«Tingatinga». Un nome simpatico,
che caratterizza una scuola d’arte nata e cresciuta
in un contesto tipicamente africano.
E apprezzata anche in Occidente.
In Tanzania l’arte si è in qualche modo arrestata e il suo cammino è stato interrotto a causa della modeizzazione, arrivata nei modi più diversi; con questo fenomeno, infatti, si assiste ad un trasferimento di valori dal mondo occidentale verso quello africano e viceversa.
Allora cosa succede? Ci sono tre possibilità.
La prima: i valori tradizionali tanzaniani resterebbero tali e quali erano nel passato; ma ciò non è possibile, poiché la situazione è cambiata e anche il Tanzania ha bisogno di altre culture per… sopravvivere. La seconda ipotesi: i valori tradizionali coesistano con quelli modei. E, terza, sono completamente rimpiazzati da quelli contemporanei, anche se quest’ultima ipotesi sembra un po’ esagerata.
La miglior strada sembra, dunque, essere quella della coesistenza e del dialogo, vista anche la domanda di produzioni artistiche che viene dall’Occidente e che i clienti degli artisti tanzaniani sono occidentali. Così l’arte tanzaniana è accessibile alla comunità internazionale, anche se c’è il rischio di perdere la propria identità per piacere ai clienti. Nell’epoca della globalizzazione, infatti, i criteri sono differenti e il commercio impone le sue inflessibili leggi di mercato.
Ma che cosa succede, per esempio, con la pittura tingatinga, tipica del Tanzania? I pittori di quest’arte hanno conservato i valori tradizionali o hanno ceduto alle leggi del profitto?
Un’arte giovane
La pittura tingatinga è quasi contemporanea, perché ha inizio negli anni ’30 e, dopo il suo modesto debutto, ha conosciuto un rapido sviluppo. Oggi essa è riconosciuta nel mondo intero come espressione dell’arte tanzaniana e i tanzaniani ne sono particolarmente fieri. Purtroppo poche persone hanno visto gli originali di tale arte, dal momento che, attualmente, il mercato è saturo di copie e imitazioni.
Non si può parlare dell’arte tingatinga senza accennare ai gruppi etnici makua e makonde in cui è nata. Tingatinga è semplicemente il nome del suo primo importante pittore, ma dietro a lui c’è tutta l’eredità dei due popoli.
I makua e i makonde si considerano artisti nati, come racconta una loro leggenda: «All’inizio c’era un solo uomo, abitava in luoghi selvaggi e viveva senza compagnia. Un giorno prese un pezzo di legno in cui scolpì una forma, per un attrezzo. Piazzò la scultura al sole, vicino alla sua casa. L’indomani, all’alba, la forma era diventata una bella donna, che egli prese come sposa. Ebbero un bambino; ma, tre giorni dopo la nascita, il piccolo morì. “Lasciamo il fiume e saliamo più in alto, dove crescono i canneti con i quali facciamo i nostri letti” – disse la donna. E così fecero. Ebbero un altro bambino; ma, tre giorni dopo, anch’egli morì. Allora la donna disse: “Spostiamoci ancora più in alto, là dove crescono i cespugli robusti”. Si misero ancora una volta in viaggio; ebbero un terzo bambino e questo sopravvisse. Divenne il primo makonde, il cui destino fu segnato dalla creatività artistica».
È in questo ambiente di artisti-nati che si situa Edward Said Tingatinga. Era nato nel villaggio di Mindu nel 1937 e morì a Dar-es-Salaam nel 1972. Era un makua, tribù della regione di Tunduru, distretto nella regione di Ruvuma, nel sud del Tanzania. Edward ricevette la sua educazione in una scuola cattolica; poi si mise a girare alla ricerca di un lavoro: dapprima a Tanga, come shamba boy, cioè operaio in una piantagione di sisal. Perso il lavoro, arrivò a Dar-es-Salaam nel 1961, nel momento in cui il Tanzania diventava indipendente. La sua morte fu accidentale: scambiato per errore come un ladro, venne gravemente ferito e morì prima di arrivare all’ospedale.
Tingatinga aveva cominciato a dipingere quando lavorava sui cantieri: i soggetti erano animali e persone, su uno sfondo unico. Dipingeva anche su muri pubblicità per piccole compagnie. Nonostante la sua breve educazione scolastica e che non avesse ricevuto alcuna formazione artistica, riuscì a creare un’arte popolare, caratterizzata dall’uso di lacche e il ricorso a soggetti semplici, il cui impatto e messaggio sono molto forti. Come succede a numerosi artisti, le sue prime opere non lo resero né ricco né famoso, ma l’interesse per il suo stile pittorico attirò verso di lui numerosi discepoli.
I pittori della prima scuola tingatinga erano, in maggioranza, parenti del fondatore o membri della stessa tribù: pertanto della regione di Ruvuma e tutti appartenevano (e appartengono) ai makua o makonde. Coloro che non sono originari di là hanno, comunque, qualche legame: ad esempio, il matrimonio o una particolare amicizia.
lacche e smalti
Gli artisti tingatinga vivono e lavorano in un quartiere di Dar-es-Salaam come in una grande famiglia: i figli crescono insieme e imparano a dipingere osservando i genitori. Hanno creato anche una cornoperativa, chiamata «Tingatinga Cooperative Society». Dei 50 artisti che lavorano negli ateliers, soltanto 27 sono veramente membri della cornoperativa; si contano appena due donne.
All’inizio esponevano i loro quadri a Musasani, sotto un grande albero; ora hanno una specie di galleria. Il valore viene stabilito in base alle dimensioni del quadro, ma non ci sono prezzi fissi e, secondo lo stile africano, bisogna mercanteggiare.
Il tema ricorrente dei quadri tingatinga è la riproduzione stilizzata di animali della fauna tanzaniana. I lavori vengono eseguiti con veici, per permettere colori più vivi e si utilizzano pannelli di legno e sacchi di sisal o juta. Il laboratorio è all’aperto, in un cortile, e sovente numerosi artisti collaborano alla stessa opera. Se qualcuno sperimenta un nuovo colore o forme nuove, subito gli altri li introducono nei quadri, così che ciascuno partecipa allo sviluppo di una espressione comune.
I quadri, normalmente, non si distaccano troppo dallo stile originale creato dal fondatore; per cui, con questa organizzazione comune del lavoro, si può parlare di quadri tingatinga come di un gruppo artistico, un movimento, una scuola o, per usare concetti africani, un’arte di famiglia, di clan o tribù.
Le tecniche utilizzate sono semplici e originali. Vi si possono riconoscere le seguenti fasi:
– dapprima l’applicazione di macchie di un solo colore unitario, senza alcuna mescolanza;
– l’aggiunta di linee;
– punti più o meno grossi, come presso i macchiaioli;
– non c’è quasi mai mescolanza di colori ed è anche rara l’applicazione di pittura con la punta di pennelli o spazzole.
Uno degli effetti più caratteristici della pittura tingatinga è senza dubbio il riverbero prodotto dalla lacca o dagli smalti, frequentemente usati senza diluizione o mescolanza. I soggetti (persone, animali e piante) sono delimitati da contorni netti, sovente accentuati dalla giustapposizione di colori contrastati, che producono un rilievo particolare. La messa in evidenza dei contorni fa apparire uno stile grafico a due dimensioni, che caratterizza quasi tutta la pittura tingatinga; non c’è mai rilievo o prospettiva. Gli artisti impiegano pochi colori: verde e giallo, bianco e nero, rosso e blu e una specie di bruno-marrone.
Le pitture hanno qualcosa di speciale? Certamente sì:
– esprimono in modo originale la cultura del Tanzania;
– sono una fonte di informazioni e notizie sulla vita quotidiana della gente;
– diventano una miniera di immagini per l’industria tessile di kanga e vitenge (abiti tipici femminili);
– esaltano la natura e l’ambiente, essendo particolarmente decorativi;
– sono la «spia» di altri fenomeni culturali complessi; così, ad esempio, la rappresentazione della flora e fauna riflette la loro importanza nella vita e cultura africana;
– infine, con la sua apertura internazionale, la pittura tingatinga ha permesso una migliore conoscenza e comprensione della cultura tanzaniana.
Nell’importante tempo dell’ujamaa (socialismo comunitario) il presidente Nyerere invitava le persone a rinnovarsi, partendo dalla cultura autentica… L’arte tingatinga potrebbe essere considerata una strada maestra per esprimere l’animo più autentico del popolo del Tanzania.
Dietrich Pendawazina