Un’allibita e una “rompiscatole”

Sono rimasta allibita da «I terroristi di S. Tommaso» (Missioni Consolata, giugno 2000). L’articolista non si rende conto che le frasi «chi intraprende la lotta armata non si percepisce come terrorista», «la scelta della violenza rappresenta un mezzo obbligato per raggiungere un fine superiore»… si applicano a tutti i terrorismi? Ed è semplice constatare che furono le «idee» che animarono, in Italia, le Brigate rosse.
Il resto dell’articolo, anche se nota che «un uomo non ha diritto di scegliere quale sia il bene degli altri», è tutto sbilanciato sull’«ideale» dei terroristi e sul loro avvicinarsi a concezioni messianico-cristiane (per cui si ha la verità in tasca e si può imporla agli altri). Non una parola sui dolori, sulle tragedie e sui morti che il terrorismo in Perú (e non solo) ha provocato. Questa è una tendenza fanatica, a cui portano certe commistioni tra politica e religione.
Luciana Gallino – Torino

Gentili amici, sono la solita rompiscatole, che vuole, precisare e mettere i puntini sulle «i». Capisco di essere molesta. Ma, leggendo l’articolo «I terroristi di S. Tommaso», ho sentito l’impulso a scrivervi.
Dice l’articolista che in Colombia un movimento rivoluzionario è stato fondato da un sacerdote, Camillo Torres, che ha avuto tra le sue file diversi religiosi con incarichi di responsabilità… In Perù molti cattolici sono vicini alla teologia della liberazione: il tutto come se fosse la cosa più normale ed ortodossa.
Una volta per tutte, per non confondere le idee dei lettori, vogliamo dire con chiarezza che la teologia della liberazione applica alla realtà l’«analisi marxista», fa di Cristo un «liberatore» alla Che Guevara ed è stata sconfessata dalla chiesa? Vogliamo dire chiaramente che Gesù Cristo non era un rivoluzionario che tendeva a sovvertire ordinamenti sociali ingiusti, ma veniva a liberarci dal peccato, dalla morte e a rivelarci il Padre?
Vogliamo dire (una volta per sempre) che la lotta violenta, l’uccisione dei nemici non è cristiana? Che cambiare struttura e vertici non porta a nulla di meglio dell’esistente, come ha dimostrato l’esperienza nei paesi comunisti?
Siamo capaci di dire a chiare lettere che il cambiamento avverrà quando ogni uomo prenderà coscienza della sua dignità di figlio di Dio e, in solidarietà con altri, lotterà pacificamente per la propria libertà? Che nel lungo e difficile cammino di liberazione non sono ammesse «scorciatornie violente»?
Io non chiedo che gli articoli in sintonia con la teologia della liberazione non siano pubblicati, ma è obbligatoria una parola di chiarificazione e commento.
Con tutto ciò aderisco allo spirito della «campagna» di solidarietà verso i carcerati del Perù (Missioni Consolata, giugno 2000). Ho già l’indirizzo di una «terrorista», con cui desidero iniziare uno scambio epistolare, nel pieno rispetto delle sue convinzioni.
Giulia Guerci – Castellazzo B.da (AL)

Dunque mettiamoli i puntini sulle «i».
L’analisi marxista (non il marxismo) è un metodo di studio: se, di fronte ai mali sociali, provoca un impegno per la giustizia e l’uguaglianza, tale analisi è positiva, soprattutto se avviene dove la differenza tra ricchi e poveri è abissale.
n La vera teologia della liberazione non presenta un Gesù rivoluzionario alla Che Guevara, bensì i volti di Gesù malato, nudo, assetato, forestiero, incarcerato… che attende la «liberazione» (cfr. Mt 25, 35-36). E, di fronte a moltitudini che muoiono di fame, non è fuori luogo rispondere alla domanda: «Queste sono state affamate da chi?».
n Al cospetto di tanti «poveri cristi», resi schiavi dai «faraoni» del comunismo o del capitalismo, dalle multinazionali, dalla new economy, dai servizi segreti, dall’usura…, Dio dichiara sempre a qualche Mosé: «Ho visto l’oppressione del mio popolo. Ora va’ e libera il popolo mio» (cfr. Es 3, 7-10). Ecco la teologia della liberazione.
n Gesù non esita a definire «volpone» lo spregiudicato e potente Erode (cfr. Lc 13, 31).
n Il peccato non è solo un male personale. Esistono anche «strutture di peccato». In alcuni imperialismi modei si nascondono forme di idolatria: del denaro, del potere, della pubblicità, della tecnologia. «Si tratta di un male morale, frutto di molti peccati, che portano a strutture di peccato – scrive Giovanni Paolo II -. Diagnosticare così il male significa identificare esattamente il cammino da seguire per superarlo (Sollicitudo rei socialis, 37).
n Sul no alla violenza, pienamente d’accordo.

Luciana Gallino e Giulia Guerci