Che significa oggi «fuori della chiesa non c’è salvezza»?
La chiesa di Cristo «è» o «sussiste» in quella cattolica?
Forse non sono questioni di lana caprina…
È significativo che Dio voglia la salvezza di tutti,
a prescindere dalle religioni di appartenenza.
E «non nega la grazia a chi fa quanto può».
A volte basta cambiare
una virgola
Lo storico Eusebio di Cesarea (263-337) scrisse che a Costantino Magno, in occasione della battaglia decisiva contro Massenzio alle porte di Roma, apparve in cielo come presagio di vittoria una croce luminosa e le parole: «In questo segno vincerai». Era il 28 ottobre del 312.
Ma, nel secolo precedente, avvenne qualcosa forse di più importante, di certo storicamente più sicuro. Nel cielo della chiesa apparve una «meternora», che non sarebbe più scomparsa. In altre parole: il vescovo Cipriano (210-258) enunciò il famoso principio: Extra ecclesiam nulla salus (fuori della chiesa non c’è salvezza). «Non è infatti possibile – affermava il vescovo africano – avere Dio come padre se non si ha la chiesa come madre». Era la logica conseguenza di quanto gli apostoli Pietro e Paolo avevano affermato: «C’è salvezza solo in Cristo e in nessun altro» (At 4, 12).
Il motto «fuori della chiesa non c’è salvezza» è rotolato lungo i secoli, irrigidendosi come un ghiacciaio perenne. Al Concilio di Firenze (1442) il principio raggiunse persino la rigidità dell’acciaio: «La chiesa crede e annuncia che nessuno fuori della comunità cattolica (non solo pagani, ma anche ebrei, eretici e scismatici) potrà raggiungere la vita eterna, ma andrà nel fuoco eterno… se prima della morte non sarà ad essa unito». Qui, veramente, la chiesa cattolica appare una madre troppo possessiva.
Dopo il 1492, con la scoperta di nuovi popoli (che non avevano mai avuto contatti con il cristianesimo), e più recentemente, alla constatazione che le altre grandi religioni non solo non risultano assorbite dal cristianesimo, ma sono in continuo aumento, quel «blocco di ghiaccio» incominciò a sgocciolare.
Ora si preferisce enunciare il principio al positivo: nella chiesa c’è salvezza, meglio e più sicuramente che altrove. Come in algebra si insegna che tutto può andare a posto cambiando il «meno» in un «più».
Un’operazione
di microchirurgia
La meternora «fuori della chiesa non c’è salvezza» non abbagliava più gli occhi dei padri del Concilio ecumenico Vaticano II, né campeggiava sulla cattedra di san Pietro o nella gloria del Beini. Tuttavia era presente (almeno come un sassolino nella scarpa) in parecchi dei vescovi conciliari; e gli ortodossi e i protestanti osservavano con interesse come se lo sarebbero tolto. Se lo tolsero infatti.
E, da quel momento, i padri del Concilio camminarono più spediti.
I tempi erano maturi per una piccola ma importante operazione, forse una delle più delicate del Concilio. Un’operazione brillante: stupì i non cattolici dell’intero mondo, perché tutti erano consapevoli che si trattava di danzare su un vulcano in eruzione.
Il modo, poi, in cui l’operazione «chirurgica» venne compiuta fa sorridere per la sua semplicità.
Il cambio
di un verbo latino
Riguarda l’articolo 8 della Costituzione sulla chiesa Lumen gentium, approvata dopo molte discussioni il 21 novembre 1964. Da Cristo emana la chiesa, da Lui costituita nei suoi elementi essenziali. Però i padri si chiesero se la «vera» chiesa di Cristo esista ancora e dove si trovi.
Un primo testo affermava: «L’unica chiesa di Cristo, costituita e organizzata in questo mondo come società, è (est) la chiesa cattolica, ancorché fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e verità». In tal modo solo la chiesa cattolica è «la» chiesa.
Poi si giunse alla seguente formulazione: «L’unica chiesa di Cristo sussiste (subsistit) in forma integrale in quella cattolica». È l’«integrale» a fare problema; si dice infatti che solo la chiesa cattolica possiede gli elementi della vera chiesa di Cristo, anche se con il «sussiste» si ammette che essa può esistere, sia pure in modo non «integrale», presso altre comunità ecclesiali.
Il testo definitivo si colloca tra le due redazioni e afferma: «La chiesa (originale di Cristo), in questo mondo costituita e organizzata come società (cioè visibile), sussiste (subsistit) nella chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e verità, che, quali doni propri della chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica».
Il nuovo testo riconosce che nelle altre chiese possano esserci «parecchi elementi» della chiesa originale di Cristo. Perciò anche in queste sussiste, in qualche modo, la chiesa di Cristo. L’articolo 15 della Lumen gentium indica gli «elementi» che costituiscono i legami con la chiesa cattolica; essi sono: il battesimo, altri sacramenti (come l’eucaristia), la sacra scrittura, la devozione a Maria, ecc.
Poiché le varie chiese non insegnano le stesse cose (e non solo su aspetti marginali), qualcuno potrebbe concludere che la chiesa di Cristo non esiste più da alcuna parte; perciò nessuna comunità ecclesiale può considerarsi come l’erede autentica ed integrale della chiesa di Cristo. No. Essa sussiste ancora: in modo (più) perfetto in quella cattolica, ma anche in altre chiese.
Una dichiarazione congiunta di ortodossi e «vecchi cattolici», redatta tra il 1977 e il 1981, recita: «La vera chiesa (una, santa, cattolica e apostolica) sussiste senza alcuna interruzione, dalla fondazione fino ai nostri giorni, là dove viene custodita la vera fede, la liturgia divina e l’ordinamento della chiesa antica e indivisa».
Il Vaticano II, con subsistit al posto di est, ha adottato una terminologia «aperta». Il testo è uno stimolo, non una barriera. Se i padri del Concilio avessero voluto imporre barriere, avrebbero mantenuto est o, meglio ancora, sottolineato il secolare Extra ecclesiam nulla salus.
Un paragone per comprendere meglio. San Francesco d’Assisi fondò l’ordine francescano, che si divise in frati minori, conventuali, cappuccini, fraticelli, ecc. Oggigiorno l’ordine fondato da Francesco esiste ancora? Tutti i frati, a prescindere dalla loro appartenenza, rispondono di sì. Però si potrebbe discutere dove l’ordine di san Francesco «sussiste» nella forma genuina e cosa si è perso per strada.
non nega la grazia
a chi fa ciò che può
Il Concilio affrontò pure il problema della possibilità di salvezza per chi appartiene alle religioni non cristiane. L’articolo 16 della Lumen gentium è chiaro: «Quelli che senza colpa ignorano il vangelo di Cristo e la sua chiesa e, tuttavia, cercano sinceramente Dio e, sotto l’influsso della grazia, si sforzano di compiere con le opere la sua volontà, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire l’eterna salvezza».
Questa soluzione contrasta il «fuori della chiesa non c’è salvezza». Il Concilio non poteva scordare quanto aveva sancito al numero ottavo, soprattutto perché continuava ad essere valido il principio altrettanto secolare: facienti quod est in se Deus non denegat gratiam (a chi fa ciò che può Dio non nega la grazia).
Resta oggi aperto un altro problema: quello degli agnostici e indifferenti, di coloro che appartengono alla società secolarizzata e alla laicità. È accettabile la loro provocazione di un «disarmo religioso», ritenendo le differenze come componenti benefiche della diversità umana?
La melassa
È per gli animali
Dal punto di vista cristiano, Gesù è «sorgente di vita per tutti», perché «la salvezza viene da Cristo», come scrive Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptoris missio (1990). Pertanto la missione ad gentes «ha per destinatari gli uomini che non conoscono Gesu Cristo, né il vangelo, né la chiesa» (55). È ugualmente pacifico che «Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini» (1 Tim. 2, 4).
Tuttavia è comprensibile che la chiesa si preoccupi di non svendere il proprio patrimonio in bancherelle di periferia. La chiesa cattolica, in particolare, mette in guardia contro due pericoli, che si propagano come una epidemia: il relativismo e il sincretismo.
Il relativismo religioso è «fare di ogni erba un fascio», ritenere che una religione valga l’altra… come se culture, lingue e manifestazioni artistiche fossero tutte uguali. Ma – si sa – l’argento non è oro, il coccio non è maiolica e il vetro non è cristallo! Come avviene pure nel campo monetario: ci sono monete fortemente inflazionate; dove sono in uso, servono al massimo a non morire di fame.
E ci sono monete forti. La chiesa cattolica ritiene di possedee una, garantita da una riserva in oro procuratagli da Cristo e dalla sua storia: una moneta sicura, anche se soggetta a sbalzi. Monete valide esistono pure in altre chiese e religioni. Ma, al cambio, occorre aprire gli occhi.
La ricchezza della chiesa sta nel saluto che Paolo rivolge ai suoi cristiani: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi». Come in natura: non tutto ciò che per l’uomo è commestibile, lo è alla stessa maniera; col grano buono cresce anche la zizzania; in una rete non tutti i pesci sono uguali.
Le chiese e le religioni non sono uguali: alcune, anzi, possono manifestarsi repressive, intolleranti, disumane; altre (con i valori positivi) possono celare veleni, come anche tra gli aspetti validi possono esistere differenziazioni rilevanti. Per questo occorre l’uso dei «raggi X», come fanno i medici per vedere sotto la pelle. Occorre dare uno sguardo «dietro le quinte».
Più pericoloso ancora (e banale) è il sincretismo, cioè il tentativo di costruire una super-religione prendendo un po’ da tutte, come sostiene il New Age o si è tentato di fare in passato senza nulla concludere. Giungere ad un «esperanto religioso» non è possibile. Il giornalista Igor Man ha adoperato l’espressione «sincretismo marmellata». Forse sarebbe meglio parlare di «melassa», che è quanto rimane dopo aver spremuto dalle barbabietole lo zucchero: una miscela informe, senza colore e gusto, che in Romagna si dà agli animali.
Dove abita il demonio?
Detto questo, la chiesa cattolica non deve più chiudersi in un atteggiamento di rifiuto o opposizione, considerando le altre chiese, l’ebraismo e le religioni come monete fuori uso, residuati da museo, scorie, reliquie rinsecchite, arti anchilosati. Con le altre chiese e religioni bisogna saper convivere, accettando il pluralismo con simpatia dinamica e calore. È un nuovo stile di convivenza cui nessuno è ancora sufficientemente preparato.
Una signora, alla Settimana ecumenica di La Mendola (Trentino), ha raccontato: «Sono nata in un paesino dell’Abruzzo e, vicino a casa mia, c’era un tempio protestante. Già da bambina tutti mi dicevano che, uscendo di casa, non dovevo guardare da quella parte, perché lì c’era il diavolo. Dopo il Concilio, in occasione della Settimana di preghiera per l’unità della chiesa in gennaio, il parroco e il pastore un giorno pregarono nella parrocchia e, un altro, nel tempio evangelico. Fu uno shock per me entrare nel tempio, quando per tutta la vita mi avevano detto che vi abitava il demonio».
Con gli appartenenti alle altre religioni il dialogo è pure doveroso, ma assai più problematico: si rischia di discutere senza fine. Il dialogo è utile nella misura in cui serve, almeno, ad evitare atti d’intolleranza; o, anche, a far meglio capire le differenze e affrontare qualche problema pratico di solidarietà.
Ugualmente il dialogo è indispensabile con la massa dei contemporanei che fanno professione di ateismo, agnosticismo, indifferentismo.
Una comune aspirazione
di salvezza
L’atteggiamento di apertura e dialogo è necessario, poiché in ogni religione c’è una diffusa aspirazione di salvezza. Perché la chiesa cattolica è «cattolica», non per una universalità materiale di presenza, ma per l’onnipresenza dello Spirito.
Valgono i paragoni, portati da Cristo, dell’albero su cui si posano «tutti» gli uccelli dell’aria (Mt 13, 32), del lievito che fermenta l’«intera» massa (Mt 13, 33) e del banchetto con «ogni tipo» d’invitati (Lc 13, 29). Vale l’immagine delle «12 porte» della «Gerusalemme celeste» (Ap 21, 22), che permettono l’ingresso da ogni lato. Più ancora vale la visione da fantascienza che i salvati sono una moltitudine immensa che «nessuno può contare», proveniente da «ogni nazione, razza, popolo e lingua» (Ap 7, 1-9). La bontà di Dio si leva su tutti, come il sole in cielo, e scende su tutti come la pioggia (Mt 5, 43).
Vale il passo degli Atti degli apostoli (17, 22-28), quando Paolo indica agli ateniesi «un Dio ignoto» (che adorano senza conoscerlo), nascosto in immagini e idoli. Ciò significa che le «religioni pagane» non si caratterizzano solo per il segno «meno».
Agli inizi – dice la Bibbia – il mondo fu avvolto da luce, e quella luce «era vita». E prima della luce «c’era il verbo», cioè la parola di Dio: parola, vita, luce che «illumina ogni uomo» senza eccezione.
Infine c’è lo spirito di Dio che «soffia dove vuole» (Gv 3, 8), anche al largo degli oceani e non solo al riparo dei porti.
E attenti ai cortocircuiti!
Fa riflettere quanto raccontò padre Arrupe, superiore generale dei gesuiti, circa la sua prima esperienza in Giappone.
«Nei miei primi tentativi missionari – affermò il gesuita – ricevetti una lezione dolorosa, ma molto utile. Istruivo quattro catecumeni accennando all’esistenza di Dio, l’anima immortale, la creazione, la divinità di Gesù Cristo. Tutto procedeva bene. Poi arrivò il momento di dimostrare l’unicità della vera religione. Dissi, in conclusione, che la religione cattolica era l’unica vera. Senza rendermi conto di dove stavo andando a parare, affermai che il cattolicesimo è il custode dell’unico e vero credo. Quando ebbi finito, i miei quattro uditori sembravano convinti. Non fecero alcuna obiezione, né mi chiesero spiegazioni. Ci salutammo e ci demmo appuntamento per il giorno seguente…
… L’indomani arrivò solo uno dei quattro. Gli altri tre non vennero più. Cos’era successo? L’unico scampato al naufragio me lo spiegò. La mia ultima lezione (esempio tipico d’inesperienza) aveva spento la speranza che quei tre catecumeni, onesti, avevano riposto nella nostra religione. Le riflessioni che si scambiarono dopo il mio discorso furono: “Non è possibile che Dio abbia potuto lasciare, per tanti secoli, i giapponesi fuori della conoscenza dell’unica vera religione. Se nessuno può essere salvato fuori della religione cattolica, quale sarà dunque la sorte di tutti coloro che ci hanno preceduto?”».
Dobbiamo annunciare Cristo, salvatore di tutti gli uomini, ma nel modo giusto.
L’unica tessera
di riconoscimento
La tessera di riconoscimento per essere ammessi in paradiso – come diciamo noi cattolici – è una sola: «Avevo fame e voi mi avete dato da mangiare», con ciò che segue (Mt 25, 31-46).
Come le beatitudini evangeliche sono un paradosso e una provocazione, così lo è il seguente racconto del giornalista Domenico del Rio.
«Budda vide un giorno i dannati che si aggrovigliavano là in fondo e, tra essi, c’era anche Kandata, il famoso brigante e incendiario di paesi. Ma Budda sapeva che nella sua malaugurata vita era stato capace di una buona azione. Un giorno, sulla strada, aveva incontrato un piccolo ragno: invece di calpestarlo, lo aveva posto a lato della via. Per tale piccolo atto di pietà Budda pensò di togliere Kandata dall’inferno. Su una foglia di loto vide il ragno color giada in paradiso, sospeso ad un filo d’argento. Spostò il loto, prese dolcemente il fragile filo e lo calò all’inferno. Kandata vide il filo d’argento e, senza sapere cosa facesse, vi si aggrappò e cominciò a salire. A metà percorso, si fermò un momento e guardò giù nel profondo dell’inferno. Con spavento vide che anche altri dannati, in una lunga fila, si erano aggrappati al fragile filo e salivano lentamente. “No, no – gridò Kandata -, è mio il filo del ragno. Si romperà. Andate via!”. E scuoteva furiosamente il filo per far cadere gli altri. Alla fine il filo si spezzò tra le mani del bandito, che ripiombò nella notte spaventosa tra il fuoco, a testa in giù».
La medesima lezione ci viene dal mondo musulmano. Ad Abur Bakar, mistico di Baghdad, morto nel 945, apparve in sogno un amico, che gli chiese: «Come ti ha trattato Dio?».
«Dio mi ha posto al suo cospetto e mi ha chiesto: “Abur, sai perché ti ho perdonato?”. Io risposi: “A causa delle mie azioni”. E Lui: “No”. Ed io: “Perché ero sincero nella mia devozione”. Dio rispose ancora “no“. “Allora per i miei pellegrinaggi, i digiuni, le preghiere”. “No, non è per questo che ti ho perdonato”. “Perché allora?”.
Dio disse: “Ricordi quando, camminando per le strade di Baghdad, trovasti un gattino che il freddo aveva reso debolissimo e che si muoveva appena da un muro all’altro in cerca di riparo dalla neve, e come tu, preso da compassione, lo sollevasti e lo tenesti sotto il mantello che indossavi e, così facendo, lo proteggesti dal gelo?”.
– Sì, ricordo.
– Perché avesti pietà di quel piccolo gatto io ho avuto pietà di te…».
Per dire che la bontà è senza limiti e apre tutte le porte, anche quelle del cielo.
Un giorno Nikolaevic Tolstoj raccontò una parabola. Un re si recò ad una battuta di caccia. Dopo aver abbattuto molta selvaggina, ebbe sete e andò in cerca di una fonte. Trovata una sorgente d’acqua chiara e fresca, riempì una coppa e fece per bere; ma il falco che teneva sul braccio si agitò e, con un colpo d’ala, la rovesciò. Di nuovo il re riempì la coppa, ma il falco, svolazzando, rovesciò anche questa. Il re, oramai nervoso, ripetè il gesto e, con maggiore attenzione, cercò di bere. Anche questa volta il falco si gettò sopra la coppa e la rovesciò.
Allora il re uccise il falco. Stava quindi per riempire un’altra volta la coppa, quando giunse ansante uno del suo seguito e gli gridò: «O re, non bere quell’acqua. È una sorgente avvelenata».
E Dio non terrà in nessun conto questi atti di estrema generosità, anche se compiuti da animali?
Goffredo, Isacco, Pavel
e Teresina
Che dire se qualche cattolico si recasse in pellegrinaggio a Torino, non nei luoghi sacri, ma in Piazza Castello, per sostare in preghiera di fronte alla lapide di Goffredo Varaglia? La lapide fu posta dai valdesi, l’11 novembre scorso, proprio sul luogo dove il 29 marzo del 1558 Varaglia fu impiccato e bruciato per eresia. Varaglia era un frate francescano. Inviato alla corte di Francia quale membro di una delegazione pontificia, a Parigi aderì al protestantesimo. Poi fu inviato come pastore nelle valli valdesi del Piemonte. Catturato dagli agenti dell’inquisizione e rifiutando di abiurare, fu condannato a morte.
E perché non recarsi anche, sempre a Torino, alla tomba dell’ebreo cuneese Isacco Levi, che gli ebrei venerano per la sua straordinaria carità?
Ancora: perché non invocare la protezione del prete ortodosso russo, Pavel Florenskij (1882-1937), considerato come scienziato un secondo Leonardo da Vinci e, come cristiano, un grande come Agostino o Rosmini? Venne deportato in Siberia e qui, per farlo tacere definitivamente, fu fucilato l’8 dicembre 1937. È un martire della fede.
Teresa di Lisieux (1873-1897), all’età di 14 anni, era preoccupata della sorte del famigerato Pranzini, accusato di assassinio, condannato a morte e ghigliottinato il 31 agosto 1887. Nonostante il rifiuto del reo di confessarsi, la giovane chiede a Dio un segno della sua salvezza. Sul patibolo, con il capo già sul «lugubre foro» – scrive la santa – Pranzini accettò di baciare il crocifisso che gli veniva presentato. Era il segno che Teresa aveva chiesto nella preghiera… In seguito, già sul letto di morte, l’11 luglio 1897, la santa fece questa dichiarazione: «Ha ragione, reverenda madre: se avessi commesso tutti i delitti possibili, avrei sempre la stessa fiducia, sentirei che quel cumulo di offese sarebbe una goccia d’acqua in un braciere ardente».
Non è meraviglioso un cristianesimo che giunge a tali altezze?
Igino Tubaldo