Sono circa 7 milioni e sono tristemente famosi.
Si danno all’alcornol, alla droga, al furto,alla prostituzione. Dunque cattivi. O meglio «colonizzati».
Da chi, come, perché?
Come è sorto il problema
In Brasile, durante l’epoca coloniale, la nascita di un «figlio illegittimo» era un fatto abbastanza comune. Aveva origine da relazioni tra uomini portoghesi e donne indigene o nere.
I «bambini illegittimi», anche se non erano riconosciuti dal genitore, non si trasformavano in un problema sociale, perché l’organizzazione rurale del tempo li accoglieva nelle grandi fazendas. Pur non ricevendo protezioni speciali, essi instauravano ugualmente dei vincoli con i loro protettori, ottenendo così i mezzi di sostentamento e riparo.
Tra la fine del secolo XVII e l’inizio del XVIII, con l’avvento dei cercatori d’oro, l’organizzazione urbana acquistò forza e il problema degli «illegittimi» iniziò ad assumere un’altra connotazione. Nel 1693 il re del Portogallo e del Brasile, Pietro ii (1648-1706), ricordò al governo di Rio de Janeiro che, se gli istituti religiosi di carità non avessero più aiutato i bambini, si sarebbe dovuto imporre una tassa con tale finalità. Ma non si fece nulla.
All’inizio del secolo XVIII il problema (non risolto dagli enti pubblici) incominciò ad essere affrontato da laici cattolici benestanti. In quell’epoca proliferava anche l’abbandono di bambini sulle strade: li chiamavano expostos (esposti). Erano i primi «meninos de rua» (bambini di strada). Nel 1738 ottennero una casa a Rio de Janeiro.
Dal 1726 la situazione degli expostos diventava sempre più grave con bambini e bambine abbandonati in riva al mare (trascinati poi via dalle onde) o lungo strade deserte, dove morivano di fame.
L’abbandono degli expostos era dovuto a mancanza di risorse economiche da parte di genitori poveri e a motivi sociali, come nel caso di «ragazze-madri» appartenenti alle élites. Tali ragazze, perseguitate dalla rigida morale del tempo, risolvevano la questione della «vergogna pubblica» o con il suicidio o con l’abbandono dei figli.
Nel secolo XIX il compito particolare di proteggere e aiutare i bambini di strada passava progressivamente agli ordini religiosi. E questo per quattro ragioni:
1. l’accresciuta presenza di missionari europei, dedicati all’educazione dei poveri;
2. il modello di chiesa marcatamente clericale, che non valorizzava il laico;
3. il crescente disinteresse dei laici, più preoccupati del lavoro scientifico;
4. la crisi della classe signorile, dovuta al progressivo scomparire della schiavitù.
La storia che trascinava i bambini sulla strada era connessa alla pressione economica e sociale dell’epoca coloniale. Nella loro indigenza, furono discriminati anche con il nome di exposto, ingênuo e oggi, più genericamente, menor (minore).
i caratteri «della» strada
Il menor è un adolescente o giovane povero, abbandonato, emarginato: è presente in ogni angolo del Brasile. Fanno parte di tale categoria soprattutto ragazzi neri, indios e ragazzi della foresta, prostitute baby e ragazze-madri.
Generalmente si distinguono due categorie di minori: quelli «in» strada (menor na rua) e quelli «di» strada (menor de rua).
Il menor na rua trascorre la maggior parte del suo tempo girovagando, vendendo svariati oggetti ai semafori, facendo baratti; però conserva ancora vincoli familiari, ossia sa «dove» ritornare a casa, anche se non lo fa tutti i giorni. Il menor de rua, invece, vive sempre in strada, facendone la sua casa. Ha perso ogni rapporto con la famiglia e si organizza in gruppi, scegliendo determinati luoghi pubblici come punti di ritrovo. Si dedica a baratti e a piccoli furti.
Pertanto si intuisce che, dietro alla differenza tra «na rua» e «de rua», nel secondo caso esiste un maggiore degrado nel processo sociale.
Più specificatamente i «meninos de rua» presentano le seguenti caratteristiche:
– come posto di «lavoro», scelgono luoghi di grande movimento, perché dove maggiore è il flusso di persone, maggiore è la possibilità di guadagnare con baratti e furti;
– dormono poco e in orari diversi;
– non pensano al futuro né prossimo né remoto, come se per loro il futuro non dovesse arrivare mai; vivono alla giornata;
– si organizzano in gruppi e camminano in bande;
– gli elementi estranei al gruppo rappresentano una minaccia: quindi usano codici di riconoscimento per proteggersi;
– sviluppano un linguaggio tipico, molte volte incomprensibile al primo contatto;
– sanno di essere ritenuti dei potenziali delinquenti;
– lasciano la famiglia perché obbligati dalla miseria e violenza che vi hanno subìto;
– provengono da famiglie povere o miserabili, spesso immigrate dalla campagna verso i centri cittadini;
– pur essendo abbandonati a se stessi, possono legarsi a qualche istituzione;
– molti non sanno il proprio nome: hanno solo nomignoli o soprannomi e disconoscono o dimenticano la loro origine;
– presentano un deficit intellettivo o motorio; molti sono analfabeti o con una bassa scolarizzazione;
– non danno valore alle proprietà altrui, perché non hanno sviluppato il senso di proprietà personale;
– indossano anche più vestiti, sovrapponendoli, perché non hanno un luogo dove riporre le loro cose;
– hanno difficoltà a coinvolgersi affettivamente per paura di essere abbandonati; sono emotivamente instabili;
– rappresentano un esempio di «selezione della specie», perché solo i più forti sopravvivono e, anche così, con una salute precaria;
– moltissimi sono tossicodipendenti da colla.
Qualcosa in più
sul disagio
Le abitazioni
dei meninos de rua sono molto scadenti, non solo materialmente, ma anche per la qualità della vita. Si può dedurre che tali ragazzi abbiano poche ragioni di affezionarsi alla loro casa. Pertanto sono più esposti alle «cattive» influenze della strada, ai «cattivi» divertimenti e ai «cattivi» compagni.
I frequenti spostamenti
di residenza portano ad instabilità e ad un relativo anonimato, ostacolando la solidarietà e responsabilità verso i vicini di casa. Questo facilita i comportamenti antisociali e anche delinquenziali. Da alcune indagini risulta, per esempio, che un delinquente su tre ha cambiato casa 11 volte o più, contro 1 su 10 degli altri.
I ragazzi di strada conoscono ambienti molto insoliti: rifugi nottui di fortuna, orfanotrofi o istituti analoghi. Tali esperienze esigono frequenti adattamenti a nuove situazioni, nuovi compagni, nuove attività.
Amano molto l’avventura
e preferiscono tutto ciò che è emozionante, non solo nella vita concreta, ma anche nella loro immaginazione e sentono il bisogno di sfogarsi.
Oltre i 9 decimi dei ragazzi di strada (contro meno di un quarto degli altri) ha l’abitudine di salire su camion o mezzi di trasporto in corsa; il 90% (contro il 23%) incomincia a fumare da piccolo; il 29% (contro lo 0,4%) inizia a bere alcornol eccessivamente dai 13 ai 15 anni ed anche prima; il 67% (contro il 10%) ha l’abitudine di infilarsi nei cinema senza biglietto; il 62% (contro il 4%) si abbandona ad atti di vandalismo. In tutte queste attività «emozionanti», praticate nelle zone urbane e disagiate del Brasile, i ragazzi di strada, come gruppo, superano largamente i ragazzi «per bene».
Ancora: il 95% dei meninos de rua (contro i tre quinti degli altri) sosta agli angoli delle strade; il 46% (contro il 27%) gioca su aree fabbricabili, sui lungomare e nei parcheggi ferroviari. Molti sono vittime di gravi incidenti, in gran parte avvenuti per strada: investiti da automezzi, motociclette o cadendo da veicoli in corsa o da tetti, finestre, staccionate, ponti.
Frateizzano con i coetanei
della loro stessa condizione, e quasi la metà è attirata da giovani più grandi di loro. La tendenza fra i ragazzi di strada delinquenti a cercarsi compagni più vecchi può essere associata al desiderio di un sostituto all’«io ideale», da ammirare ed emulare. Però i genitori dei ragazzi delinquenti sono meno benvoluti dai figli e meno accetti, come modelli, rispetto ai padri dei non delinquenti.
Circa i compagni, i ragazzi delinquenti preferiscono le bande, mentre i non delinquenti le evitano quasi del tutto, preferendo pochi amici intimi. Inoltre i primi mostrano una spiccata antipatia per i lavori organizzati o sorvegliati.
Sotto il profilo socio-morale, il 19% dei ragazzi di strada (contro il 2% degli altri) ha esperienze eterosessuali; il 21% (contro l’1%) pratica vari giochi sessuali e il 29% (contro il 3%) si masturba molto.
Infine i meninos de rua sono ritenuti potenziali delinquenti.
Il bambino o la bambina di strada, che «lavori» o no, può essere arrestato in ogni istante, perché considerato delinquente in fieri; quando non se ne trova la famiglia, viene portato al centro di selezione e smistamento dei vari minori.
I meninos sono spesso sottoposti a procedimenti giudiziari arbitrari, a prescindere dal reato commesso. Il tempo per decidere la loro sorte viene sovente molto dilazionato; ciò è funzionale ad una società che, in questo modo, si libera temporaneamente di soggetti scomodi; i tempi lunghi sono dovuti pure all’esigenza di trovare una soluzione realizzabile.
Nello specifico, il comportamento delinquenziale tipico del menino de rua è il furto, mentre quello della menina è la prostituzione.
la responsabilità
dell’ambiente
L’equivalenza «ragazzo di stradadelinquente» è un luogo comune in molti brasiliani. Tuttavia il menino de rua delinquente sembra essere, soprattutto, la risposta-adattamento alle condizioni ambientali già negative in cui i soggetti vengono a trovarsi. Per cui il candidato a «ragazzo di strada» non è un delinquente, ma facilmente lo diventa.
L’ambiente è fondamentale per lo sviluppo della persona, specie nei primi anni di vita. Ciò ricordato, è la «miseria» la maggiore responsabile delle condotte devianti dei minori. È una miseria non solo economica, ma anche intellettuale ed affettiva, frutto dell’incapacità di gestire e comprendere le proprie dimensioni emotive. Una miseria che pare tramandarsi di padre in figlio.
I genitori in un ambiente squallido, aggravato da inferiorità culturale e intellettuale, malattie fisiche e/o mentali, non offrono ai figli garanzia, sapere, criteri morali, ideali religiosi e serenità d’animo, indispensabili per una sana educazione, specialmente nelle zone urbane dove imperversano la lotta per l’esistenza e l’avidità.
Bowlby individua tutto ciò come «il corrispondente psicologico della delinquenza sociale» e chiama «psicopatia da mancanza di affetto» la quasi totale incapacità di instaurare vincoli affettivi, unita all’impossibilità di aver fiducia nel futuro e nell’altro. Inoltre pesa un senso di colpa riguardante il passato.
Due autori, Kempe R. e Kempe C., hanno analizzato in modo specifico le conseguenze delle privazioni e degli abusi sull’infanzia: i ragazzi antisociali e i giovani violenti di oggi rivelano di essere stati, ieri, vittime di maltrattamenti, trascuratezze e negazioni.
Questo non significa che la maggior parte dei bambini, vittime di violenze, ipso facto si scontrerà con la legge; ma dimostra che quanti la infrangono hanno spesso alle spalle una storia triste e, più di altri, sono indotti alla criminalità. Nella loro situazione il passo è breve.
Secondo molti studiosi, alla base delle condotte criminali esiste un’identità precaria e non integrata, che cerca di compensare le esperienze di vuoto e le privazioni con comportamenti devianti; ciò sfocerebbe nella costituzione di un falso «io»… La delinquenza, quale trasgressione della norma, fornirebbe al ragazzo di strada una nuova e fittizia identità.
Nella favela e negli altri mondi del disagio e dell’abbandono non si entra per caso, bensì sospinti da una condizione precisa, dura e brutale, frutto di uno squilibrio socioeconomico e della propria coscienza.
Più chiaramente: l’abbandono di bambini si verifica perché la sete di potere di alcuni individui, egoisti, immaturi e insicuri della presenza divina, non accetta la regola fondamentale «ama il tuo prossimo come te stesso». Tale insegnamento, considerato seriamente, potrebbe facilitare le persone di potere a superare la loro mentalità di «colonizzatori», per iniziare a trattare le persone con rispetto.
il «sonno» dei colonialisti e Dei colonizzati
In Brasile (e non solo in questo paese) imperversano nuovi colonialisti. Costoro, anche se vivono sulla «loro» terra, si comportano in modo insano; proprio come quel viaggiatore nell’oceano in burrasca che, mentre la nave affonda, diceva ad un altro: «La nave non è mica mia. Allora che affondi!».
I nuovi colonialisti «dormono» nella loro coscienza.
Anche i meninos de rua hanno una coscienza precaria: non riescono a risvegliarsi dal «sonno di colonizzati», come gli indios o i neri di un tempo. Un menino «addormentato» concilia pure, senza saperlo, «il sonno del padrone-colonizzatore». L’accomunamento nel sonno di colonizzatori e colonizzati è fonte di tragedie.
Oggigiorno, se non ci sveglia, il binomio colonizzato-colonizzatore sussisterà anche nei nuovi pianeti. L’impegno contro la fame nel mondo potrebbe, ad esempio, svegliare con benefici comuni.
«Però tu sei cieco nella tua paura di scoprire che non esisti isolato. Le maschere dei tuoi ruoli sociali, il tuo teatro, la tua musica, il tuo cinema, i tuoi libri, la tua tivù, i tuoi confini, la tua famiglia, la tua società, i tuoi amici, il tuo cane, le tue chiacchiere, i tuoi soldi, le tue sigarette, la tua scienza, i tuoi vestiti, la tua moda, i tuoi palazzi, i tuoi giochi, i tuoi sport, la tua macchina, le tue conquiste, i tuoi aerei, il tuo giardino zoologico… e tu finisci per distruggere il dono che Dio ti ha fatto…» (Voz Pierre Weil).
E il menor grida: «Giriamo per le piazze e guardiamo in ogni angolo, finendo ogni speranza e sentendo fame, molta fame di cibo, acqua, letto, ciucciotto… medicinali contro i pidocchi, calore, abbracci, affetto. Fame di silenzio, fame di vita…».
Clovis R. Anversa