Il ritorno del Nazareno
Nasce universale
È pentecoste. Spinto dallo Spirito, Pietro prende la parola davanti ai giudei provenienti dai quattro punti cardinali del mondo allora conosciuto, da Roma all’Arabia, dalle coste della Libia a quelle del Mar Nero. Tre mila persone accolgono il primo annuncio della morte e risurrezione di Gesù Cristo e sono battezzate. Poco tempo dopo se ne aggiungono altre cinque mila.
Nasce la missione. Nasce universale. Ma non senza tensioni. Tra i convertiti ci sono giudei della diaspora, chiamati «ellenisti»: questi fanno una lettura diversa della storia d’Israele. Relativizzano il ruolo del tempio e della legge di Mosè e scoprono nel vangelo una dimensione più universale che sorprende gli stessi discepoli di Cristo. Il giudaismo ufficiale reagisce con veemenza: Stefano viene lapidato. Gli ellenisti abbandonano Gerusalemme e portano il vangelo fuori delle mura della città santa.
Intanto gli apostoli sembrano dimenticare il comando del Signore: «Andate in tutto il mondo, fino agli estremi confini della terra; battezzate tutti i popoli e insegnate loro ciò che io stesso vi ho insegnato». Ed ecco altre persecuzioni che costringono discepoli e apostoli a uscire fuori dei confini geografici ed etnico-religiosi a cui sono abituati.
Pietro capisce per primo che l’evangelizzazione è destinata anche ai non giudei, quando lo Spirito Santo lo tira per i capelli nella casa del centurione romano Coelio a Cesarea: tutta la famiglia si apre alla fede in Cristo, viene battezzata e confermata dalla discesa dello Spirito.
Ma chi si distingue nella direttrice universalistica è Paolo, apostolo dei gentili. Uomo di grande statura culturale e spirituale, persecutore dei cristiani, afferrato da Cristo sulla via di Damasco, si butta anima e corpo nella predicazione del vangelo. Tra il 46 e il 58, intraprende tre viaggi missionari, percorre diverse regioni dell’Asia Minore, fino a raggiungere la Macedonia e l’Acaia. Si rivolge dapprima ai giudei, destinatari prioritari del vangelo. Ma di fronte al loro rifiuto, si dedica all’evangelizzazione dei pagani. Un quarto viaggio lo porta a Roma in catene; ma continua a presentare a tutti il Cristo, fino al giorno in cui subisce il martirio, l’anno 67.
Gli apostoli sono affiancati da collaboratori, per lo più laici, missionari itineranti, che si spostano di città in città per annunciare il vangelo (profeti) e per consolidare la fede con la catechesi (dottori). Apollo di Alessandria d’Egitto, Lidia di Tiatira, i coniugi Aquila e Priscilla, collaboratori di Paolo, sono solo alcuni nomi di una folta schiera di anonimi uomini e donne che collaborano alla diffusione del vangelo nel primo secolo della chiesa.
Ma l’apertura universale non è indolore. Una corrente conservatrice esige che i pagani, prima di entrare nella comunità cristiana, diventino giudei, sottoponendosi alle leggi e costumi tramandate da Mosè. Una pretesa impraticabile: i pagani aborriscono la circoncisione; i divieti alimentari impediscono ai cristiani di cultura e origine diverse di prendere insieme i pasti. Per di più, osservava Paolo, l’imposizione della legge mosaica annulla l’assoluta novità e gratuità dell’azione liberatrice operata da Cristo.
La situazione diviene insostenibile. Perfino Pietro una volta la dà vinta ai conservatori, rifiutando di mangiare con gli «incirconcisi». Paolo gli rinfaccia l’incoerenza senza peli sulla lingua. Per dirimere la questione, verso l’anno 50, si raduna a Gerusalemme un «concilio ecumenico», il primo nella storia della chiesa: apostoli, anziani (collaboratori) e delegati di Antiochia, guidati da Paolo, raggiungono un compromesso: le prescrizioni giudaiche non devono essere imposte ai cristiani provenienti dal paganesimo; in compenso questi devono astenersi da comportamenti che fanno rabbrividire i giudei, specie in fatto di matrimonio.
La fede cristiana si sgancia dal giudaismo; con la distruzione del tempio (70), il distacco è definitivo. Ormai anche le autorità romane sanno distinguere i cristiani dai giudei, come dimostra la persecuzione scatenata da Nerone, in cui periscono Pietro e Paolo.
La chiesa diventa veramente cattolica (universale) anche sotto l’aspetto geografico: alla fine del I secolo il vangelo è ormai annunciato in tutte le grandi città dell’Oriente mediterraneo, dall’Egitto all’Asia Minore, dalla Grecia a Roma e alle coste della Gallia.
Le comunità sono piccole; i cristiani sono una minoranza, ma si fanno ammirare e notare per lo stile di vita singolare: preghiera comune e, soprattutto, solidarietà nel soccorrere i fratelli più bisognosi sparsi per il mondo greco-romano.
Evangelizzazione per osmosi
M orti gli apostoli, i loro successori diventano sedentari, facendo un tutt’uno con i vescovi. Anche i missionari itineranti scompaiono gradualmente. Eppure la chiesa cresce e si dilata, grazie a un certo numero di cristiani, come mercanti, soldati, funzionari, schiavi e altre persone costrette a spostarsi a causa del mestiere: evangelizzati, diventano evangelizzatori. Si potrebbe dire che i cristiani, chi più chi meno, si sentano tutti in «stato di missione».
Se da una parte, nel II e III secolo, il vangelo viene comunicato quasi per osmosi, non mancano i missionari veri e propri, che portano il vangelo fino agli estremi confini dell’impero; alcuni, addirittura, passano al di là delle frontiere. Gregorio il Taumaturgo (213-270), per esempio, predica il vangelo nelle regioni estreme del Mar Nero; Gregorio l’Illuminatore evangelizza l’Armenia, fonda ben 12 sedi vescovili, spingendosi fino alla Mesopotamia, Persia ed India.
Alla fine del III secolo i cristiani costituiscono il 15% della popolazione dell’impero, anche se ripartiti in maniera assai disuguale: in molte regioni orientali costituiscono più della metà della popolazione (5-6 milioni); in Occidente il cristianesimo avanza più lentamente (2 milioni), ma raggiunge gli estremi confini dell’impero. Alcune sedi vescovili compaiono in Britannia; una trentina sono in Gallia; nel 256 papa Coelio riunisce in assemblea 60 vescovi italiani; Cipriano ne convoca 87 a Cartagine; il concilio di Elvira (300) parla di 33 sedi vescovili in Spagna e Portogallo. «Siamo nati ieri – scrive l’apologista cristiano Tertulliano – e abbiamo già riempito la terra e tutto ciò che era vostro: città, quartieri, fortificazioni, municipi, borgate, palazzi, senato e foro. Vi abbiamo lasciato solo i vostri templi».
Senza togliere nulla allo zelo dei primi cristiani, la straordinaria espansione del vangelo è favorita dall’organizzazione dell’impero romano, all’apice della sua potenza. La pax romana è una realtà tangibile; ordine e diritto regnano in tutte le regioni; una fitta rete di strade e collegamenti marittimi raggiunge tutto il mondo allora conosciuto.
I missionari possono circolare in tutta sicurezza e andare dove vogliono, godendo della protezione legale dell’ordinamento romano; col greco possono farsi capire dappertutto.
Sotto l’aspetto religioso la società greco-romana è pervasa da confusione e tendenze contraddittorie. Per l’élite gli antichi dèi sono ormai fuori uso; la filosofia non offre soluzioni adeguate ai problemi della vita; allora si rifugia nei culti misterici di divinità orientali, che promettono esperienze del divino, dignità umana, pace interiore e immortalità felice. Le disuguaglianze sociali provocano malcontenti e risentimenti tra le classi meno fortunate. Per tutti, schiavi e liberi, ricchi e poveri, plebei e aristocratici, nobildonne soprattutto, l’ideale cristiano diventa la vera risposta alle più profonde aspirazioni di salvezza radicale, redenzione spirituale e felicità eterna. E così il vangelo abbatte ogni barriera di lingua, razza e ceto sociale.
Il sangue dei martiri
I nizialmente tollerati come una delle tante sètte orientali che pullulano nelle regioni dell’impero, i cristiani si trovano presto nell’occhio del ciclone. Scatenata per scherzo da Nerone, la persecuzione continua per oltre due secoli e mezzo; da Roma si estende alle più lontane regioni dell’impero, con intermittenza e intensità variabili, che va dal sospetto prudente alla caccia al cristiano.
Perché tanto accanimento contro i cristiani, in un impero fondamentalmente tollerante verso tutte le religioni dei popoli vinti? Le cause sono molteplici: ignoranza, calunnie, interessi, fanatismi. Ma c’è un motivo più profondo: in un ambiente in cui anche la religione è a servizio dello stato, fino a prestare culto agli imperatori, come segno di civica lealtà, i cristiani, che inorridiscono di fronte ad ogni idolatria, sono sentiti come corpi estranei e accusati di alto tradimento.
In alcuni periodi la persecuzione è devastante. A migliaia i cristiani d’ogni età e ceto cadono sotto la spada dei persecutori o finiscono in pasto alle fiere, negli spettacoli di circhi e anfiteatri, per il sollazzo della plebe.
Eppure il martirio si dimostra un efficace strumento «missionario» e molti evangelizzatori si identificano di fatto con i martiri. «Il sangue dei martiri è seme di cristiani – afferma Tertulliano -. Alla vista di tanto coraggio il popolo s’interroga e vuole sapere di che si tratta. E quando un uomo ha conosciuto la verità, è dei nostri». Le persecuzioni rafforzano lo sviluppo del cristianesimo e ne consolidano la struttura comunitaria, tanto che la chiesa, in tutti i suoi membri, si identifica con la sua missione.
Altri pericoli, più micidiali delle persecuzioni, minacciano vita e sviluppo delle comunità cristiane: le eresie. Per arginare tali sbandamenti dottrinali vengono radunati vari concili, che condannano gli errori e affermano la vera dottrina del vangelo. Un valido aiuto viene anche dagli intellettuali che, una volta convertiti, mettono penna e cultura a servizio del vangelo.
Fiorisce una letteratura cristiana ricca e variegata, per dimostrare ai persecutori la bellezza del messaggio evangelico e la lealtà dei cristiani; per confutare gli errori degli eretici; per confrontare i valori del vangelo con quelli della cultura corrente.
Non solo vescovi, preti e diaconi, ma anche i laici di ogni strato sociale (soldati, commercianti, nobili, schiavi, filosofi e scrittori) danno un solido apporto all’evangelizzazione. Senza dimenticare le donne, che danno luminose testimonianze di fede, sia affrontando impavide il martirio, sia cornoperando intelligentemente all’evangelizzazione.
Il vangelo nelle campagne
C on l’editto di tolleranza religiosa, promulgato dall’imperatore Costantino nel 313, il cristianesimo acquista finalmente la libertà, fino a diventare vera e propria religione di stato (380). Per combattere lo sfascio morale della società, gli imperatori puntano tutto sulla chiesa.
Col connubio tra stato e chiesa, l’evangelizzazione s’impone sui diversi ceti sociali, soprattutto sulle masse popolari. Farsi cristiano diventa quasi uno status symbol: chi non è cristiano non è chic. Un atteggiamento non privo di ambiguità. Al tempo stesso prova la autorevolezza di cui la chiesa gode presso tutto il popolo, tanto che alcuni pastori non esitano a condannare i monarchi per le loro eventuali violenze e fanatismi.
Del momento di grazia la chiesa approfitta per portare avanti la sua missione nella società, riuscendo a far legalizzare certi valori cristiani: proibizione di uccidere gli schiavi; autorità patea non deve essere dispotismo; abolizione dei giochi cruenti del circo; assistenza alle vedove e agli orfani.
Un nuovo slancio missionario è diretto alle popolazioni delle campagne (pagus, da cui i termini «pagano» e «paganesimo»), fino ad ora trascurate dai missionari e rimaste attaccate a riti e superstizioni pagane. A mano a mano che il vangelo raggiunge le zone più isolate, l’attività missionaria si trasforma in azione pastorale, con istituzioni di parrocchie, affidate a preti distaccati dalle urbane sedi vescovili.
È chiaro che la cristianizzazione non fa cambiare necessariamente i costumi. Vescovi e preti hanno il loro daffare per purificare le motivazioni di tutti coloro che in massa si precipitano verso le chiese per adottare la religione dell’impero. Fortunatamente si registrano apostoli capaci di ascoltare e dialogare. Vescovi come Filostrato di Brescia, Vigilio di Trento, Martino di Tours, Germano di Auxerre, Vitricio di Rouen, Valentino di Chartres, il monaco Gionata di Almirisso (Tracia)… non si accontentano di lavare teste con l’acqua battesimale, ma si prodigano nella formazione di veri cristiani.
Alla fine del IV secolo il vangelo si è consolidato all’interno dell’impero, fino agli estremi confini. In Oriente li ha superati, spesso grazie a circostanze fortuite. I prodigi e la saggezza di alcuni schiavi cristiani destano tale impressione sui loro conquistatori, da indurli a chiedere all’imperatore di Bisanzio o ai vescovi più vicini l’invio di missionari tra la propria gente. In seguito a un miracolo, santa Nino converte la Georgia. Frumenzio, giovane intellettuale prigioniero in Etiopia, fonda la chiesa in questa regione. Wulfila, portato prigioniero a nord del Danubio, elabora un alfabeto per la traduzione della bibbia e, per 40 anni (341-383), trasmette il cristianesimo nella versione ariana a goti e visigoti. Attraverso di essi il cristianesimo ariano si diffonde tra numerosi popoli germani.
Lo slancio missionario è forte anche tra molte chiese orientali, rimaste fuori della comunione ecclesiale più per motivi politici che religiosi. I nestoriani dell’impero persiano, per esempio, si dimostrano prodigiosi missionari in tutta l’Asia, fino all’India e alla Cina.
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