Le decisioni prese nel Nord si riflettono
sui poveri del Sud del mondo.
Le congregazioni missionarie operanti in Africa hanno costituito la «Rete fede e giustizia Europa-Africa» (Aefjn), per far risuonare la «voce dei senza voce» nei parlamenti dell’Unione europea e dei singoli paesi
che la compongono, stimolando iniziative che promuovano rapporti più giusti ed equi con i popoli africani.
I n un secolo siamo passati dal nazionalismo all’inteazionalismo, alla globalizzazione. Principale veicolo di cambiamento è stato, ed è tuttora, l’ideologia neoliberista: essa penetra ogni aspetto della vita quotidiana della gente in tutto il mondo: economia, comunicazione e informazione, sviluppo tecnologico, cultura, modelli di consumo, crimine, conflitti, epidemie, ecologia, migrazione, politica.
Di fronte a tali mutamenti di cultura e valori, i cristiani devono essere presenti nei dibattiti, non come sociologi o economisti, ma come testimoni dei valori evangelici. È in gioco il nostro ruolo profetico, non solo per indicare le deficienze nella società, ma anche per mostrare, come gli antichi profeti, la strada della riconciliazione col Creatore.
POLITICA SFIDUCIATA
Il mondo ha subìto un cambiamento epocale, ma le istituzioni e l’immagine del mandato politico sono mutati pochissimo. Negli ultimi due secoli, fino ai primi anni ’70, tale mandato era considerato uno dei più alti e nobili servizi al paese. La gente aveva fiducia nei politici e affidava loro il proprio destino, inviandoli come delegati ai parlamenti e governi. La fede nel sistema democratico parlamentare era così forte che né guerre né crisi sono riuscite a cambiarla.
Negli ultimi 40 anni si è capito che la politica non è così pulita e nobile come si voleva far credere. Tre fattori hanno scosso tale fede politica.
– La colonizzazione. La gente ha cominciato ad essere sfiorata dal senso di colpa quando gli storici, basandosi su documenti, hanno dimostrato che la colonizzazione dei paesi africani, presentata come nobile «missione di civilizzazione», era in realtà uno spietato sfruttamento delle loro risorse umane, culturali e materiali per accrescere il benessere dell’Occidente.
– La povertà nel terzo mondo. Dopo due decenni di appelli alla generosità per contribuire ai progetti di cooperazione internazionale, la gente è delusa, vedendo che il divario tra i paesi poveri e quelli industrializzati ha continuato a crescere.
– La corruzione. La lista di scandali in cui sono coinvolti i politici è infinita; con somme da capogiro gli industriali hanno sponsorizzato i partiti politici, fino a renderli strumenti di legittimazione dei propri interessi economici.
Nessuna meraviglia se, negli ultimi 15 anni, la gente è cresciuta nella disillusione e nel disinteresse per la politica: ne è una prova lampante la bassa partecipazione alle elezioni. Il sistema politico è in crisi. In questa confusione, gli unici vincitori sono i protagonisti del mercato globale.
NUOVO CREDO UNIVERSALE
Competizione e mercato è la fede professata dalla globalizzazione. Essa provoca una visione unilaterale della natura e relazioni umane, trasformando la società in un grande palco d’asta, dove perfino le cose sacre, come sangue, organi umani e biodiversità, possono essere comprati o venduti e i cui valori sono rimpiazzati dai prezzi. Tale società richiama la visione raccapricciante dell’Apocalisse: «Essa è diventata covo di demoni e carcere per ogni spirito immondo, carcere per ogni uccello impuro e aborrito» (Ap 18,2). Il credo della globalizzazione è veramente una sfida spirituale e culturale, che i politici non hanno affrontato, o non lo hanno fatto a sufficienza, e oggi ne pagano le conseguenze a caro prezzo.
Il meccanismo del mercato globale rafforza nel ricco un falso senso di «popolo eletto», più preoccupato della conquista del potere che delle necessità della gente e della terra. L’ideologia neoliberista, su cui si fonda la globalizzazione, ha addormentato la gente: il motto di buona parte dei popoli occidentali non è «l’opzione preferenziale per i poveri», ma «opzione preferenziale per chi ha di più». Delusi dai politici, essi si sono innamorati di una società in cui produzione e consumo sono in continua espansione e il potere è in mano a una ristretta e forte élite economica, capace di facilitare il processo di produzione-consumo da cui ci si aspetta tutto il bene della vita.
Ma in un mondo del genere la maggioranza della gente, beata nel suo consumismo, non ha alcuna voce nel modellare la società in cui vive. Ruoli di guida e istituzioni sono ridotti a puri strumenti di convalida di politiche decise molto lontano da potenti corporazioni transnazionali. E così i diritti umani possono essere erosi, la dignità umana calpestata, lo sviluppo impedito e l’ambiente sfruttato indiscriminatamente.
INGIUSTIZIE STRUTTURALI
I mercati possono essere molto utili; la globalizzazione è una spada a due tagli: produce effetti buoni e cattivi. Per la prima volta nella storia, le istituzioni inteazionali (Unione europea, Nazioni Unite, Banca mondiale, Fondo monetario internazionale) danno veramente la possibilità di provvedere pacificamente a un mondo più equo e giusto; ma è un errore pretendere di costruirlo basandosi solo sul mercato.
Negli ultimi 50 anni la speranza di vita, in generale, è salita più che nei precedenti 4.000; trasporto, comunicazione, competitività hanno facilitato la nostra esistenza. Eppure il divario tra ricchi e poveri continua a crescere, sia globalmente che all’interno degli stati. Nel mondo ci sono 360 plurimiliardari che, insieme, possiedono una ricchezza pari alle entrate di 2,5 miliardi di gente più povera del mondo. Quale struttura permette e giustifica tale disparità?
Europei e americani spendono ogni anno oltre 400 mila miliardi di lire in medicine; ma difficilmente trovate nelle farmacie occidentali quelle per curare la malaria, cecità da fiume, malattia del sonno, perché c’è poca domanda. Entrate in un dispensario del Benin, per esempio, e scoprite che tali farmaci sono scarsi anche lì, non perché non ce ne sia bisogno, ma perché nessuno può permetterseli (Si veda «Come sta Fatou?» gennaio 2001).
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) calcola che si spendono oltre 120 mila miliardi di lire l’anno nella ricerca sanitaria, ma meno del 10% di tale somma riguarda le malattie che colpiscono il 90% della popolazione mondiale, come malaria, tubercolosi, Aids. E migliaia di africani muoiono ogni giorno perché mancano le medicine più comuni.
Il Nord impone ai paesi del Sud di aprire i loro mercati; eppure gli stati ricchi adottano sistemi protezionisti in molti settori in cui i paesi poveri sono più competitivi, come agricoltura e tessili. Una politica che impedisce la crescita economica in Africa, nega posti di lavoro nelle città e taglia le entrate delle famiglie.
L’Unione europea (Ue) è stata costretta ad abbandonare il regime d’importazione di banane favorevole ai piccoli produttori africani: le grandi compagnie degli Stati Uniti, infatti, sono riuscite a convincere l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) che favorire i piccoli produttori è contro le regole del libero mercato. Chiquita e compagni hanno vinto, a scapito degli agricoltori poveri di Ghana, Costa d’Avorio, Benin o Togo, la cui sopravvivenza dipende dalla produzione di banane. Lo stesso vale per l’uso di olii diversi da quelli del cacao nella produzione di cioccolato.
L’indebitamento di 38 paesi africani è tale che questi non riusciranno mai a restituire i prestiti. Le istituzioni finanziarie inteazionali continuano a domandare loro di spendere il 20-40% degli introiti provenienti dalle esportazioni annuali per ripagare gli interessi. Nel 1951, quando alla Germania fu chiesto d’impiegare il 10% delle esportazioni per pagare i suoi debiti di guerra, si disse che era insostenibile e fu abbassato al 3,5%; per i prestiti di guerra del Regno Unito la quota fu elevata al 4%. Politiche del genere, con due pesi e due misure, mantengono coscientemente e volutamente i paesi poveri dell’Africa in stato di schiavitù.
L’Onu sta preparando una conferenza per studiare il commercio illegale di armi leggere in tutti gli aspetti. Titti sanno che una stretta regolamentazione internazionale di tale commercio è un imperativo per arginare conflitti e violenza in Africa. Eppure, negli incontri preparatori, vari paesi ostacolano una nuova convenzione internazionale; dicono che bastano le regole attuali. Così il traffico legale e illegale continua.
Sono solo alcuni esempi di ingiustizie perpetrate dal Nord contro l’Africa. Ma bisogna ricordare che tutte le regole che puntellano tali ingiustizie sono ratificate nei nostri parlamenti e governi dai politici che abbiamo democraticamente eletti come nostri rappresentanti.
NUOVA COSCIENZA CIVILE
Ma non tutti sono pronti a professare il credo del libero mercato. Negli ultimi due anni vari gruppi di pressione hanno organizzato enormi proteste contro i vertici delle organizzazioni inteazionali (G7, Wto, Fmi…) per contestare il modo in cui prendono decisioni senza il coinvolgimento e consenso della gente.
Tali proteste sono troppo estese per essere etichettate come opera di pochi teppisti e teste calde. Sono appena la punta dell’iceberg del crescente scontento della gente. Da due decenni, persone ordinarie, ma bene informate, si uniscono a livello nazionale e internazionale per domandare ai governanti trasparenza, responsabilità e partecipazione nelle decisioni politiche.
È un imperativo morale per i governanti ascoltare tutte le voci della società, indipendentemente dall’affiliazione politica. Se i politici devono rispettare l’opinione del proprio collegio elettorale, hanno pure il dovere d’informare e mettere in guardia gli elettori sulle implicazioni e conseguenze che certe scelte politiche hanno sulla nostra vita e su quella del prossimo.
La voce di organizzazioni non governative, gruppi di pressione, organismi della società civile è un grido profetico per salvare la democrazia; quasi un aiuto divino per i politici nel momento di maggiore bisogno. Voci che indicano come dignità, lavoro, ambiente, valori culturali, trasparenza, corresponsabilità e partecipazione sono parte integrante del benessere e dello sviluppo.
La liberalizzazione sfrenata tende solo al profitto: è inaccettabile sia per la società occidentale che per i nostri fratelli e sorelle del Sud del mondo.
NOSTRA PRESSIONE POLITICA
È finito il tempo in cui analizzare e commentare argomenti conceenti la società era privilegio di accademici, politici e leaders religiosi. Anche noi missionari, con la «Rete fede e giustizia Europa-Africa» (Aefjn), ci siamo organizzati per raggiungere e informare i nostri rappresentanti, funzionari e partiti politici sulle conseguenze di certe politiche che devono votare.
Operiamo a Bruxelles, in sede di Commissione, dove nascono molte iniziative delle istituzioni europee. È il momento ideale: mentre esse sono in stato di progettazione, ci sediamo accanto ai funzionari disposti ad ascoltare i nostri punti di vista.
Quando le proposte della Commissione passano all’esame del Consiglio dei ministri e al Parlamento europeo, le Reti dislocate nei singoli paesi dell’Ue bombardano parlamentari, ministri, funzionari coinvolti nei vari progetti legislativi.
La nostra pressione continua a Bruxelles, quando le proposte passano alla Commissione permanente specifica, incaricata della revisione: presentiamo i nostri suggerimenti ai parlamentari e delegazioni, perché introducano eventuali emendamenti e dibattano e votino tali proposte in prima e seconda lettura.
Tutti questi momenti, a Bruxelles e nei paesi membri, sono occasioni per restituire alla democrazia il valore e l’importanza che merita. Ma non è un messaggio da far digerire facilmente: solidarietà con i poveri implica un cambiamento di stile di vita.
Sappiamo però, e lo sanno anche i politici, che questa è l’unica via per promuovere la giustizia, la pace e una più equa distribuzione dei doni della terra per questa generazione e quelle future.
Come cristiani e missionari, non possiamo fare a meno di essere coinvolti nelle politiche della stanza dei bottoni. Noi non tiriamo pietre, non ci incateniamo ai cancelli delle banche. Facciamo semplicemente ciò che ci dice il vangelo: amare il nostro prossimo come noi stessi. E lo facciamo affermando il diritto di partecipare creativamente nel processo decisionale, soprattutto quando sono in gioco i valori evangelici: i soli che possono portare pace vera e felicità alla società in cui viviamo. Una società non è solo la mia città, provincia o paese, ma il mondo intero.
* Luc Coppejans, della congregazione dei missionari per l’Africa (padri bianchi), è direttore responsabile del Segretariato della Rete fede e giustizia Africa-Europa (Aefjn).
Luc Copeejans