Nonostante la poderosa campagna elettorale e i brogli, il presidente Fujimori non è riuscito a farsi eleggere al primo tuo. Ora per lui le cose si fanno più complicate. Alejandro Toledo, indio e professore di economia, a giugno potrebbe diventare il nuovo presidente del Perù. Una svolta, dopo 10 anni di fujimorismo.
Il nostro appuntamento con Alejandro Toledo era in un ristorante di Lima. Ne è uscita una conversazione di circa due ore incentrata sui problemi economici e sociali del Perù. Allora il suo partito («Perú Posible», di centro-sinistra) era accreditato di un 6-7% dell’elettorato. Di quella lunga intervista riportiamo di seguito alcuni brevi stralci.
Professor Toledo, lei insiste molto sulla sua appartenenza etnica, sul suo volto da indio. Lo fa per calcolo elettorale o c’è dell’altro?
«Io provengo da un grande impero, l’impero incaico. Non mi vergogno della mia razza. Al contrario, ne sono orgoglioso. Mai nella storia di questo paese è esistito un candidato presidenziale che provenga dalla razza da cui io provengo. Dopo 500 anni nei quali il Perù è stato governato dal 5% della popolazione, è arrivato il momento di metterci in piedi per risvegliare la nostra indignazione costruttiva. Ho la sana pazzia di tentare di essere il presidente di questo paese per molte ragioni. Una di queste è la mia razza».
Il Perù attuale è un paese democratico?
«No, certamente no. Il Perù di oggi è un paese democratico sequestrato da Fujimori e Cambio-90».
Cosa hanno avuto i suoi connazionali da questi 10 anni di fujimorismo?
«Nonostante alcuni risultati importanti, la gente sta in condizioni peggiori. Il livello salariale, il potere d’acquisto, i tassi di malnutrizione, mortalità infantile, abbandono scolastico, disoccupazione, tutti questi indicatori socio-economici sono peggiorati. Come economista, io dico che gli obiettivi finali della politica economica non sono l’inflazione zero o la benedizione del “Fondo monetario internazionale”. Per me i risultati economici si vedono nel miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Quando la gente ha più lavoro, più educazione, più accesso alla salute».
Tutto questo è molto bello. Ma come raggiungerlo? Con una politica keynesiana?
«No, no. Io non sono keynesiano. Sono propugnatore di una terza via. Oggi è possibile (questo lo insegno a scuola) gestire l’economia con responsabilità. Per esempio, attraverso una distribuzione diversa della spesa pubblica. Io non voglio continuare a comprare navi, tanks o aerei; voglio comprare più libri e più equipaggiamenti per le scuole e gli ospedali. I nostri paesi sono più fragili e vulnerabili perché fondano le loro economie soltanto sull’esportazione di materie prime. Occorre cambiare, puntando sulle imprese che si basano sulla conoscenza. Ma, per arrivare a questo, dobbiamo prima investire in nutrizione, salute ed educazione.
Per favore, devi registrare quello che ti dico ora. Io voglio essere il presidente dell’educazione. E sai perché? Perché io sono la testimonianza vivente degli effetti positivi che essa ha sulle persone. Senza l’istruzione io non sarei mai arrivato fin qui, nascendo dove sono nato».
Dov’è nato, professore?
«Nelle Ande, nella “Cordillera Blanca”, nella povertà più estrema. Io ho avuto fortuna, ma se sono emerso lo debbo all’educazione».
Paolo Moiola
Paolo Moiola