Sulle ali di un jumbo
«In volo verso l’Italia per le vacanze, agevolato dalla quiete nottua nell’aereo, penso ai missionari che, continuamente, attraversano oceani e continenti obbedendo all’imprescindibile comando di Gesù: “Andate e annunciate…”.
Rifletto sul mio “andare”. Colgo alcuni segni legati
al “viaggio del missionario”».
Il ponte
Come l’aereo collega due aeroporti, due paesi, due culture, così il missionario è un ponte che collega la sua patria con la povertà e le sofferenze dei popoli presso i quali lavora. Inoltre egli diventa il testimone e il portavoce della ricchezza culturale e spirituale di tante giovani chiese sparse nei vari continenti…
Lavoro tra i pastori seminomadi del deserto (samburu e turkana), nel nord del Kenya. Niente città, niente agglomerati come nelle baraccopoli delle grandi periferie urbane, ma gente sparsa un po’ dovunque che vive nella propria capanna in perfetta sintonia con le greggi. Il bestiame è l’unica fonte di sostentamento ordinario.
Un contesto sociale che potremmo chiamare arcaico. Certamente, nel mondo d’oggi, ce ne sono pochi più precari. Basta una siccità prolungata, e il bestiame soffre e muore per mancanza di pascolo e acqua. Le conseguenze sono denutrizione e fame, debolezza fisica, malaria e tubercolosi. Alla siccità è legato anche il fenomeno del nomadismo, inteso come dispersione in luoghi lontani, con l’affievolimento o la scomparsa temporanea delle tradizioni sociali e religiose che sostengono alla base la cultura.
Nonostante la durezza e precarietà della loro esistenza, le popolazioni fra cui vivo non perdono mai la fiducia nella provvidenza divina. Il pastore nomade continua a pregare il «suo» Dio anche nelle situazioni più drammatiche. Nella prosperità o nella miseria, Dio non viene mai mandato in esilio. E, così, rabbia e maledizione non esistono.
Questi pastori sono l’icona biblica e vivente di Giobbe, che riscopre Dio nelle difficoltà e nell’ostilità.
La fusoliera
La fusoliera dell’aereo unisce un gruppo di persone che si mettono insieme per realizzare lo stesso progetto: raggiungere una meta…
Nella missione, la fusoliera è rappresentata dalla cappellina che il missionario si preoccupa sempre di allestire come luogo d’incontro, dove le persone si riuniscono con la stessa motivazione: vivere la propria fede nella preghiera e la celebrazione dei sacramenti.
Questa fede può esprimersi nella forma cristiana o delle religioni tradizionali, a seconda della gente presente. Per i cristiani il centro della preghiera è rappresentato dall’eucaristia. Il primato dello spirituale è indiscutibile. Tuttavia si fa grande attenzione a non cadere in uno spiritualismo disincarnato, incapace di cogliere i problemi di tutti i giorni della popolazione. La preghiera deve avere una dimensione sociale.
Quindi i missionari parlano sempre di più di «spiritualità politica». Sembrano termini contraddittori, quasi blasfemi, ma non lo sono. La preghiera biblica e la vera eucaristia ci portano sempre a imitare il Dio liberatore del suo popolo, ci fanno aprire gli occhi sulle sofferenze, le problematiche, le alienazioni della gente e spronano a risolverle.
Il missionario, se crede nella «fusoliera-cappella», si dà da fare anche per l’asilo, la scuola, le strade, le case, l’acqua, la dieta, la salute.
La mia missione comprende una quindicina di villaggi distanti anche 60 chilometri, spesso con grosse difficoltà per raggiungerli: a volte occorrono tre ore di viaggio. Di villaggio in villaggio, di cappella in cappella, di scuoletta in scuoletta, c’è sempre un bisogno, una situazione che richiede il mio tempo, il mio impegno, la mia carità di missionario.
Il radar
L’aereo viene guidato dal radar, che indica la rotta per giungere a destinazione…
Il radar che orienta l’andare del missionario è il vangelo predicato con la vita. Si tratta di un libro iniziato tanto tempo fa, ma che continua ad essere scritto con la vita e, talora, con il sangue diventando un martirologio. In esso sono scritti i nomi dei primi cristiani fino alla lunga lista dei missionari uccisi ai nostri giorni. Agli occhi del mondo – dice il libro della Sapienza – questi individui appaiono irresponsabili, stolti, incoscienti, ma agli occhi di Dio vivono nella pace e nell’immortalità.
Persone come padre Luigi Graiff, martirizzato nel 1981, e padre Luigi Andeni, ucciso nel 1998, hanno avuto come radar il vangelo. Con padre Graiff ho anche lavorato e di padre Andeni ho ereditato la missione di Archer’s Post.
Il carburante
L’aereo vola per la spinta dei motori che bruciano carburante…
Il carburante, per il missionario, è il fuoco della carità che, alimentato dallo Spirito Santo, diventa scintilla che deve contagiare ogni comunità cristiana.
Carità esige attenzione e rispetto per le altre culture e tradizioni religiose; accoglienza degli stranieri e degli immigrati; tensione missionaria che si esprime nel desiderio di condividere le proprie ricchezze spirituali e materiali con i poveri del terzo mondo.
L’«équipe»
Durante il volo l’aereo viene manovrato da uno staff di piloti e tecnici che formano un’équipe.
Così l’attività missionaria. Oggi non si esprime più attraverso «navigatori solitari», ma in gruppi pastorali composti da sacerdoti, religiosi e laici che fanno vita comunitaria.
Nelle varie missioni dove ho lavorato ho cercato di realizzare una pastorale in équipe con l’aiuto dei catechisti della zona e alcuni laici. Ci si spostava sempre insieme. Giunti a destinazione, ognuno svolgeva il suo ruolo particolare: convocatori dell’assemblea, incaricati di mantenere l’ordine e il decoro, animatori dei canti, lettori della parola, traduttori nei vari dialetti, catechisti preparati per offrire ai bambini una pastorale loro adatta.
L’équipe si rendeva più facilmente conto della realtà religiosa e sociale dell’ambiente, ne coglieva gli aspetti positivi e negativi. E, al termine di ogni mese, in occasione del ritiro, i problemi venivano affrontati insieme per cercare delle soluzioni; quindi si programmava per il mese successivo.
La leggerezza
Infine, come l’aereo solca il cielo «distaccato» da ogni struttura e vola tanto più veloce quanto più è leggero, così il missionario deve puntare alla leggerezza, all’essenziale…
Una sola struttura, un solo strumento, un solo libro: il vangelo vissuto e annunciato.
Ciò che sa di «struttura» può servire a chi annuncia, ma non a chi ascolta il messaggio e, meno ancora, al messaggio stesso, che deve emergere con tutta la sua forza di convinzione dalla testimonianza di vita del missionario. E non dai mezzi materiali che possiede…
L’aereo vola quasi alla perfezione. E come procede il missionario?
Coelio Dalzocchio