Consacrato vescovo della prelazia di Itacoatiara
il 19 marzo scorso, padre Carillo Gritti, missionario della Consolata, non nasconde le difficoltà
e responsabilità che dovrà affrontare come pastore
di una chiesa povera di risorse e personale,
dispersa su un territorio vasto e impervio.
Una sfida accettata con fede,
cui intende rispondere con coraggio,
pazienza e simpatia.
Il nome stesso, Itacoatiara, per abituarsi a pronunciarlo senza inciampare o balbettare, richiede non poca ginnastica di mascelle e muscoli facciali. Ritagliata dal territorio della diocesi di Manaus, la prelazia fu eretta nel 1963 da Paolo VI. Misura 92.000 kmq di estensione, poco meno di un terzo dell’Italia. Conta appena 153.000 abitanti, in buona parte raccolti in villaggi disseminati, per 600 km, lungo il Rio delle Amazzoni; il resto è sparso in un territorio vastissimo e ricoperto di foresta tropicale.
La sede della prelazia, Itacoatiara, è unita a Manaus da 300 km di asfalto in pessime condizioni. Gli altri centri abitati, sia lungo il fiume che nell’interno, sono raggiungibili solo mediante imbarcazioni. In tempo di secca i corsi dei fiumi sono chiaramente delineati; durante il periodo delle piogge le acque ricoprono chilometri e chilometri di foresta, e gli itinerari sono tutti da inventare, zigzagando tra gli alberi, alla ricerca di percorsi navigabili; spesso bisogna abbandonare la barca per proseguire a piedi e a cavallo.
La gente è molto povera: vive quasi esclusivamente di pesca, grazie ai numerosi affluenti del Rio delle Amazzoni che solcano il territorio. L’agricoltura è quasi inesistente. Ad aggravare la situazione sono sopraggiunte varie compagnie che monopolizzano il commercio del pesce e hanno ridotto i pescatori a semplici braccianti. Coloro che continuano a svolgere la loro attività in modo indipendente sono spesso vittime di pressioni e ricatti mafiosi: per non ributtare il pesce in acqua, devono svenderlo a basso prezzo.
Molte comunità mancano di scuole e servizi sanitari. La chiesa è l’unica organizzazione che si interessa dei loro problemi. Ma anche la prelazia è povera in canna. Divisa in 10 zone pastorali, ha appena sette preti: un brasiliano proveniente dal sud del paese, un canadese, due spagnoli e tre messicani. Neppure un prete locale. Alla scarsità del personale si aggiunge quella delle strutture: la liturgia del mercoledì delle ceneri fu celebrata all’aperto, perché la chiesetta che funge da cattedrale è troppo piccola.
Padre Carillo ha avuto bisogno di un forte soffio dello Spirito Santo per accettare la guida di una prelazia così scomoda e difficile; e ne avrà bisogno ancora di più quando inizierà la sua nuova missione.
E lo Spirito deve essere disceso con abbondanza durante la liturgia della consacrazione episcopale. La gente che gremiva la cattedrale di Manaus lo ha invocato con entusiasmo, insieme alla protezione di tutti i santi, mentre il neo eletto giaceva prostrato a terra. Sul suo capo i vescovi consacranti hanno premuto forte e a lungo le loro mani.
Prostrazione, unzione del capo col sacro crisma, consegna del libro dei vangeli, dell’anello episcopale e del pastorale sono stati riti pieni di suggestione, che la gente ha seguito con gli occhi fissi, con attenzione e commozione, per esplodere in un applauso finale, quando tutti i vescovi presenti hanno accolto il neo consacrato con un abbraccio festoso e caloroso, con sonore pacche sulle spalle, secondo lo stile brasiliano.
Con altrettanta commozione sono state accolte la benedizione e le parole pronunciate da mons. Carillo alla fine della cerimonia. Ricordando Elia, stanco e sfiduciato, seduto all’ombra di un ginepro, mons. Carillo ha accennato alle croci che lo attendono nella nuova missione episcopale, alla guida della chiesa di Itacoatiara. «A differenza di Elia – ha concluso – il missionario non ha tempo né può permettersi il lusso di stancarsi».
La croce figura anche nello stemma episcopale. Sulla sua lunga asta poggia uno scudo in cui è raffigurata una grande barca, sospinta dallo Spirito Santo, che soffia su una vela a forma di Cristo dalle braccia spalancate. Ai piedi dell’asta il motto: «Memoria Jesu dulcis».
Mons. Carillo ne spiega il significato: «La memoria degli apostoli, ricordo vivo e affettuoso del Cristo risorto, è radice e ragione della chiesa. Memoria che lo Spirito mantiene viva e dilata fino agli estremi confini della terra e fino agli ultimi tempi, quando la chiesa entrerà nella comunione definitiva col Padre, il Figlio e lo Spirito Santo».
Alla fine della cerimonia, quando depone i paramenti episcopali, la talare bordata di rosso di mons. Carillo è zuppa di sudore, da capo a piedi, come se fosse uscito dal Rio delle Amazzoni.
È sera. Complimenti e festeggiamenti sono terminati. Finalmente posso incontrare il nuovo vescovo a quattrocchi e carpire qualche notizia sulle sfide della prelazia e i progetti per affrontarle.
– Le informazioni prese prima di accettare la nomina mi dicono che avrò una bella “gatta da pelare”.
– Il personale soprattutto: sette preti per quante parrocchie?
– La prelazia non è organizzata in parrocchie, ma in comunità: ce ne sono 242. Tutto il lavoro burocratico “parrocchiale”, come la registrazione di battesimi, è fatto nella curia. Ufficialmente i preti risiedono a Itacoatiara, da cui si spostano per servire la varie comunità. Inoltre, ci sono tre suore impegnate nella pastorale e un monastero di benedettine, che rischiano di chiudere i battenti perché non riescono a mantenersi. Farò di tutto perché la chiesa di Itacoatiara non perda una testimonianza forte, in cui credo fermamente.
– Si dice che c’è tutto da rifare.
– La prelazia è poverissima. Le strutture quasi inesistenti. L’amministratore mi ha detto che lo scorso anno si è chiuso in pareggio; ma rimane qualche “debituccio”. La maggior parte del bilancio è prosciugato dagli spostamenti dei missionari. Per tale scopo la prelazia ha i due barconi, con elevati costi di manutenzione e carburante. Alcuni fedeli mi hanno già chiesto di costruire subito la cattedrale. Nella situazione attuale sarebbe un suicidio economico, di tempo e personale.
– E sotto l’aspetto pastorale?
– Non partirò da zero. Il mio predecessore, il canadese mons. George Marskell, morto di tumore due anni fa, era un uomo di Dio, venerato da quanti lo hanno conosciuto. Mi sembra, però, che anche lui sia rimasto in qualche modo ostaggio della mentalità creata dalla cosiddetta «teologia della liberazione», che ha influenzato le linee pastorali della chiesa brasiliana. Per cui, anche a Itacoatiara, l’evangelizzazione ha assunto una tinta ideologica e politicizzata. Mi è stato riferito che, in prossimità delle ultime elezioni presidenziali, un prete della prelazia abbia iniziato la predica sbattendo sul leggio un ciclostilato del partito dei lavoratori, dicendo: «Oggi è questa la parola di Dio». Una forma certamente estrema, ma indice di una certa mentalità.
– Ha progetti in proposito?
– Per un anno vorrò conoscere il clero e gli altri collaboratori pastorali; parlare poco e ascoltare molto. Per cui non ho in tasca né progetti né soluzioni prefabbricate. Però ho qualche idea.
– Per esempio?
– Vorrei costruire un certo presbiterio, anche se non sarà possibile radunare insieme tutti i preti. Cercherò di stare loro il più vicino possibile, per dare coraggio, sostanza e maggiore spiritualità. Voglio che i preti lo capiscano: tutti i ministeri sono importanti; nessuno è escluso, ma nessuno è privilegiato.
– Niente privilegio per il sociale?
– È mia intenzione impegnarmi nel sociale, come ho fatto qui a Manaus, organizzando corsi non di formazione ideologica, ma di specializzazione in informatica, riparazione di condizionatori d’aria, parrucchieri e manicure… Preparare, cioè, professionisti in grado di entrare nel nuovo mondo del lavoro, quando anche a Itacoatiara arriveranno industrie, commercio e mode.
– Ci sono prospettive di sviluppo?
– Oggi il pesce è ritenuto un prodotto industrializzabile al cento per cento. Non sarà la chiesa a costruire industrie; ma dobbiamo aiutare la gente a guardare al futuro, frenare la corsa verso la città e accogliere coloro che ne ritornano delusi. Per fare questo bisogna rendere l’ambiente vivibile con scuola, sanità, lavoro. Tanti piccoli centri ne sono totalmente sprovvisti. Mi sono incontrato col governatore dello stato dell’Amazzonia e mi ha promesso tutti gli aiuti di carattere sociale di cui avrò bisogno. Confidandomi che ormai ha fiducia solo della chiesa, perché spende i soldi negli scopi cui sono destinati e ne rende conto, ha concluso: «Qui sono tutti dei grandi ladroni». Parole testuali del governatore; non so se alludesse anche a se stesso.
– Buona notizia. Ce ne sono altre?
– Troverò un popolo buono, semplice, cordiale, come sono le comunità di pescatori. Me l’hanno garantito in molti. Farò di tutto per non deluderlo. Provo già una profonda simpatia per questa gente e prego Dio che me la conservi, perché la ritengo importante per una convivenza cordiale e costruttiva.
– A proposito di simpatia, hai piuttosto fama di “duro”.
– Il più grande sacrificio che dovrò affrontare è tenere a freno il mio carattere. Non ho mai avuto un grande bagaglio di pazienza. Vuol dire che, d’ora in poi, dovrò recuperae qualche dose, sperando di riuscirvi. Cercherò di tenere i miei problemi per me stesso, di diluirli nella preghiera e nell’amicizia con i miei preti. E poi non sono così “duro”. È vero che quando mi saltano i nervi volano parolacce; ma è altrettanto vero che sono capace di giocare con i bambini.
Benedetto Bellesi