Il problema della terra – Speciale BRASILE

In Brasile la terra rappresenta un problema esplosivo. Da una parte, poche famiglie possiedono quasi la metà delle terre coltivabili. Dall’altra, 20 milioni di persone ne sono prive. Il «Movimento dei sem-terra» (Mst), nato per difendere i diritti di questi diseredati, organizza e dirige le occupazioni delle «fazendas» incolte. Le autorità e la polizia sono sempre schierate a fianco dei grandi proprietari e delle loro milizie mercenarie dal grilletto facile. La chiesa, attraverso la combattiva «Commissione pastorale della terra», sta con i senza-terra. Tutti sanno che l’applicazione della riforma agraria porterebbe a immediati risultati, ma…

Non piange Claudimara. È abituata ad essere presa a calci dalla vita. I tre figli ora dormono, apparentemente tranquilli dopo una giornata d’inferno iniziata all’alba.
Suo marito, Aparecido da Silva, faceva il facchino a Curitiba. Poi, spinto dalla speranza di cambiare vita, si è unito al locale gruppo dei sem-terra. Qualche mese fa, assieme ad altre 140 famiglie, Aparecido ha occupato una fazenda incolta. Mesi trascorsi nel timore di un attacco da parte della polizia o dei pistoleros assoldati dai latifondisti. Così, infatti, è stato.
Sono arrivati prima dell’alba, con grida e spari per aria, seminando il terrore per l’accampamento ancora avvolto nel sonno. Erano tanti, poliziotti e sgherri incappucciati. Con le bombe lacrimogene hanno fatto uscire le persone dalle baracche. Poi hanno costretto gli uomini seminudi a sdraiarsi con la faccia a terra. Donne e bambini sono stati fatti sedere sotto il sole.
La baracca degli attrezzi da lavoro (sementi, zappe, picconi, falci) è stata bruciata. Le tende sono state buttate giù.
«Interrogavano gli uomini a forza di calci nella pancia – ricorda Claudimara -. Poi hanno caricato mio marito e una decina di altri sui fuoristrada e li hanno portati via. Non ho idea dove siano finiti».
Le famiglie cacciate con la forza dalla fazenda occupata hanno trovato ospitalità in un insediamento legalizzato. Finché non viene emanato un «decreto di esproprio», ogni accampamento dei sem-terra può essere attaccato.
Claudimara osserva con occhi preoccupati i tre figli. Poi aggiunge: «Speriamo che non abbiano distrutto le nostre cose. Non abbiamo i soldi per comprare nuovi materassi, pentole e piatti».
POLIZIA E «PISTOLEROS»

Storie come quelle di Aparecido e Claudimara sono all’ordine del giorno in quasi tutti gli stati brasiliani, ma soprattutto in Pará, Maranhão, Alagoas, Peambuco, Bahia, Paraná, São Paulo (Pontal do Paranapanema).
Cardoso e l’oligarchia economica brasiliana temono i successi del «Movimento dei sem-terra». Davanti alla sua espansione reagiscono in due modi: accentuando la repressione poliziesca e cercando di caricare di connotazioni politiche il movimento, accusato di voler rovesciare lo stato.
Come non bastasse la polizia ufficiale, contro i senza-terra si accanisce anche la polizia dei fazendeiros. Questi, spalleggiati dalle loro organizzazioni – l’«Associazione nazionale dei produttori rurali» e soprattutto l’«Unione democratica rurale» (Udr) – assoldano infatti milizie private: mercenari incappucciati e dal grilletto facile.
«Il Paraná – si legge in un documento della locale Commissione pastorale della terra – è trasformato in un “laboratorio” del trattamento che il governo vuole riservare ai lavoratori e alle lavoratrici che lottano per la terra in Brasile.
La polizia e le forze armate, buona parte del potere giudiziario e i fazendeiros e i deputati ruralisti si sono uniti tutti per realizzare una strategia di repressione.
La maggioranza delle espulsioni sono state realizzate con ordinanza del giudice, a conferma di un aumento della cosiddetta “violenza legittimata”. Nella maggioranza dei casi il potere giudiziario agisce in accordo con gli interessi dei latifondisti: il senza-terra è un criminale, occupare la terra è illegale e pericoloso.
In ogni caso, l’impunità è la regola per i crimini perpetrati dai fazendeiros e dalla polizia, mentre la giustizia è rapidissima nell’incriminare e arrestare i lavoratori».
In realtà, l’azione dei sem-terra ha una solida base giuridica. Questa è data dalla legge del 1993 che applica gli articoli della Costituzione del 1988. Quest’ultima contempla l’espropriazione per interesse sociale. Purtroppo, l’applicazione della legge è talmente lenta che, senza le invasioni dei sem-terra, ben poca terra sarebbe stata redistribuita.
Per non dire delle speculazioni dei latifondisti che, con la compiacenza dei giudici, esigono indennizzi superiori al valore di mercato per le loro terre incolte.

DOVE STA LO SCANDALO?

Dai tempi della conquista spagnola e portoghese, il carattere fondamentale della struttura agraria latinoamericana è la concentrazione di grandi estensioni di terre, il latifondo, nelle mani di una ristretta minoranza, mentre la grande maggioranza della popolazione non ha terra o possiede minifondi insufficienti per sopravvivere.
Il Brasile possiede 6 volte più terra coltivabile della Cina. Questa però riesce a nutrire quasi un miliardo e mezzo di persone, mentre il paese latinoamericano, con soltanto un decimo della popolazione cinese, ha oltre 40 milioni di affamati.
Questo paradosso trova una duplice spiegazione. In Brasile, la terra si concentra nelle mani di un pugno di latifondisti (nel 1997 meno dell’1% dei proprietari deteneva il 43% delle terre coltivabili). A questa ingiusta distribuzione si aggiunge un altro dato scandaloso: migliaia di fazendas sono classificate come grandi latifondi improduttivi che occupano il 18% del territorio brasiliano (153 milioni di ettari). Con questi dati il Brasile detiene il primato mondiale della diseguaglianza nella proprietà della terra.
La piena applicazione della riforma agraria significherebbe risolvere molti problemi. «La riforma agraria – afferma la Commissione pastorale della terra nel Manifesto per la terra e la vita (1996) – è la soluzione sociale per il Brasile.
È il mezzo più semplice ed economico per combattere la fame e la miseria, aumentando l’offerta di lavoro e di alimenti ed elevando il potere di acquisto delle popolazioni più povere. Arresta l’esodo rurale e decongestiona i grandi agglomerati urbani. Diminuisce i fattori che generano emarginazione, criminalità e insicurezza nelle città. Migliora le condizioni di salute, educazione, abitazione e previdenza sociale nelle campagne. Rafforza le piccole e medie città e dinamizza tutta la società. La riforma agraria è la soluzione politica. Aprire ai senza-terra l’accesso alla proprietà e all’uso della terra è un imperativo della democrazia».
Inoltre, l’insediamento delle famiglie senza-terra su terreni da coltivare frenerebbe l’espansione della frontiera agricola a danno della foresta e comporterebbe anche l’abbandono del lavoro sottopagato e la possibilità per i bambini di frequentare una scuola.
«Le occupazioni di terra – ha detto mons. Tomás Balduino, presidente della Commissione pastorale della terra – sono state il modo di realizzare la riforma agraria del paese. Penso che neppure il 5% degli insediamenti è stato fatto per mezzo di qualche iniziativa che non sia quella dell’occupazione di terra. Mi piacerebbe che in Brasile ci fosse la riforma agraria senza bisogno di occupazioni. Ma, poiché il governo non realizza la riforma agraria, non possiamo scandalizzarci di queste».
Cardoso continua a favorire i grandi possidenti terrieri, come dimostra il progetto denominato «Banca della terra». Questo vede impegnati governo brasiliano e Banca mondiale nella realizzazione di una riforma agraria di mercato. Il progetto permette ai fazendeiros che vogliono vendere la terra di ricevere un pagamento immediato da parte della Banca mondiale e ai senza terra che vogliono acquistarla di ottenere un credito dalla Banca. In questo modo, si cede il potere decisionale ai latifondisti e si pone fine all’esproprio delle terre improduttive dietro indennizzo ai proprietari, come prevede la Costituzione.
L’obiettivo strategico del progetto, ha spiegato João Pedro Stedile, uno dei più noti leader dei sem terra, è quello di «distruggere l’Mst, perché non si ammette il diritto dei poveri ad organizzarsi. Si può tollerare che si lamentino, ma che si organizzino no, perché l’organizzazione è pericolosa». Della stessa opinione mons. Balduino. «È il tentativo – ha detto il prelato – di svuotare la lotta dei senza terra e di dividerli: il contadino lascia il gruppo ed entra nel mercato, con effetti per lui disastrosi».

MST, UNA SPERANZA
PER 20 MILIONI

Quanti sono i senza-terra brasiliani? I conteggi non sono facili. Le stime parlano di 4 milioni di famiglie.
Poiché ogni famiglia è composta in media di 4/5 persone (ogni donna dà alla luce almeno due figli), questo significa che 16/20 milioni di brasiliani possono essere definiti «sem-terra».
Ma la categoria cresce. L’agricoltura commerciale, orientata quasi esclusivamente all’esportazione (caffè, canna da zucchero, carne bovina), favorisce la concentrazione delle terre e, di conseguenza, l’espulsione di piccoli proprietari, affittuari e mezzadri. Molti vanno ad ingrossare le fila dei sem-terra, altri tentano la sorte migrando verso le città.
L’esodo rurale è un problema grave. Trent’anni fa il 75% dei brasiliani viveva nelle campagne, oggi l’80% vive nelle aree urbane. Le periferie si gonfiano giorno dopo giorno, divenendo sempre più invivibili. «La popolazione povera – scrive Ivo Poletto in Liberazione nella terra degli afflitti -, espropriata ed espulsa dalle campagne, emigra verso le città in cerca di casa, lavoro, salute, scuola. In cerca, cioè, di tutto ciò che non trova all’interno del paese. Ma quando arriva in città non trova né casa né lavoro. Alla fine, si avventura ad occupare qualche terreno incolto – le cosiddette invasioni urbane – su cui costruirsi la propria baracca, generalmente in località assai distanti dal centro e dall’eventuale posto di lavoro».
In 15 anni di esistenza il Movimento dei senza-terra ha saputo diventare la principale organizzazione popolare del Brasile. I risultati che ha ottenuto sono considerevoli: 250 mila famiglie (cioè circa un milione di persone) sono state sistemate in 1.600 insediamenti in 24 stati del paese. Ma il movimento non si limita ad organizzare le invasioni delle terre incolte. «Non è sufficiente – spiega un dirigente nazionale del Mst – occupare la terra e avere il coraggio di affrontare la polizia, è necessaria molta organizzazione per riuscire a raggiungere l’obiettivo».
Per questo il movimento ha dato vita a decine di cornoperative di produttori, che stanno ottenendo importanti risultati. Ma negli insediamenti è permesso anche il lavoro individuale, mantenendo in comune solo l’utilizzo di alcune macchine e usufruendo dei servizi predisposti (assistenza sanitaria, trasporti, scuola).
Nei 1.600 insediamenti dei semterra l’educazione è considerata una priorità. Gli obiettivi sono ambiziosi: eliminare l’analfabetismo, favorire la scolarizzazione dei bambini, diffondere la cultura alternativa. Nelle 1.000 scuole dei sem-terra sono iscritti oltre 100 mila bambini, mentre 17 mila giovani e adulti seguono i corsi di alfabetizzazione. Il progetto educativo dei sem-terra ha ottenuto un tale successo che è stato premiato dall’Unesco.

LA TERRA,
PATRIMONIO FAMILIARE?

«Se il latifondo – si chiede il settimanale Veja (peraltro sempre critico verso i sem-terra) – è un cattivo affare, perché ci sono tante terre improduttive nel paese? La risposta, che potrebbe applicarsi a molti altri problemi brasiliani, è che il Brasile utilizza male le proprie risorse, tra cui la terra. L’agricoltura brasiliana è una delle più inefficienti al mondo, mentre il paese possiede alcune tra le più belle distese di terre coltivabili del pianeta. Inoltre, in molte regioni, la terra viene ancora tutelata in quanto patrimonio familiare. Anche se rappresenta un cattivo investimento, è un bene che si può trasmettere ai propri eredi, che ha il valore più tangibile, che è meno soggetto all’inflazione e all’instabilità provocata dai piani economici».
Peccato che questi privilegi, santificati dall’ideologia capitalista e dall’infallibile dio-mercato, vengano preservati a scapito di milioni di persone. Anche se, a ben guardare, quella dei sem-terra non va considerata una battaglia ideologica. Più semplicemente, essi lottano perché al diritto di proprietà sia anteposto il diritto alla vita.

Paolo Moiola

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