Ma lo spirito è libero

Con la «scoperta» dell’America l’evangelizzazione assume dimensioni planetarie. Per portare il vangelo in Asia e Nuovo Mondo il papato
deve servirsi delle caravelle e del sostegno finanziario dei re di Spagna
e Portogallo. Tanto di cappello per i loro sforzi economici; ma a che prezzo!
Le nuove chiese fanno fatica a prendere le distanze dagli intrighi politici;
i missionari contestano le violenze dei conquistatori;
la loro attività è spesso confusa con quella della colonizzazione.
Eppure il vangelo avanza inarrestabile.

Scoperte e conquiste

Il 12 ottobre 1492, data della «scoperta» dell’America, segna un cambiamento epocale nella storia dell’umanità. Nello stesso anno in cui la Spagna si libera dall’ultima presenza saracena, si lancia nelle avventure marinare, sostenendo il sogno di Cristoforo Colombo: raggiungere le Indie navigando verso ovest. Il navigatore genovese s’imbatte in un Nuovo Mondo, più tardi chiamato America.
Alla fine dello stesso secolo, dopo decenni di esplorazioni lungo le coste africane e la circumnavigazione del continente nero, il Portogallo si apre la via marittima verso est e raggiunge le Indie sognate da Colombo.
Alle scoperte segue la conquista. In pochi anni i portoghesi seminano basi fortificate lungo le coste africane e asiatiche: India, Ceylon, Birmania, Thailandia, Penisola Indocinese, Cina. Nel 1500, una tempesta sbatte Pedro Alvarez Cabral sulle coste del Brasile. Nove anni dopo comincia la colonizzazione portoghese.
Gli spagnoli arrivano con cavalli, fucili e cannoni, piegando con estrema facilità la debole quanto inutile resistenza degli indigeni. La conquista sfocia nella colonizzazione e sfruttamento delle ricchezze dei territori occupati: torme di avventurieri, nobili spiantati e contadini affamati cercano di fare fortuna nel Nuovo Mondo, a scapito degli indigeni, ridotti in servitù. Il primo impatto con gli europei è micidiale, secondo la testimonianza, per quanto esagerata, di Bartolomeo de las Casas: in meno di 30 anni dalla scoperta, gli indiani delle Antille sono già totalmente scomparsi, a causa delle guerre, lavori forzati e fulminanti epidemie.
Ma gli indigeni si rivelano troppo deboli per certi lavori; allora vengono sostituiti con gli schiavi neri, catturati in Africa e trasportati nel Nuovo Mondo da compagnie portoghesi e spagnole, inglesi, olandesi e francesi.
Sotto l’avanzata dei conquistatori scompaiono non solo le popolazioni più deboli, ma anche i grandi imperi del continente americano e le loro civiltà: maya, aztechi, incas. Non è certo questo lo scopo inteso dai cristianissimi sovrani di Spagna e Portogallo, che si sono impegnati a portare il vangelo ai nuovi popoli. Ma chi può controllare una conquista portata avanti da condottieri senza scrupoli e per giunta alla testa di una soldataglia drogata dall’avventura e dall’oro?

Evangelizzazione e «patronato»

Le grandi scoperte geografiche e l’incontro con popoli sconosciuti offrono alla chiesa un’altra occasione, la più ghiotta mai incontrata, per un’avventura missionaria su scala planetaria: il vangelo giunge veramente fino ai confini della terra; la chiesa diventa realmente «cattolica», cioè universale.
Per quanto i tempi stiano cambiando, la società cristiana è ancora pervasa dallo spirito di crociata: bisogna battezzare, nel più breve tempo, il maggior numero possibile di eretici e pagani, altrimenti condannati alla dannazione eterna.
Tale urgenza non è sentita solo dai predicatori, ma anche dai laici come Erasmo da Rotterdam. «I viaggiatori portino con sé dalle terre lontane oro e pietre preziose, ma sarà più grande trionfo il portare, di qui a là, la saggezza di Cristo, più preziosa dell’oro, e la perla del vangelo, che vale tutte le ricchezze della terra» scrive il grande umanista.
L’urgenza dell’evangelizzazione è sentita soprattutto dal papato, che vede nelle scoperte un evento provvidenziale, che compensa la chiesa delle perdite subìte con lo scisma protestante. Ma come far fronte a un’impresa di dimensione planetaria e tanto dispendiosa?
Già in precedenza il papa ha concesso ai sovrani portoghesi il diritto di possedere le terre strappate agli infedeli. Per prevenire qualsiasi conflitto tra Spagna e Portogallo, il papa Alessandro VI traccia una linea di demarcazione «da un polo all’altro», passante a occidente delle Azzorre, successivamente spostata 270 miglia più a ovest (1494). A est di tale linea le terre sono riservate al Portogallo; quelle a occidente alla corona spagnola.
Con tale spartizione e ulteriori accordi, il papa legittima per i re di Spagna e Portogallo la presa di possesso delle terre scoperte e da scoprire. In compenso, essi hanno l’obbligo di diffondervi la fede. Diritti e doveri chiamati col termine «patronato». I sovrani sono i «patroni», capi delle nuove chiese: fondano diocesi e nominano i vescovi; sostengono le spese per i viaggi dei missionari, sostentamento del clero e gerarchia, costruzioni di chiese, conventi e parrocchie.
Non c’è dubbio che il «patronato» imprime un impulso decisivo all’espansione dell’evangelizzazione e della chiesa. Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Il connubio tra stato e chiesa finisce per snaturare l’opera missionaria, facendo apparire l’evangelizzazione come una componente della politica coloniale. Il meccanismo del «patronato» condiziona gli evangelizzatori, quando questi non sono confusi con gli agenti del potere politico; le nascenti comunità cristiane, più che nuclei di credenti, paiono isole dell’Europa, i neofiti dei venduti più che convertiti. Molti missionari avvertono il pericolo ed entrano in conflitto con le autorità coloniali.
Lo sforzo maggiore nella nuova crociata di evangelizzazione, però, è assunto in blocco dagli ordini religiosi. Pur essendo spesso delegati dai sovrani, più che dal papato, i missionari sono animati da entusiasmo, volontà di sacrificio, desiderio di martirio, certezza della vittoria. L’opera di evangelizzazione inizia con fervore, conseguendo brillanti risultati. Spuntano promettenti comunità cristiane in Africa, in Asia e nelle Americhe.

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