Non è «il più grande del mondo». Quanto a superficie, Russia, Canada, Cina e Stati Uniti lo superano. Ma tant’è. Il brasiliano dirà sempre: «Dio è grande, ma il Brasile è ancora più grande». Se poi vince il campionato mondiale di calcio, tutti scattano in piedi per proclamare: «Anche Dio è brasiliano».
Il Brasile è grande soprattutto per i contrasti. Ad esempio, in rapporto alla popolazione, è il quarto produttore al mondo di cibo, ma si dibatte nella denutrizione, preceduto solo da India, Bangladesh, Pakistan, Filippine, Indonesia. E 36 milioni di bambini si dibattono nella miseria. Perché?
Un’amica brasiliana ha risposto con una favola. «Dio, nel creare il mondo, disse ad un angelo: “Fa’ scorrere fiumi maestosi in Brasile. Scarica terremoti e gelate in Europa, ma pianta alberi meravigliosi in Amazzonia e riempi la sua terra di minerali preziosi…”.
L’angelo interruppe: “Scusa, Signore! Perché al Brasile doni solo cose belle e agli altri cose brutte?”. “Ma tu non sai – replicò il Padreterno – che razza di politici goveeranno il paese!”».
Il problema del Brasile non è la povertà,
ma l’ingiustizia.
«o maior do mundo»,
numero speciale di Missioni Consolata sui 500 anni del Brasile, coglie la triste verità:
n ripercorrendo la storia, mentre «la telenovela
continua»;
n analizzando le questioni sociali, dove «i nodi
vengono al pettine»;
n seguendo il cammino della chiesa, che presenta
«un vangelo
dai tanti volti».
I diversi volti del Brasile (dall’indio al piccolo proprietario, dal nero all’ex emigrato italiano) dovrebbero essere accomunati dalla frateità. Essa è soprattutto spirituale; ma reale, visibile, storica. Non basta la comunione fra spiriti. L’indio, il nero e il bianco non sono fratelli: infatti appartengono a genitori, paesi e culture differenti. Eppure sono fratelli spirituali se vivono nella reciproca accettazione e condivisione dei loro beni, sapendo di appartenere tutti alla stessa famiglia umana, che è la famiglia di Dio.
E poiché l’uomo, più che fratello, è «lupo dell’uomo», da sempre si lotta per la liberazione da se stessi e dalle strutture oppressive.
È necessario spezzare le schiavitù, specialmente quando «i faraoni» e i loro lacché hanno «il cuore indurito» (cfr. Es 10, 1). Anche Gesù di Nazaret soffre con le folle che accorrono a lui a piedi da ogni città, perché «sono pecore senza pastore» (Mc 6, 33-34).
In Brasile le masse di senza-terra, che partecipano a qualche romaria da terra (marcia-pellegrinaggio), si accodano alle folle cui Gesù Cristo rende giustizia con la liberazione.
Con buona pace di chi vorrebbe imprigionarlo nel tabeacolo, fra lini dorati.
La chiesa, dopo il Concilio ecumenico Vaticano II, «se torna indietro», sbaglia.
Parola di non pochi vescovi.
Francesco Beardi
Francesco Beardi