Quasi come sul ring

Il dossier «L’alta teologia
e il buon senso» (Missioni Consolata,
gennaio 2001), scritto da un teologo
missionario, ha suscitato disappunto
in un vescovo.
Trattandosi di temi della massima
importanza, abbiamo trasformato in articolo
la «botta» e «risposta» dei due personaggi.

Non sono sfumature

Non posso nascondere il disappunto nel leggere le pagine 30-31, firmate da Igino Tubaldo, della benemerita rivista Missioni Consolata, gennaio 2001.
L’espressione «fuori della Chiesa non c’è salvezza» va, certamente, compresa alla luce della Rivelazione, dove si afferma che Dio vuole tutti salvi e non fa eccezione di persone (cfr. Rom 2, 11).
Numerosi fratelli dell’Ortodossia, della Riforma protestante e fra gli stessi pagani vivono più santamente di me, vescovo della Chiesa cattolica. Dio guarda nel cuore e in un modo che solo Lui conosce, fa giungere a tutti la grazia della salvezza, frutto del sacrificio redentore dell’unico salvatore Gesù Cristo (cfr. Lumen gentium, 16).
È pure vero che, per essere fedele discepolo di Gesù, devo amare, stimare, rispettare e, quando possibile, aiutare chiunque così com’è, senza pretendere che diventi cattolico, lasciando alla misericordia di Dio che gli conceda o no in terra la pienezza della luce, che è Cristo.
E vengo al punto sul quale non mi trovo d’accordo: è il tema della salvezza nella vera Chiesa. Al riguardo, ricordo che il catechismo della Chiesa cattolica riporta, al numero 181, una parte della frase di san Cipriano: «Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre».
L’interpretazione di Missioni Consolata del «subsistit» (Lumen gentium, 8) contrasta con quanto scritto in «Chiesa: carisma e potere», dove si legge: «Il Concilio (ecumenico) aveva scelto la parola subsistit proprio per chiarire che esiste una sola sussistenza della vera Chiesa, mentre fuori della sua compagine visibile esistono solo elementa Ecclesiae, che, essendo elementi della stessa Chiesa, tendono e conducono verso la Chiesa cattolica».
Infine l’esempio dei vari ordini francescani (per vedere dove «sussiste» la genuina forma del francescanesimo) mi sembra molto inopportuno, perché qui si tratta solo della regola di san Francesco, vissuta nella sostanza, ma con sfumature diverse dai vari ordini. Invece che nell’Eucaristia ci sia la presenza reale o no, che la Messa sia un vero sacrificio o no, che ci sia il Ministero petrino o no, che ci sia un Magistero autorevole e, in certi casi, infallibile o no, che ci sia il Sacerdozio ministeriale o no, che la Chiesa abbia il potere di rimettere i peccati o no… non sono sfumature!
Si dimentica la fondamentale distinzione fra la sincerità della coscienza retta, onesta ed aperta allo Spirito Santo (che opera ovunque e su ciascuno e che è la norma dell’agire umano – cfr. Dignitatis humanae, 3) e la verità, realtà oggettiva, alla quale l’uomo retto e sincero si adegua allorché ne viene a conoscenza (cfr. Veritatis splendor).
Riconosco e apprezzo il vostro lavoro di missionari, ma ho timore che presentare in questo modo problemi così seri per la fede sia fuorviante, specialmente per le famiglie cui la rivista è diretta e che sono spinte a cadere in quel relativismo e sincretismo deprecati dal dossier.
Antonio Santucci
vescovo di Trivento (CB)

Carità e lacrime

Talora a teologi e direttori di riviste «missionarie» tocca la sorte del pugile sul ring che, colpito da un gancio, cade al tappeto e poi si sente contare: «tradisci la fede…», «produci scompiglio nei fedeli…», «sei eretico…».
Quando nel 1942 (prima del Concilio ecumenico) A.J. Cronin (1896-1981) pubblicò il romanzo Le chiavi del regno, nella Chiesa parecchi storsero il naso. Padre Chisholm era un missionario sui generis: in Cina dialogava con un pastore protestante e, soprattutto, con un medico ateo, che lo raggiunse per curare gli ammalati. A costui, sul letto di morte, il missionario disse: «Nessuno che sia in buona fede può essere perduto. Nessuno!». Perché a Dio non farebbe piacere vedersi davanti un agnostico rispettabile, giudicarlo con una luce amichevole negli occhi e dirgli: «Come vedi sono qui, nonostante quanto ti hanno fatto credere. Entra nel Regno che hai onestamente negato!»?
Ogni docente di teologia lo insegna: la misericordia di Dio può andare al di là dei sacramenti e il regno di Dio ha confini più ampi di quelli della Chiesa.

Se fuori della Chiesa cattolica e nelle religioni non cristiane esistono valori autentici, l’espressione «la Chiesa di Dio è quella cattolica» o «la Chiesa di Dio sussiste in quella cattolica» può essere accettata solo in senso positivo, cioè: la Chiesa di Cristo è quella apostolica e si manifesta nella Chiesa cattolica. Il verbo «è» o «sussiste» non è accettabile nel significato negativo, cioè: i gruppi cristiani, al di fuori del cattolicesimo, non hanno nulla di ecclesiale. Il Concilio ha riconosciuto l’ecclesialità (anche se non perfetta) delle comunità cristiane, non cattoliche. Queste possono essere come pianeti gravitanti attorno allo stesso sole, che è Cristo.
Altro è il problema dei non cristiani. Qui entra il detto «fuori della Chiesa non c’è salvezza» o, in modo più edulcorato, «nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre». Sono assiomi che si possono accettare se, ancora una volta, vengono intesi in senso positivo, cioè: nella Chiesa cattolica c’è salvezza, senza però escludere che, fuori di essa o del cristianesimo, chi è in buona fede o fa quanto è in suo potere possa salvarsi.
Il Concilio riconosce (e con insistenza) che anche nelle religioni non cristiane possono esistere «cose vere e buone», «preziose, religiose e umane», «germi del verbo», «raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini» (cfr. rispettivamente Lumen gentium, 16; Gaudium et spes, 92; Ad gentes, 11 e 15; Nostra aetate, 2).
Nel 1984 il Segretariato per i non cristiani ha commentato: «Poiché nelle grandi tradizioni religiose dell’umanità esistono questi valori, le stesse tradizioni meritano l’attenzione e la stima dei cristiani».
Le religioni non cristiane sono o non sono salvifiche per se stesse, anche se l’individuo che le pratica in buona fede può salvarsi? Il Concilio non ha risposto alla domanda.
Al quesito (poiché la via è aperta) cercano di rispondere i teologi. Oggi quasi tutti proseguono sulla strada del dialogo: Gesù Cristo è l’unica via della salvezza, ma non si possono porre limiti all’azione salvifica di Dio; si chiedono se nel «pluralismo religioso» ci sia un disegno di Dio. Seguendo la linea ascendente «Chiesa – Gesù Cristo – Dio Padre – Regno di Dio – Spirito Santo», affermano che la Chiesa in terra non è il Regno di Dio, poiché ne è solo il «germe e inizio» (Lumen gentium, 5); germi e inizi del Regno si possono riscontrare pure altrove. Sviluppano teorie sulla «presenza inclusiva»; ricordano che lo Spirito soffia dove vuole…
I teologi concludono: alla Chiesa, per spirito ecumenico e missionario, spetta «condurre a compimento» quanto di positivo esiste nelle tradizioni religiose, non solo perché nulla vada perduto, ma sia «purificato, elevato e perfezionato» (Lumen gentium, 17).
Il papa, nell’enciclica missionaria Redemptoris missio, afferma che «la presenza e l’attività dello Spirito sono universali, senza limiti né di spazio né di tempo»; tale presenza e attività «non toccano solo gli individui, ma la società, la storia, i popoli, le culture, le religioni» (28).
Allora i teologi si chiedono se, nelle altre religioni, ci siano raggi di verità non presenti nella Chiesa e se, di conseguenza, essa debba dimostrarsi incline a ricevere qualcosa. Perché, quale dialogo si può instaurare se una parte è sicura di non aver bisogno di nulla e di nessuno?
Vittorio Morero, sacerdote giornalista e corrispondente di Avvenire, nel suo libro Il catechismo dei non credenti, scrive: «Penso che ci sia anche una delega di Dio alle religioni non cristiane, agli umanesimi laici, alla saggezza del pensiero dell’uomo nella sua evoluzione storica, nella sua creatività artistica e al genio di ogni uomo» (p. 194).
Una rivista «missionaria» deve amare la propria Chiesa, senza cadere nella «melassa religiosa», senza negare il Ministero petrino o la Presenza reale… e sa che queste non sono sfumature. Se ricorre al paragone del francescanesimo, è per farsi capire. Trattandosi poi di una rivista «missionaria», è comprensibile la sua preferenza per una Chiesa «aperta» ai non cristiani.
Nella Chiesa non esistono solo sette sacramenti; prima o accanto a questi, ci sono i «sacramenti naturali» o «pre-sacramenti». Secondo il biblista Stanislas Lyonnet (1902 1981), essi sono la carità, le lacrime, la debolezza («quando sono debole è allora che sono forte» – 2 Co 12, 9). Sono alla portata di tutti.
Come valutiamo le folle di indiani che s’immergono nel Gange? E più ancora: perché non rivolgere al Padre di tutti una preghiera, affinché abbia pietà delle migliaia di persone, vittime di terremoti, anche se non hanno mai sentito parlare di Cristo o della sua Chiesa?

Igino Tubaldo
missionario e teologo

Antonio Santucci e Igino Tubaldo

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