Un po’ di dinamite e tanta pace
Un autodidatta che parlava svedese, russo, francese, inglese e tedesco.
Chimico, industriale, scienziato.
E inventore della dinamite.
«La mia casa è il lavoro e il lavoro è dappertutto» diceva. Ricco ma non felice, destinò 300 miliardi
di lire al bene dell’umanità.
Il personaggio
Poche personalità svedesi sono conosciute nel mondo come lui, almeno per quanto concee il nome. Il grande pubblico, forse, non conosce la sua storia in dettaglio; ma sa del premio… Nobel.
Stiamo parlando proprio di Alfred Behard Nobel, chimico, industriale e scienziato svedese, nato a Stoccolma il 21 ottobre 1833. La sua famiglia discendeva da agricoltori della Scania, una regione all’estremo sud della Svezia. Il cognome originario era Nobelius, successivamente abbreviato in Nobel.
Ultimo di tre figli, Alfred era di vivace intelligenza fin da bambino. Ma non frequentò mai regolarmente la scuola, costretto a seguire il padre prima in Russia (dove il genitore aveva alcune aziende meccaniche) e poi viaggiando in Inghilterra, Francia, America.
Autodidatta, a 20 anni era già un buon chimico e parlava correntemente svedese, francese, inglese, tedesco e russo. Amante della solitudine (sovente spariva per lunghi periodi e nessuno sapeva dove fosse), era un sognatore introspettivo.
Professionalmente Alfred crebbe all’ombra del padre fino alla sua prima e importante scoperta nel 1862, quando brevettò un detonatore a percussione, che utilizzò nella fabbrica di nitroglicerina a Heleneborg presso Stoccolma.
Era cortese, soprattutto con la baronessa Bertha von Suttner (la prima donna ad essere insignita del premio Nobel per la pace nel 1905), che così lo descrisse: «Aveva 43 anni, piuttosto basso di statura, la barba nera; i lineamenti non erano né belli né brutti; il tono della voce era malinconico e il volto triste, però illuminato da occhi azzurri che esprimevano un’infinita bontà d’animo». Con Bertha Alfred ebbe un legame tormentato: durò circa 20 anni, trascorsi spesso lontani l’uno dall’altra.
Con il passare del tempo, Alfred si incupì. Rigettò ogni ostentazione. Ebbe pochi onori pubblici, anche perché non li cercava. «So di non aver meritato la celebrità – dichiarò – e non ho alcun amore per il chiasso. In questi tempi di rumorosa e sfrontata pubblicità, solo chi ha particolari tendenze per queste cose deve permettere ai giornali di riportare le proprie dichiarazioni o di pubblicare la sua foto».
Non si fece mai ritrarre. Di lui esiste un solo quadro, eseguito dopo la morte.
Nobel, però, fu molto generoso, aiutò gli altri in maniera consistente e fu religioso a modo suo. «Circa le mie idee religiose – disse -, ammetto che escano dalle vie comunemente battute. Proprio perché questi problemi sono infinitamente superiori a noi, rifiuto di accettare le soluzioni proposte dall’intelligenza umana. Sapere che cosa dobbiamo credere mi pare impossibile come la quadratura del cerchio».
Nonostante le notevoli qualità (era colto, profondo, spirituale e ricco), Alfred Nobel non fu mai felice e non ebbe molto successo nelle relazioni umane. Per esempio, non si formò una famiglia. «La mia casa – diceva – è il lavoro, e il lavoro è dappertutto».
attività e invenzioni
A 31 anni Alfred si trovò solo a dover fronteggiare ogni difficoltà, dopo l’ennesimo fallimento economico del padre. Inoltre la fabbrica di nitroglicerina era saltata in aria, uccidendo il fratello Emil e alcuni lavoratori.
Pur nel dolore, Alfred non si scoraggiò e quasi subito organizzò una Compagnia svedese per la fabbricazione di una glicerina meno pericolosa, facendola brevettare in tutta Europa. Si trattava di un miscuglio di glicerina ed estere trinitrico, inventato nel 1847 da Ascanio Sobrero: un modesto medico piemontese che, a Torino, insegnava chimica alla Scuola di meccanica e chimica applicata alle arti. Nobel rese più stabile la nitroglicerina mescolandola con materiale neutro.
Ottenne così nel 1867 la dinamite: tale prodotto avrebbe rivoluzionato il lavoro in miniera, la costruzione di strade e gallerie. Alcuni anni dopo, realizzò la «polvere pirica Nobel», che costituì la base di partenza per altre scoperte. Cominciarono esperienze e studi che portarono lo svedese a brevettare oltre 300 invenzioni, fruttandogli una immensa fortuna. In pochi anni divenne ricchissimo.
Più armi… più pace?
Allorché Bertha von Suttner (ispiratrice del premio Nobel per la pace) tentò di convincere Alfred a partecipare a un convegno sulla pace, questi rispose: «Le mie fabbriche possono mettere fine alle guerre più rapidamente dei vostri incontri. Il giorno in cui gli eserciti si annienteranno reciprocamente in un secondo, tutte le nazioni (dobbiamo almeno sperarlo) eviteranno la guerra e smobiliteranno i loro arsenali. Più le armi saranno apocalittiche, più gli uomini eviteranno la guerra. Forse il modo per scongiurarla è di costringere tutti i paesi a punire severamente chi pone fine alla pace e dichiara guerra».
Questa dichiarazione del dicembre 1895 (un anno prima della morte) racchiude l’ideale di Nobel: non distruggere il genere umano; eliminare le ingiustizie, ereditate da epoche di oscurantismo; favorire lo sviluppo e la scienza per vincere la battaglia contro tutti i mali fisici che affliggono l’uomo.
E fu proprio per vincere questa battaglia che Alfred Nobel decise di destinare la maggior parte delle sue fortune «a un fondo i cui interessi si distribuiranno ogni anno come premio a coloro che, durante l’anno precedente, abbiano maggiormente contribuito al benessere dell’umanità…».
«Una parte del premio andrà a chi abbia fatto l’invenzione più importante o recato il più grosso contributo nella chimica; un’altra parte alla persona con la maggiore scoperta nel campo della fisiologia o della medicina; una parte ancora a chi, nella letteratura, abbia scritto l’opera ideale più notevole; una parte, infine, all’individuo che più si sia prodigato o abbia realizzato il miglior lavoro ai fini della frateità tra le nazioni, per l’abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti».
È la parte finale del testamento che Alfred Nobel redasse a Parigi nell’agosto 1896, qualche mese prima di trasferirsi a Sanremo, dove morì il 10 dicembre in grande solitudine.
La «Fondazione Nobel»
Dopo la morte di Alfred Nobel, venne formato un Organo che avviasse le procedure per il riconoscimento del testamento (solo 300 parole), soprattutto per l’uso migliore del patrimonio lasciato: 31 milioni di corone svedesi, pari a circa 300 miliardi di lire italiane attuali.
Poiché Nobel aveva previsto dei premi inteazionali (senza tuttavia precisare competenze e criteri di scelta), il 29 giugno 1900 (dopo quattro anni di battaglie legali tra eredi e stato) un decreto del Consiglio reale svedese approvò lo statuto della Fondazione Nobel, confermato il 10 aprile 1905 con disposizioni valide tutt’oggi.
Così iniziava l’«avventura» della Fondazione Nobel, cui sono collegate:
– l’Accademia reale svedese delle scienze (275 membri, scelti fra i più prestigiosi centri scientifici del paese): assegna il Nobel per la chimica e fisica;
– l’Assemblea del Karolinska Institutet (150 membri del massimo centro medico della Svezia e uno dei migliori del mondo): nomina i Nobel della fisiologia o medicina;
– l’Accademia di Svezia (con 24 fra i più autorevoli scrittori locali): designa il Nobel della letteratura;
– la Banca di Svezia (con 48 qualificati economisti): sceglie il vincitore del Nobel in economia istituito, a differenza degli altri, nel 1969;
– la Commissione Nobel, formata da cinque parlamentari norvegesi (poiché fino al 1905 Svezia e Norvegia costituivano un unico regno): assegna il premio per la pace.
La consegna dei cinque premi avviene a Stoccolma e a Oslo il 10 dicembre di ogni anno, anniversario della morte di Alfred Nobel. Con ogni probabilità la mondanità della cerimonia fa rivoltare nella tomba l’ideatore di un premio tanto significativo.
Eesto Bodini