Si è vista prima la nave di Cabral o la terra su cui è sbarcato? Ha visto, per primo, il portoghese o l’indio? È certo che gli indigeni erano già sulla costa di Porto Seguro quando i portoghesi riuscirono a scorgerla.
Però non è importante sapere chi fu il primo a vedere la nuova realtà. Fondamentale è conoscere l’«altro lato» della storia non scritta, tanto più quando si è in presenza di visioni antagoniste, cristallizzate nella frattura socio-nazionale del Brasile. I vinti di ieri sono gli esclusi di oggi. Rappresentano la stragrande maggioranza, resa però minoranza senza voce.
La perplessità è presente nella storia del Brasile fin dal principio. «Perplessità» è la parola che meglio riassume la sensazione degli indios quando i portoghesi conquistarono la loro terra. Chi aveva incontrato, prima di allora, individui… così pelosi, così pallidi, così carichi di vestiti? Uomini senza donne, parlano una lingua incomprensibile, guidano «case» sulle acque come fossero canoe. Chi sono e cosa vogliono?
La perplessità e i suoi sottoprodotti (curiosità, sfiducia, paura) segnarono i primi incontri nel 1500. La diffidenza era reciproca. Indios e portoghesi non sfuggirono alla regola seguente: quando persone o gruppi forestieri si vedono per la prima volta, non si mettono a giocare abbracciandosi uno con l’altro. Non fu quindi un incontro idilliaco.
Seguì lo spavento, allorché gli indios, accanto alla propria schiavitù, videro anche quella degli uomini neri portati a forza dall’altra parte del mare con il sequestro e lo stupro delle donne. Poi nacquero i mulatti, che furono aggregati al sistema con violenza…
La conquista fu un cataclisma per gli uomini e la natura. Il mondo non era più lo stesso. I bianchi annientarono la cultura indigena. L’oppressione costante, le separazioni lancinanti delle persone, i demoni dei missionari… si installarono in un clima di terrore. Quelli che non riuscirono a fuggire all’invasore bianco sprofondarono in uno stato di rassegnazione e resistenza muta, paralizzati per il disgusto, resi schiavi dalla paura.
Seguirono 500 anni di disperata pazienza, inframezzata da rivolte. Si fece silenzio. La sua eco è arrivata fino a noi, oggi, attraverso l’umiliazione della gente contadina senza terra.
N el festeggiare il quinto centenario del Brasile, lo stato, abituato al disprezzo del popolo, non ha accettato il confronto con la storia. Celebrando «la portoghesità» e non «la brasilianità», ha agito come i colonizzatori e i loro eredi. Per rendere più concreta l’impostura ha creato un «museo aperto», la cui definizione tecnica è spregevole.
Ma la contestazione non si è fatta attendere. L’attacco è stato diretto contro «la portoghesità». Si sa che, dal punto di vista europeo, la «trovata» portoghese non esiste: infatti Colombo ha preceduto Cabral nel 1492 e nel 1498, quando ha individuato il continente americano. Qualunque altra «scoperta» è subordinata a quella spagnola.
Il popolo brasiliano scopre, perplesso, che i 500 anni della sua storia si appoggiano su una farsa. La storia del suo paese comincia con una scoperta che non c’è stata.
Infine come mettere insieme una nazione, tronfia di una scoperta, che esclude la maggior parte della popolazione? Come far progredire un paese la cui storia ha per base l’irrazionalità e perpetua il mal governo?
C inquecento anni dopo la conquista-colonizzazione, il Brasile è un paese ancora diviso e deturpato, dove gli eredi dei colonizzatori continuano a sfruttare i discendenti dei colonizzati. Il popolo vive nella miseria, ed è quotidianamente discriminato ed umiliato. La cordialità e la democrazia razziale, che si accreditano al brasiliano, sono solo simulacri segnati dall’esclusione sociale.
Come la conquista è avvenuta nell’ambito di tribù che si distinguevano anche per caratteri biologici, l’intero processo di colonizzazione si è avvalso del tribalismo, sfruttandolo e sovrapponendolo ai problemi economici. L’odiea esclusione sociale ha pertanto basi etniche: ne fanno le spese indios, neri, contadini senza-terra.
I mali del paese non sembrano avere soluzioni, perché le classi dirigenti, i partiti, gli intellettuali e persino la sinistra fingono di non conoscere questa dolorosa realtà. Ma come è possibile estraniarsi? Come si può vivere dentro un’apartheid senza vederla? Si può parlare a nome del popolo brasiliano e, nello stesso tempo, identificarsi con i conquistatori? È quanto sta accadendo in Brasile.
La situazione stagnante ha impressionato il mondo intero: il Brasile è probabilmente il paese più disuguale del pianeta.
Ma il quinto centenario della storia del Brasile può offrirci l’opportunità di un cambiamento. Abituato al disprezzo per il popolo, il governo si tradisce. L’abito del disprezzo condanna i tiranni. Nel Brasile la cosa non sarà diversa.
Allora il paese uscirà dalla perplessità, dalla sudditanza, dell’esclusione. E incomincerà finalmente ad esistere nella storia.
Celene Fonseca