sta cercando di inserirsi nei partiti: in particolare nel Kaf (partito formato in prevalenza da musulmani), che ha avuto parecchi consensi soprattutto nelle isole, dove sta esasperando le differenze tra cristiani e musulmani. Ci sono motivi per credere che cercherà di fare altrettanto sulla terraferma.
Polycarp Pengo
Rivoluzione
I tanzaniani vedono le ingiustizie, ma non le affrontano direttamente: non sono aggressivi. Vogliono risolvere i problemi adeguando le mete da conseguire al loro temperamento e vogliono la giustizia «pacifica». Nel governo opera il Partito della rivoluzione, ma non si può dire che i tanzaniani siano rivoluzionari.
Noi, della commissione «Giustizia e pace», collaboriamo con il governo e le altre istituzioni per portare graduali miglioramenti. L’anno scorso ci siamo impegnati non solo perché la popolazione andasse a votare, ma anche perché si sentisse coinvolta nella gestione della cosa pubblica. Abbiamo cercato di sensibilizzare i politici per indurli a fare scelte prioritarie a favore dei più poveri.
In particolare abbiamo messo in risalto un errore: il paese, allontanandosi dal 1986 dal socialismo dell’ujamaa, con la scelta del capitalismo sta causando una crescente e macroscopica ingiustizia nei confronti della classe meno abbiente, che diventa sempre più povera.
Negli ultimi cinque anni il governo ha cercato di fare delle riforme per ridurre il grande squilibrio tra ricchi e poveri, ma i risultati tardano a farsi notare: le riforme macroeconomiche non raggiungono la stragrande maggioranza della popolazione. Il 60% è totalmente escluso da ogni beneficio.
Paul Ruzoka,
vescovo di Kigoma,
presidente di «Giustizia e pace»
Carceri
Molte persone sono in prigione per reati minori. Le carceri traboccano di persone ammassate in modo disumano. Ci sono 44 mila detenuti in strutture atte a contenee molto meno della metà. E si verificano moltissimi abusi.
Due anni fa i vescovi hanno scritto una lettera aperta per far capire che i prigionieri non devono essere considerati come i rifiuti della società e che c’è sempre uno spazio per aiutare chi sbaglia a correggersi e riprendere un posto nella società. Hanno lanciato un programma per migliorare il sistema giudiziario e per coscientizzare la gente sui diritti dei prigionieri, in particolare dei ragazzi, considerati alla stregua di criminali incalliti e messi in carcere con delinquenti che li seviziano. Molti prigionieri sono reclusi a causa del cattivo modo di procedere delle «corti primarie»: ce ne sono circa 900 nel paese, composte da persone non sempre competenti. I vescovi hanno lanciato un programma di formazione per chi deve giudicare la criminalità spicciola.
Si cerca di educare per andare oltre la legge, ponendo al primo posto la persona, per superare i limiti di chi, poco preparato culturalmente, tende a giudicare superficialmente e in modo rigido, senza considerare l’individuo. Si vuol far capire che la legge deve essere uno strumento per aiutare la società e non un mezzo per liquidare chi non si adegua a certi canoni, spesso discutibili.
Paul Ruzoka
Donne
Le donne che vivono in città hanno maggiori possibilità di ricevere un’educazione. Però chi intende continuare gli studi (una minoranza) si rende conto che non può sposarsi giovane, né avere tanti figli. Tale esigua minoranza, inoltre, avverte la necessità di una pianificazione familiare, per garantire ai figli una buona educazione scolastica. Il problema non si pone nei villaggi, dove nessuno vuole sentire parlare di limitazione delle nascite e di contraccezione, perché l’unica ricchezza delle famiglie sono ancora i figli.
Dovremmo sensibilizzare la gente sulla necessità di una pateità responsabile. Io sono molto preoccupata che, ai nostri giorni, sia terribilmente aumentato il numero degli orfani: sono troppi i genitori irresponsabili nei loro rapporti sessuali; l’Aids si diffonde in modo impressionante. Non si contano i morti.
Monika Mbega, parlamentare
aa.vv.